Nuove deduzioni in fase di appello: via libera alle eccezioni improprie
Pubblicato il 06/06/17 08:20 [Doc.3166]
di Redazione IL CASO.it


L’ufficio ha facoltà di utilizzare per la prima volta anche in sede di gravame le risultanze dell’Anagrafe tributaria, senza per questo contravvenire al divieto dello ius novorum

Il principio di improponibilità di nuove eccezioni in secondo grado (articolo 57 del Dlgs 546/1992) riguarda le “eccezioni in senso stretto”, mentre non si estende alle “eccezioni improprie” e alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili.
A fornire questa precisazione è stata la Corte suprema, con la sentenza n. 12266 del 17 maggio 2017.

La vicenda processuale
A seguito della notifica di una cartella di pagamento emessa, ai sensi dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973, per il recupero di maggiori Iva, Irpef e Irap e ritenute alla fonte relativamente all’anno 2002, il contribuente proponeva ricorso avverso l’atto impositivo e i giudici di prime cure accoglievano l’impugnazione.
La Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto la cartella impugnata conforme alle previsioni di legge.

A fronte della pronuncia dei giudici di secondo grado, il contribuente adiva la Corte suprema, deducendo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 57 del Dlgs 546/1992, avendo l’ufficio richiamato, a suo avviso, solo nel giudizio d’appello, le informazioni reperite in Anagrafe tributaria, non ottemperando, in tal modo, al divieto di nuove eccezioni in secondo grado.

La pronuncia della Corte e i limiti dello ius novorum
I giudici di legittimità hanno ritenuto il motivo di ricorso infondato, in quanto, nel processo tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame concerne tutte le “eccezioni in senso stretto”, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle “eccezioni improprie” o alle “mere difese” e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili (tra le altre, cfr Cassazione, 11223/2016).
Nel caso di specie, il semplice riferimento alle informazioni desumibili dalle risultanze dell’Anagrafe tributaria non costituisce motivo nuovo nel senso dinanzi individuato, trattandosi di mera difesa, volta a supportare i motivi di appello.

Il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di tipo impugnatorio, teso alla verifica della legittimità della pretesa erariale, sulla base dei presupposti di fatto e di diritto contenuti nell’atto impositivo. L’ambito oggettivo del processo tributario è delimitato dalle contestazioni avanzate dal contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sicché in sede di appello alle parti in causa non è concessa la facoltà di proporre nuove eccezioni, ai sensi del divieto dello ius novorum contenuto nell’articolo 57 del Dlgs 546/1992.

Tuttavia, come precisato dalla Corte, tale divieto concerne esclusivamente le sole “eccezioni in senso stretto” e non si estende alle “eccezioni improprie” o alle “mere difese”, che sono sempre deducibili.
Per “eccezioni in senso stretto” devono intendersi quelle che il giudice può esaminare solo su istanza di parte attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva o estintiva della pretesa fiscale.

Non possono configurarsi come tali, invece, le deduzioni, in grado di appello, delle “eccezioni improprie” o “mere difese”, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio, da parte del giudice, dell’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero in quanto volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato – con il ricorso introduttivo – e alle quali rimane quindi circoscritta l’attività d’indagine del giudice (cfr Cassazione, 25756/2014).

La categoria dell’eccezione in senso stretto – chiariscono i giudici di legittimità – ricomprende tutti i vizi d’invalidità dell’atto impositivo per difetto di elementi formali essenziali, incompetenza o violazione di norme sul procedimento, mentre la sola contestazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria si risolve in una mera difesa, estranea al divieto di cui al citato articolo 57 (cfr Cassazione, 19414/2015).
In definitiva, l’amministrazione può prospettare, nella fase di appello, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle evidenziate in primo grado, poiché la posizione dell’ufficio è quella di chi si difende rispetto alla pretesa altrui e la nuova allegazione non costituisce un’eccezione in senso proprio.

La Corte ha, dunque, rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Andrea Santoro
pubblicato Lunedì 5 Giugno 2017


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