La cessione del diritto di opzione sconta l'imposta di registro al 3%
Pubblicato il 15/05/17 09:02 [Doc.3024]
di Redazione IL CASO.it


L'esigenza di tenere inalterato il valore reale della partecipazione azionaria denota il contenuto patrimoniale dell'operazione, con conseguente tassazione in misura proporzionale

In tema d'imposta di registro, l'atto di cessione del diritto di opzione attribuito ai soci ex articolo 2441 del codice civile, in caso di mancato esercizio dello stesso da parte del cessionario, è sottoposto all'aliquota proporzionale del 3% di cui all'articolo 9, tariffa parte I, allegata al Dpr 131/1986 e non a quella fissa contemplata dall'articolo 11 della stessa tabella, posto che, in tale ipotesi, non può parlarsi strictu sensu di negoziazione di partecipazioni societarie. È il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 10240 del 26 aprile 2017.

La vicenda processuale
La controversia trae origine dall'impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l'Agenzia delle Entrate recupera l'imposta proporzionale di registro in relazione a un atto di cessione di diritti di opzione su azioni.
La decisione di primo grado, favorevole all'ufficio, viene ribaltata in grado d'appello.

Il giudice di secondo grado, in particolare, considerando l'operazione di cessione dei diritti di opzione finalizzata a consentire ai cessionari il diritto di accedere all'acquisto di nuove azioni emesse al fine di aumentare il capitale sociale, ritiene che si versi in ipotesi di negoziazione di partecipazione, rientrante tra quelle previste dall'articolo 11 della tariffa, sottoposte a tassazione in misura fissa, anziché tra quelle previste dall'articolo 9 della tariffa, sottoposte a tassazione in misura proporzionale.

Ne deriva il ricorso in Cassazione da parte dell'ufficio, il quale lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 9 e 11 della tariffa, parte I, del Dpr 131/1986.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, nell'accogliere il ricorso del Fisco, afferma la legittimità dell'imposta proporzionale di registro con l'aliquota del 3%, in luogo dell'imposta fissa, sull'operazione di cessione del diritto di opzione.

Osservazioni
Il problema interpretativo posto al vaglio di legittimità riguarda il regime di tassazione, ai fini dell'imposta di registro, dell'atto (nella specie una scrittura privata autenticata) con il quale i soci di una società per azioni trasferiscono a terzi il diritto di opzione di cui all'articolo 2441 cc.
In particolare, si chiede se l'atto in questione, laddove non risulti, come nel caso di specie, che il cessionario abbia esercitato il diritto di opzione, debba essere sottoposto al regime dell'imposta proporzionale di registro del 3% (articolo 9, tariffa, parte I, allegata al Tur) oppure debba scontare la sola imposta fissa (articolo 11 della medesima tariffa), per le negoziazioni di partecipazioni societarie.

Al fine della soluzione del quesito, la Corte suprema offre una breve disamina del diritto di opzione, disciplinata dall'articolo 2441 del cc.
Ai sensi di detta disposizione, le azioni di nuova emissione devono essere offerte in opzione agli azionisti, in proporzione al numero delle azioni da essi possedute (eccezion fatta per le ipotesi espressamente previste dalle legge), consentendo a costoro di mantenere invariata la loro partecipazione nonostante l'aumento del capitale sociale della società.

Il diritto di opzione, invero, prescinde dalla parità di condizioni delle offerte e si risolve nella facoltà di accettare o meno la proposta contrattuale di sottoscrizione dell'aumento di capitale alla quale la società è vincolata per il tempo fissato per l'esercizio del diritto di opzione.
La finalità posta a sostegno della previsione normativa di un siffatto diritto, è duplice: da un lato, quella di proteggere l'interesse dei soci a mantenere inalterata la quota di partecipazione al capitale sociale in caso di aumento dello stesso, attraverso il diritto di sottoscrivere preferenzialmente le azioni di compendio del deliberato aumento di capitale; dall'altro, quella di garantire l'interesse dei soci alla conservazione delle plusvalenze patrimoniali attive, accumulatesi nel corso della gestione dell'attività sociale, che altrimenti andrebbero a vantaggio dei nuovi sottoscrittori di azioni, in quanto l'aumento di capitale avviene in base al valore nominale delle azioni.

Premesso che l'aliquota proporzionale di cui all'articolo 9 della tariffa, parte I, allegata al Tur, come clausola di chiusura, trova applicazione in tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle altre disposizioni, purché si tratti di fattispecie onerose, aventi un contenuto patrimoniale, assume rilevanza il carattere patrimoniale dell'operazione in esame.
Per la Corte suprema, l'esigenza di tenere inalterato il valore reale della partecipazione azionaria, denota il contenuto patrimoniale del diritto di opzione. Ne deriva, come già sostenuto nella sentenza 10879/2007, che il diritto di opzione nella società per azioni assume un valore economico in sé, potendo essere oggetto liberamente di disposizione a favore di terzi.

Altro indice del carattere patrimoniale del diritto di opzione è rinvenibile nella circostanza che la delibera di aumento di capitale potrebbe fissare, per il collocamento delle azioni rimaste inoptate, un prezzo diverso e maggiore rispetto a quello previsto per l'azione. I titolari del diritto di opzione possono esercitare il loro diritto, per intero o anche in parte, oppure non esercitarlo affatto, ovvero possono monetizzarlo facendolo oggetto di cessione, il cui corrispettivo dipende dalle situazioni concrete. Il mancato esercizio del diritto di opzione nei termini stabiliti ne comporta la decadenza.

La mera cessione del diritto di opzione, altresì, per la Cassazione, non comporta affatto la cessione della partecipazione sociale, ma il titolare del diritto di opzione può raggiungere tale risultato, che dipende dal successivo esercizio del diritto di opzione ceduto. Per cui, l'operazione di cessione del diritto di opzione, per le sue descritte particolarità, non può essere assimilabile alla negoziazione di partecipazioni societarie, in difetto dell'equivalenza cessione del diritto di opzione - cessione della partecipazione sociale.

Nel caso di specie, pertanto, in difetto della prova dell'effetto traslativo della partecipazione sociale, non può ritenersi che si sia in presenza di una negoziazione di partecipazione sociale e, quindi, considerato l'indubbio carattere economico - patrimoniale del diritto di opzione, deve affermarsi che l'atto de quo deve soggiacere alla imposta proporzionale di registro prevista dalla residuale disposizione di cui all'articolo 9, tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986.

In detta prospettiva, viene considerato, nella specie, inconferente il precedente giurisprudenziale (cfr Cassazione, 11466/2005), nel quale la Corte di legittimità ha ritenuto legittimo assoggettare l'atto di cessione dei diritti di opzione a tassa fissa, sul presupposto che l'operazione negoziale realizzasse sostanzialmente una negoziazione di quote sociali.
Dora De Marco
pubblicato Venerdì 12 Maggio 2017


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