In caso di nullità della cessione di crediti, il cedente - nella specie il curatore fallimentare che aveva agito anche in revocatoria - può eccepire la nullità e ripetere le somme, oltre che dal cessionario anche dal debitore ceduto
Pubblicato il 16/04/15 12:40 [Doc.399]
di Redazione IL CASO.it


Tribunale di Taranto, sentenza del 10-04-2015, n. 1264.

In essa si ammette che in caso di nullità della cessione di crediti, il cedente - nella specie in persona del curatore fallimentare che aveva agito anche in revocatoria - possa eccepire la nullità e ripetere le somme, oltre che dal cessionario anche dal debitore ceduto, salvo in caso in cui questi sia in buona fede ex art. 1189 c.c..

Così un passo significativo della motivazione:

"...Questo atto trilatero – quello cioè denominato dalle parti come transazione - a ben vedere completa quello precedente di cessione di crediti.

La sua utilità infatti si esaurisce nell’accettazione della cessione da parte del debitore ceduto( ossia l’opponente, quale mandataria A.T.I.), anche se la stessa si assicura prima, come sopra ricordato, gli oneri dovuti dalla cedente, quale componente l’A.T.I., a titolo di spese per l’esecuzione del lodo.

Non può quindi essere considerato una transazione o un nuovo negozio, posto che non sembra che abbia aggiunto un quid sul piano causale di significativo rispetto al caso normale in cui il debitore ceduto accetta la cessione di crediti.

Il credito è sempre quello derivante dal lodo esecutivo e per il quale si era avuto con il Comune di Trani un accordo sulle modalità di pagamento.

E’ vero che, rispetto cioè ad una normale accettazione ex art. 1264 c.c., venivano anche regolati i rapporti derivanti dall’A.T.I. e quindi, come sopra evidenziato, la società mandataria si assicurava il pagamento degli oneri e spese relativi al lodo; ma si trattava pur sempre di adempimento della pacifica obbligazione derivante dalla costituzione di un’A.T.I.

E non a caso il Fallimento qui non chiedeva il pagamento degli oneri del lodo, che si traducevano in crediti di terzi, quali avvocati, arbitri etc.-

Si tratta insomma di una vicenda che si dispiega sul piano dell’attuazione della cessione del credito, in coerenza con la regola pacifica per la quale il debitore ceduto non partecipa alla nascita del contratto di cessione, rilevando la sua accettazione solo sul piano della sua efficacia ex art. 1264 c.c.: il che vuol dire che da quel momento i pagamenti saranno regolari se avvengono nelle mani del cessionario. L’art. 1260 c.c. infatti non richiede il consenso del creditore; ciò non toglie che se viene dato, come avveniva nel caso di specie, si rimane pur sempre nell’ambito della cessione di un credito meglio della sua attuazione.

Se allora si tratta di una vicenda che rileva sul piano dell’attuazione del rapporto derivante dalla avvenuta cessione di crediti, la nullità di quest’ultima implica anche la derivata nullità di questo accordo e quindi anche i pagamenti dei due ratei precedenti sono da considerare inefficaci in quanto effettuati nei confronti del cessionario e quindi il fallimento, che è subentrato nella posizione del cedente, ha diritto di ripeterli sicuramente dal cessionario; ma, deve ritenersi, anche dal debitore ceduto.

Questi infatti, in quanto comunque terzo rispetto alla cessione( art. 1264 e 1260 c.c.), avrebbe potuto ottenere la liberazione dall’obbligazione se avesse dimostrato la sua buona fede ai sensi dell’art. 1189 c.c.: “Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede”.

Che residuasse uno spazio per l’applicazione di siffatta norma, pur in presenza della nullità della cessione, si desume dal principio sopra affermato che il debitore ceduto risulta estraneo alla genesi della cessione, in quanto non vi partecipa, anche perché per quest’ultimo è indifferente pagare per l’uno o per l’altro; senza contare che può non essere a conoscenza della nullità della cessione.

In altri termini non si configura un concorso apparente delle norme ex art. 1418-1421 c.c. sulla nullità del contratto da un lato, e quella ex art. 1189 c.c sul pagamento in buona fede a chi risulti legittimato, con la conseguente prevalenza della prima sulla seconda; ma un concorso effettivo nel senso della possibile applicazione di entrambe le norme.

Il legislatore insomma deve ritenersi che, pur in presenza di nullità della cessione dei crediti, intenda tutelare la posizione del debitore ceduto, purché questi dimostri di essere stato in buona fede.

Solo che nel caso di specie non veniva dimostrata la buona fede del debitore ceduto; e si ricordi che la cessione avveniva da parte di società che era già in liquidazione e quindi era evidente quantomeno il sicuro pregiudizio che l’atto di cessione avrebbe arrecato ai creditori sociali.

Le difese svolte dalle parti in materia di qualificazione della c.d. novazione invece evocavano una forma di delegazione di pagamento (1269 c.c.), in cui è il debitore (ossia il cedente, se considerato nel suo rapporto con il cessionario - delegatario) a delegare un terzo( delegato) ad eseguire il pagamento in favore del proprio creditore – delegatario; e senza che il delegato avesse assunto l’obbligazione nei confronti del delegatario (come avviene invece nella diversa fattispecie della c.d. delegatio promittenti ex art. 1268).

Tuttavia, come sopra si è visto, si è fuori di questa vicenda negoziale, posto che è da considerare sufficiente l’intervenuta cessione, poi certo accettata dal debitore ceduto, a giustificare l’effetto giuridico rilevante preso di mira dalle parti: la modificazione nel lato attivo del rapporto.


© Riproduzione Riservata