Nel sequestro del conto “confuso” finisce anche la pensione incassata
Pubblicato il 10/11/16 09:01 [Doc.1968]
di Redazione IL CASO.it


Pignorati i depositi bancari di un anziano accusato di associazione a delinquere di carattere transnazionale, per truffe aggravate in danno della Siae ed evasione fiscale

È legittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui conti correnti nei quali confluiscono le somme già incassate a titolo di pensione.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 44912 del 25 ottobre 2016.

Vicenda processuale
La vicenda giudiziaria riguarda un pensionato accusato di associazione a delinquere di carattere transnazionale, finalizzata alla commissione di truffe aggravate in danno della Siae e all’evasione fiscale.
Il tribunale ha respinto la richiesta di riesame dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, con cui era stato disposto il sequestro preventivo e per equivalente – ai fini della futura confisca ex articolo 11, legge 146/2006 – anche con riguardo alle somme depositate in banca, riconducibili al trattamento pensionistico.

L’imputato, in sede di legittimità, tra i motivi d’impugnazione, ha invocato l’impignorabilità dei propri trattamenti pensionistici, lamentando che la predetta misura cautelare è stata adottata in violazione dell’articolo 545 del codice di procedura penale che, in materia di crediti impignorabili, dispone che “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”.

Decisione della Corte di cassazione e osservazioni
La Corte suprema ha respinto la doglianza difensiva riguardante la mancata riduzione del sequestro relativamente ai trattamenti pensionistici già incassati dall’indagato, stante la ritenuta inapplicabilità del citato articolo 545 cpc, che pone un limite preciso alla pignorabilità delle somme dovute da terzi a titolo di stipendio o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o d’impiego.
In particolare, la Cassazione, citando altre pronunce rese sull’argomento, ha affermato che il divieto stabilito dall’articolo 545 – che limita la pignorabilità a un quinto dei trattamenti pensionistici o a essi assimilati – riguarda il processo esecutivo ed è posto a tutela dell’interesse di natura pubblicistica, consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita, evitando che possano essergli sottratti prima della corresponsione.
Tuttavia, la norma non può operare al di fuori del processo esecutivo, soprattutto quando le somme erogate a titolo di pensione siano state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo restante patrimonio (cfr Cassazione, 6548/2011).

Questo passaggio risulta particolarmente interessante, in quanto la Corte esclude l’impignorabilità assoluta e afferma che occorre una verifica concreta della consistenza delle somme e dell’utilizzo delle stesse.
La Cassazione, con altre pronunce, ha già avuto modo di porre in rilievo che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 506/2002, non sussiste più l’impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici a carico dello Stato, che sono impignorabili (con le sole eccezioni previste dalla legge sui crediti qualificati) per la sola parte delle pensioni, indennità o altri trattamenti di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, mentre sono pignorabili nei limiti del quinto della restante parte (cfr Cassazione, 963/2007).

Al riguardo, è stato precisato che l’indagine circa la sussistenza o l’entità della parte di pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è rimessa, in difetto di interventi del legislatore, alla valutazione in fatto del giudice dell’esecuzione ed è incensurabile in Cassazione, se logicamente e congruamente motivata (cfr Cassazione, 18755/2013).
In assenza di parametri normativi specifici e analitici idonei a consentire la determinazione del “minimo vitale”, ben può il giudice dell’esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso, pervenire all’individuazione dell’importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita (cfr Cassazione, 18755/2013 e 18225/2014).

Ritornando alla pronuncia in esame, che affronta anche altri aspetti legati al sequestro preventivo, la Cassazione ha specificato che tale considerazione non si pone in contrasto con il diverso orientamento espresso dalla sentenza 9767/2015 che, in motivazione, ha affermato che gli emolumenti retributivi, nella misura di quattro quinti, e gli assegni di carattere alimentare, per l’intero, sono riconducibili all’area dei diritti inalienabili della persona tutelati dall’articolo 2 della Costituzione.
Secondo i giudici di legittimità, non sussiste contrasto con il principio secondo cui “il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente del controvalore di entità monetarie costituenti il prezzo o il profitto di reati commessi dal pubblico dipendente in pregiudizio della p.a. di appartenenza, è consentito solo nei limiti del quinto del relativo importo, al netto delle ritenute, in relazione agli emolumenti retributivi corrisposti dallo Stato e dagli altri enti indicati nel D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1”, in quanto il diritto di credito vantato dal ricorrente ha perso, a seguito e in conseguenza della corresponsione delle somme che ne costituivano l’oggetto (mediante accredito a favore della banca presso la quale il creditore intrattiene il rapporto di conto corrente), la propria natura, confondendosi con il patrimonio del pensionato.

Alla luce di quanto sopra, la Corte suprema fa rilevare che gli argomenti difensivi sono generici in quanto “il ricorrente non ha dedotto alcunché né circa l’entità del suo patrimonio mobiliare né a proposito dell’ammontare dei suoi depositi bancari né della sua pensione, con la conseguenza che la deduzione circa l’impignorabilità di quest’ultima (rectius, nella specie, insequestrabilità) risulta del tutto generica, avendo perso l’invocata natura pensionistica la somma corrisposta al creditore, a seguito del suo accredito (da epoca non precisata) sul conto corrente bancario del creditore”.
I giudici di legittimità non danno alcun rilievo alla difesa dell’imputato, ritenuta insufficiente, e hanno affermato che se le somme a titolo di pensione sono confuse nel patrimonio dell’indagato, la predetta confusione determina la perdita della natura pensionistica di dette somme e non può trovare applicazione l’articolo 545 del codice di procedura penale.

Da ultimo, secondo gli stessi giudici, neppure i limiti imposti dal decreto 83/2015 possono limitare la confiscabilità dei beni nel processo penale.
Tale intervento normativo ha modificato, infatti, il limite massimo fissato “storicamente” nella misura del “quinto”, novellando la disciplina stabilita dall’articolo 545 cpc ed elevando le soglie di impignorabilità di pensioni e stipendi.
Sul punto, la Corte precisa che la disposizione introdotta conferma la natura di norma relativa al processo di esecuzione del limite di cui all’articolo 545 cpc e alle leggi speciali, destinata a operare nell’ambito di tale processo e nei confronti del terzo debitore.
Conferma inoltre l’inapplicabilità di tale limite allorquando, come nel caso di specie, le somme dovute dal terzo a titolo di stipendi o pensioni si siano confuse nel patrimonio del pignorato (o sequestrato) da epoca imprecisata avendo, a cagione del pagamento e della conseguente confusione, perduto la natura pensionistica invocata dal ricorrente.
Filomena Scarano
pubblicato Mercoledì 9 Novembre 2016
(www.fiscooggi.it)


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