Autoriciclaggio: non conta il come; con logica, ok alle misure cautelari
Pubblicato il 27/04/17 06:35 [Doc.2897]
di Redazione IL CASO.it


Tale tipologia di reato, per essere appurata, non richiede la “scansione” dettagliata di quello che è stato pianificato e attuato né la precisa indicazione delle persone offese

Il sequestro preventivo di denaro ai danni di un indagato per il reato di autoriciclaggio è legittimo anche se manca l’esatta individuazione del delitto presupposto. È, infatti, sufficientemente sostenuto dal logico percorso argomentativo contenuto nella motivazione che dimostra la provenienza illecita delle utilità.
La statuizione arriva dalla Corte di cassazione, con la sentenza 18308 dell’11 aprile 2017.

Evoluzione processuale
La vicenda trae origine dall’ordinanza del 12 dicembre 2016, con la quale il Tribunale respingeva la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza di sequestro preventivo ex articolo 321 cpp emessa dal giudice per le indagini preliminari.

Avverso l’ordinanza il contribuente ricorre per cassazione, deducendo tra l’altro:
erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 648 ter cpp e all’articolo 3, Dlgs 74/2000. Il Gip aveva disposto il sequestro di somme di denaro, profitto di autoriciclaggio sul presupposto di dichiarazione fraudolenza, acquisite nel periodo d’imposta per il quale non erano scaduti i termini per la dichiarazione fiscale
assenza del fumus.
Pronuncia
La suprema Corte, investita della controversia, nel respingere il ricorso di parte, precisa nel dettaglio quanto segue:
ai sensi del disposto dell’articolo 3 del Dlgs 74/2000, “Fuori dai casi previsti dall'articolo 2, è punito […]chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila”.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono:
registrati nelle scritture contabili obbligatorie
detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.
Non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.

A giudizio della Corte di legittimità, inoltre, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’articolo 325 cpp consente il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge: nella nozione di “violazione di legge” rientrano tanto gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, quanto i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Diversamente, per l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui all’articolo 605 cpp, lettera e).

Il fumus commissi delicti
La Cassazione ha statuito che “in tema di misure cautelari l'accertamento del reato di riciclaggio non richiede l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute”.

Nel caso concreto, poi, la Corte ha individuato il fumus del delitto di autoriciclaggio nell’apertura, da parte della ricorrente, di un conto corrente negli Emirati Arabi uniti e nel fatto che le somme reintrodotte in Italia, con le modalità occulte evidenziate negli atti di polizia giudiziaria, erano del tutto sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati.

Il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta, pur sempre, in necessaria coerenza con la fase delle indagini preliminari che è di delibazione non piena, ancorato alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare reale, da parte del Tribunale del riesame, che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità del soggetto indagato in ordine al reato oggetto di investigazione, ma “deve limitarsi al controllo della congruità degli elementi rappresentati con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria”.
Diversamente, si finirebbe con l’utilizzare surrettiziamente la procedura incidentale di riesame per una preventiva verifica del fondamento dell’accusa, con evidente usurpazione di poteri che, per legge, sono riservati al giudice del procedimento principale.

Salvatore Tiralongo
pubblicato Giovedì 20 Aprile 2017
FiscoOggi


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