L’erede beneficiato non evita le pendenze fiscali del defunto
Pubblicato il 02/12/16 09:08 [Doc.2091]
di Redazione IL CASO.it


Succede nei rapporti giuridici del de cuius, sia attivi che passivi, assumendone la stessa posizione di debitore, pur usufruendo del vantaggio della responsabilità limitata

L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, non determina, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell’erede per i debiti, anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires hereditatis, cioè al di là dei beni lasciati dal de cuius.
Di conseguenza, è legittima la cartella di pagamento emessa nei confronti dell’erede, salvo il diritto di costui a procedere al pagamento solo nei limiti dell’attivo ereditario.
Ad affermarlo, la Corte suprema, con la sentenza n. 23019 dell’11 novembre 2016.

Il fatto
La vicenda è quella di un erede, cui veniva notificata una cartella di pagamento per omessa impugnazione di taluni avvisi di accertamento, ai fini Irpef, per gli anni dal 1983 al 1985, emessi a carico del de cuius.
Adita la competente Commissione tributaria provinciale, il contribuente eccepiva l’illegittimità della cartella, in quanto l’ufficio non aveva considerato che egli aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario e, quindi, non poteva essere considerato obbligato verso l’Erario per tutte le somme pretese in forza di obbligazioni alle quali egli era del tutto estraneo.

Tale assunto difensivo convince la Commissione di primo grado che decreta la nullità della cartella. Stesso verdetto in appello, dove la Commissione tributaria regionale di Bologna ha rigettato il gravame dell’Agenzia, motivando che la “cartella impugnata faceva ritenere erroneamente che l’erede fosse l’unico soggetto obbligato al pagamento dell’imposta”.

Il giudizio approda in Cassazione su ricorso dell’ufficio affidato a un solo motivo, ossia la violazione e falsa applicazione del Dlgs 546/1992, articolo 2 e articolo 35, comma 3, e articolo 277 del codice di procedura civile.

Decisione e ulteriori osservazioni
I giudici di legittimità accolgono le doglianze dell’ufficio e confermano la legittimità della pretesa nei confronti dell’erede, posto che colui che accetta l’eredità con beneficio d’inventario è erede, come stabilito dall’articolo 490, primo comma, codice civile, con l’unica rilevante differenza, rispetto all’accettazione pura e semplice (articolo 470, primo comma), che il patrimonio del defunto è tenuto distinto da quello dell’erede e che si producono gli effetti conseguenti indicati dall’articolo 490, secondo comma, codice civile.

Gli effetti principali dell’accettazione con beneficio d’inventario sono l’acquisto dell’eredità e la limitazione di responsabilità (articolo 490, comma 1).
L’erede diviene cioè titolare di due masse patrimoniali distinte: quella dei beni personali, riservata alla soddisfazione dei soli creditori personali, e quella dei beni ereditari aggredibile da ogni creditore, anche se, nel concorso tra creditori personali ed ereditari, questi ultimi “hanno preferenza”.
Si realizza così un fenomeno di autonomia patrimoniale imperfetta, in quanto sussiste una parziale permeabilità tra i due patrimoni in favore dei creditori personali, che nel concorso con i creditori ereditari sono posposti, ma non esclusi.

L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, osserva la Corte, in linea con la giurisprudenza consolidata, non determina, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell’erede per i debiti, anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires hereditatis, ovverossia al di là dei beni lasciati dal de cuius (cfr Cassazione, 6488/2007).

L’erede con beneficio d’inventario succede nei rapporti giuridici del defunto, sia attivi che passivi, e quindi assume la stessa posizione di debitore che era del defunto.
L’articolo 490, comma 2, n. 2, prevede, tuttavia, tra gli effetti del beneficio d’inventario, che “l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti”.
L’erede beneficiato, in buona sostanza, succede nei debiti del de cuius, ma gode del beneficio della responsabilità limitata (ammessa dall’articolo 2740, comma 2). Risultato che viene raggiunto, secondo l’opinione prevalente, con lo strumento giuridico della separazione del patrimonio dell’eredità da quello dell’erede.

Il primo problema che si è posto è stato quello dei limiti e del significato della limitazione di responsabilità disposto dalla norma.
Si tratta, in particolare, di determinare se, con la formula legislativa, si sia voluto prevedere che l’erede è tenuto al pagamento solo con i beni ereditari (cum viribus hereditatis) oppure che lo stesso è tenuto al pagamento anche con i beni personali, nei limiti del valore dei beni ereditari (pro viribus hereditatis).
A giudizio della giurisprudenza, l’erede beneficiato succede nei debiti ereditari, ma ne risponde, non solo nei limiti dei beni a lui pervenuti (pro viribus), ma altresì solo con gli stessi (cum viribus) e, cioè, non anche con i suoi beni personali. (cfr Cassazione, 5067/1993).

Diverso il caso dei tributi di successione, posto che l’erede beneficiato sarebbe tenuto al pagamento solo nei limiti delle somme e dei beni esistenti nell’asse ereditario, non anche con denaro personale (articolo 36, comma 2, Dlgs 346/1990: “il coerede che ha accettato l’eredità col beneficio d’inventario è obbligato solidalmente al pagamento, a norma del 1° co., nel limite del valore della propria quota ereditaria”) (cfr Cassazione, 3308/1980).
Tuttavia, sottolinea la Corte, l’erede “nei cui confronti il creditore faccia valere la propria pretesa creditoria illimitata ha interesse a far valere la limitazione della propria esposizione debitoria mediante un accertamento giudiziale in mancanza del quale il titolo non sarebbe più contestabile in sede esecutiva (cfr Cassazione, 4633/1992 e 2442/1987)”. Parimenti, il Fisco ha interesse che si accerti la sussistenza del debito tributario del de cuius (cfr Cassazione, 14847/2015 e 4419/2008).

Alla tutela di entrambi gli interessi, conclude la Cassazione, provvede la giurisdizione tributaria. Difatti il giudice tributario è legittimato all’individuazione del soggetto tenuto al versamento dell’imposta e dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato nei limiti di valore dei beni a lui pervenuti (cfr Cassazione, sezioni unite, 7805/2006 e 7792/2005).

Ebbene, i giudici, partendo da tale assunto in diritto, hanno confermato la fondatezza della pretesa e, per l’effetto, hanno cassato la sentenza impugnata e rinviato ad altra sezione della Regionale.
Carmen Miglino
pubblicato Giovedì 1 Dicembre 2016
(www.fiscooggi.it)


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