Quote cedute, pretesa in pericolo: quel che conta è l’intenzione
Pubblicato il 05/07/17 20:13 [Doc.3357]
di Redazione IL CASO.it


Si tratta di condotta penalmente rilevante in quanto riduce la capacità patrimoniale del contribuente anche se, in definitiva, rende solo più difficile una eventuale procedura esecutiva

Con sentenza 13 giugno 2017, n. 29243, la Cassazione penale ha confermato la natura di reato di pericolo per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: è stato, infatti, condannato un manager che, dopo aver ricevuto l’accertamento fiscale, aveva ceduto le quote dell’azienda, costringendo il Fisco a instaurare un’azione revocatoria per recuperare il suo credito.

La vicenda processuale
Un manager d’azienda, a seguito del ricevimento di due atti impositivi, aveva ceduto le quote societarie ad altre società collegate, trasferendo la sede dell’impresa all’estero ed effettuando, inoltre, dei conferimenti d’azienda.
A seguito di ciò, l’amministrazione finanziaria, per la realizzazione del proprio credito, esercitava azione revocatoria e, in primo grado, il tribunale di Trento condannava il manager per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articoli 81 e 110 del codice penale, e articolo 11 del Dlgs 74/2000), realizzato mediante l’effettuazione di ripetuti atti di trasferimento d’azienda.

La sentenza di condanna del tribunale di Trento veniva successivamente confermata dalla Corte d’appello della stessa città, avverso cui veniva proposto ricorso per cassazione basato su vari motivi volti a denunciare, ad esempio, l’incompetenza territoriale del tribunale, l’inutilizzabilità della memoria del Pm, il travisamento delle prove testimoniali, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato e l’illogicità della motivazione.

La pronuncia della Corte
Con la pronuncia in commento, la Cassazione ha reso definitivo il verdetto di merito, confermando la natura di reato di pericolo del delitto di sottrazione fraudolenta.
In particolare, ad avviso dei giudici, la violazione prevista dall’articolo 11 del Dlgs 74/2000 presenta natura di reato di pericolo poiché è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, la realizzazione di condotte, che la norma individua in alienazioni simulate o in altri atti fraudolenti: si tratta di comportamenti semplicemente idonei a pregiudicare la attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria, ovvero a mettere a repentaglio la realizzazione della pretesa tributaria, anche solo rendendo più difficile una eventuale procedura esecutiva, senza che, quindi, sia necessario che la stessa venga resa non più possibile.

In sintesi, la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare, in tutto o in parte, o comunque a rendere più difficile una eventuale procedura esecutiva, come avvenuto nel caso di specie, con il ricorso del Fisco all’azione revocatoria.
Di conseguenza, la Corte non ha ritenuto rilevanti né il fatto che la cessione di quote non significava, di per sé, mutamento del patrimonio societario né che i conferimenti di ramo d’azienda non avrebbero comportato che gli immobili conferiti continuassero a restare in proprietà dell’azienda (essendo titolare al 100% delle partecipazioni della Srl cui tali conferimenti erano stati effettuati).
In entrambi i casi, infatti, sono stati ritenuti rilevanti gli indubbi ostacoli posti all’azione recuperatoria dell’Erario, non necessariamente richiedenti operazioni di formale compravendita di beni: difatti, nella componente oggettiva del reato, figurano, nell’articolo 11 citato, accanto alle condotte di alienazione, anche “altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni”, tipizzati non già in relazione al loro contenuto, ma in relazione alla loro finalizzazione quale elemento di selezione tra lecita gestione del proprio patrimonio e illecita determinazione.

In definitiva, se anche, nel caso di specie, la sottrazione dei beni all’azione esecutiva dell’Erario fosse stata resa solo concretamente possibile e non necessariamente realizzata, ciò sarebbe bastato per configurare il reato in oggetto, stante la sua natura di reato di pericolo.
È stata, pertanto, ritenuta logica la motivazione della sentenza di secondo grado, confermando la consapevolezza e la volontà del manager di realizzare, attraverso il proprio personale intervento, una serie di atti societari fraudolenti con la finalità di sottrarre la garanzia patrimoniale dei beni dell’azienda ai creditori della stessa e, tra questi, lo Stato.
Inoltre, la pronuncia ha ribadito che, laddove la sottrazione fraudolenta sia il risultato della realizzazione di più atti[1], sinergicamente diretti a raggiungere l’obiettivo programmato, il reato deve essere considerato permanente, protraendosi la consumazione dello stesso per tutto il tempo in cui detti atti siano posti in essere (cfr, Cassazione, terza sezione, pronuncia 37415/2012): il reato deve, dunque, considerarsi unico e non continuato, con le conseguenze che ne derivano in tema di prescrizione.


Maria Lembo

[1] Tra essi, è stata ritenuta rilevante, tra l’altro, ai fini del reato, la designazione di amministratori delle società fiduciarie estere, a soggetti (segnatamente cittadine brasiliane) tecnicamente sprovveduti a ciò prestatisi a fronte del ricevimento di corrispettivi e aiuti vari, tra cui l’alloggio e la possibilità di regolarizzazione di soggiorno in Italia, in modo che continuasse a venire garantito il sostanziale controllo in capo alle società formalmente cedenti.
Maria Lembo
pubblicato Lunedì 3 Luglio 2017


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