Operazioni triangolari semplificate: le condizioni Ue per usufruirne
Pubblicato il 20/04/18 08:20 [Doc.4572]
di Redazione IL CASO.it


Quando un soggetto è identificato ai fini dell'imposta sul valore aggiunto in più di uno Stato membro, deve considerarsi solo il codice con cui ha effettuato l'acquisto intracomunitario

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell'ambito di una controversia tra una società tedesca e l'Amministrazione finanziaria austriaca e verte sulla corretta individuazione delle condizioni necessarie ai fini dell'attuazione delle misure di semplificazione ai fini Iva nell'ambito delle "operazioni triangolari".
L'obiettivo perseguito da tale disposizione è di esentare dall'Iva il cosiddetto "acquirente/venditore" per l'acquisto intracomunitario da questi effettuato nello Stato membro del luogo di destinazione del bene e, di conseguenza, di dispensarlo dall'obbligo d'identificazione ai fini dell'imposta sul valore aggiunto in tale Paese membro, incombendo al secondo acquirente, stabilito in altro Stato Ue, l'obbligo di assolvere l'imposta relativa alla cessione successiva in tale Stato.

La causa principale
La controversia vede protagonista una società in accomandita stabilita e identificata ai fini Iva in Germania, dove esercita attività di produzione e commercializzazione. Dall'ottobre 2012 all'aprile 2013, la società era identificata anche in Austria e utilizzava il numero di identificazione austriaco per acquistare merci da fornitori tedeschi e rivenderli a un cliente stabilito e identificato ai fini Iva nella Repubblica ceca, facendoli transitare direttamente dai fornitori tedeschi al cliente ceco. Per questo tipo di operazioni, che essa considerava triangolari, la società ricorrente utilizzava esclusivamente il proprio numero di identificazione austriaco.

Sulle fatture emesse, i fornitori tedeschi indicavano il numero di identificazione Iva austriaco della società acquirente. A sua volta quest'ultima emetteva, nei confronti del proprio cliente ceco, fatture recanti il proprio numero identificativo Iva austriaco e il numero identificativo ceco dell'acquirente. Nelle fatture si precisava che le operazioni costituivano "operazioni triangolari intracomunitarie" e che, pertanto, il soggetto passivo era l'acquirente finale.

Nel febbraio 2013 la società tedesca presentava all'Amministrazione finanziaria austriaca elenchi riepilogativi relativi al periodo compreso tra l'ottobre 2012 e il gennaio 2013, indicando il proprio identificativo austriaco e quello ceco dell'acquirente finale. Considerato che nel campo relativo alle "operazioni triangolari" non figurava alcuna indicazione, nell'aprile 2013, la società procedeva alla rettifica di tali elenchi, precisando che si trattava di operazioni triangolari e depositando altri elenchi per i mesi di febbraio e marzo 2013.

L'Amministrazione finanziaria austriaca riteneva che le operazioni tra i fornitori tedeschi e la società tedesca dovessero essere assoggettate all'Iva in Austria a titolo di acquisti intracomunitari e non di operazioni triangolari, in quanto il soggetto passivo non avrebbe adempiuto il proprio obbligo di dichiarazione e neppure dimostrato l'intervenuta imposizione allo stadio dell'acquisto finale nella Repubblica ceca.
L'ufficio finanziario riteneva, inoltre, che gli acquisti intracomunitari dovessero essere considerati effettuati in Austria e non nella Repubblica ceca, perché la società accertata aveva utilizzato un numero di identificazione Iva austriaco.

La società proponeva ricorso dinanzi alla Suprema corte tributaria austriaca, che lo respingeva sulla base del rilievo secondo cui tale acquirente avrebbe perso il beneficio dell'esenzione dall'Iva sui propri acquisti intracomunitari, non avendo adempiuto allo specifico obbligo di dichiarazione richiesto dalla diposizione normativa nazionale.
Avverso tale decisione, la società interponeva ricorso dinanzi alla Suprema corte amministrativa, i cui giudici hanno rilevato profili di incertezza circa l'applicabilità delle norme nazionali in materia di operazioni triangolari.

Dopo aver rilevato che la società fornitrice e la società acquirente sono stabilite, ai fini Iva, ambedue in Germania, il giudice di legittimità focalizza l'attenzione sulla circostanza che i beni sono stati spediti e trasportati a partire da tale Stato membro, alla luce delle disposizioni dell'articolo 141, lettera c), della direttiva Iva e, pertanto, sull'individuazione dell'elemento determinante ai fini della qualificazione dell'operazione. Qualora detto elemento dovesse consistere unicamente "nel numero di identificazione IVA utilizzato dal soggetto passivo", il giudice rileva le potenziali implicazioni di tale soluzione in caso di identificazione al solo scopo di compiere operazioni triangolari.

Le questioni pregiudiziali
In tale contesto, la Suprema corte amministrativa ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
"1) Se l'articolo 141, lettera c), della direttiva [IVA], da cui dipende, a norma dell'articolo 42 (in combinato disposto con l'articolo 197) della direttiva [IVA], la disapplicazione dell'articolo 41, primo comma, della direttiva [IVA], debba essere interpretato nel senso che la condizione ivi indicata non ricorre nel caso in cui il soggetto passivo risieda e sia identificato ai fini dell'IVA nello Stato membro da cui i beni siano spediti o trasportati anche nell'ipotesi in cui il soggetto medesimo utilizzi, ai fini dello specifico acquisto intracomunitario, un numero di identificazione IVA di un altro Stato membro.
2) Se gli articoli 42 e 265 [della direttiva IVA], in combinato disposto con l'articolo 263 della direttiva [IVA], debbano essere interpretati nel senso che soltanto la tempestiva presentazione dell'elenco riepilogativo implichi la disapplicazione dell'articolo 41, primo comma, della direttiva [IVA]".
Il diritto dell'Unione
L'articolo 40 della direttiva Iva prevede che il luogo di un acquisto intracomunitario coincida con il luogo in cui i beni si trovano al momento dell'arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell'acquirente.
Ai sensi del successivo articolo 41, "fatto salvo l'art, 40, il luogo di un acquisto intracomunitario di beni … si considera situato nel territorio dello Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione IVA con il quale l'acquirente ha effettuato l'acquisto, a meno che l'acquirente provi che tale acquisto è stato assoggettato all'IVA conformemente all'articolo 40.
Se l'acquisto è soggetto, in applicazione dell'articolo 40, all'IVA nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni dopo essere stato assoggettato all'imposta in applicazione del primo comma, la base imponibile è ridotta in misura adeguata nello Stato membro che ha attribuito il numero d'identificazione IVA con il quale l'acquirente ha effettuato l'acquisto".

L'articolo 42 pone una deroga all'articolo 41, a condizione che:
"a) l'acquirente dimostri di avere effettuato l'acquisto ai fini di una successiva cessione, effettuata nel territorio dello Stato membro determinato conformemente all'articolo 40, per la quale il destinatario sia stato designato come debitore dell'imposta conformemente all'articolo 197;
b) l'acquirente abbia soddisfatto gli obblighi relativi alla presentazione dell'elenco riepilogativo previsti all'articolo 265".

L'articolo 141 della direttiva dispone che ciascun Stato membro preveda misure per non assoggettare a Iva gli acquisti intracomunitari di beni effettuati nel proprio territorio, a norma dell'articolo 40, qualora siano soddisfatte le condizioni seguenti:
"a) l'acquisto di beni sia effettuato da un soggetto passivo non stabilito nello Stato membro in questione, ma identificato ai fini dell'IVA in un altro Stato membro;
b) l'acquisto di beni sia effettuato ai fini di una cessione successiva di tali beni, effettuata nello Stato membro in questione dal soggetto passivo di cui alla lettera a);
c) i beni acquistati in tal modo dal soggetto passivo di cui alla lettera a) siano direttamente spediti o trasportati a partire da uno Stato membro diverso da quello all'interno del quale egli è identificato ai fini dell'IVA e a destinazione della persona nei confronti della quale egli effettua la cessione successiva;
d) il destinatario della cessione successiva sia un altro soggetto passivo o un ente non soggetto passivo, identificati ai fini dell'IVA nello Stato membro in questione;
e) il destinatario di cui alla lettera d) sia stato designato, conformemente all'articolo 197, come debitore dell'imposta dovuta per la cessione effettuata dal soggetto passivo che non è stabilito nello Stato membro in cui l'imposta è dovuta".

Dal punto di vista degli adempimenti, infine, l'articolo 265 della direttiva prevede che, in ipotesi di acquisti intracomunitari, il soggetto passivo identificato ai fini Iva nello Stato membro che gli ha attribuito il numero di identificazione con il quale ha effettuato tali acquisti, deve menzionare in modo distinto nell'elenco riepilogativo gli elementi seguenti:
il suo numero di identificazione Iva
il numero di identificazione Iva del destinatario della successiva cessione
per ciascuno di detti destinatari l'importo totale, al netto dell'Iva, delle cessioni effettuate.
Sulla prima questione pregiudiziale
Il giudice del rinvio ha chiesto se l'articolo 141, lettera c), della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che la condizione ivi indicata non ricorra nel caso in cui il soggetto passivo risieda e sia identificato ai fini dell'Iva nello Paese Ue dal quale i beni siano spediti o trasportati anche nell'ipotesi in cui tale soggetto utilizzi, ai fini dell'acquisto intracomunitario di cui trattasi, un numero di identificazione di un altro Stato membro.

La citata disposizione stabilisce che i beni oggetto dell'acquisto intracomunitario in questione siano direttamente spediti o trasportati da uno Stato membro diverso da quello in cui il soggetto passivo è identificato ai fini dell'Iva, e a destinazione della persona nei confronti della quale questi effettui la cessione successiva.
Da un'interpretazione letterale della norma sembrerebbe che, considerato che i beni di cui trattasi nel procedimento principale sono stati spediti in Repubblica ceca dalla Germania e che la società ricorrente possedeva un numero di identificazione Iva tedesco, il beneficio dell'esenzione debba esserle negato.

Tuttavia, considerato il contesto e gli obiettivi perseguiti dalla normativa, emerge che la condizione prevista alla citata lettera c) designa uno Stato membro diverso da quello in cui l'acquirente è identificato ai fini dell'Iva per lo specifico acquisto che realizza.
A tal riguardo l'articolo 141, lettera c), della direttiva Iva deve essere inteso, da un lato, nel senso che, nell'ipotesi in cui lo Stato di partenza del trasporto fosse anche quello in cui l'acquirente è identificato per l'acquisto dei beni oggetto del trasporto, ciò significherebbe che tale operazione si è realizzata nello Stato membro stesso e che non potrebbe qualificarsi come "operazione intracomunitaria": in tal caso, l'articolo 141 della direttiva Iva non troverebbe applicazione.
Dall'altro, la citata disposizione deve essere letta alla luce degli articoli 42 e 265 della medesima direttiva e che il citato articolo 265 si riferisce allo Stato membro che ha attribuito all'acquirente il numero di identificazione Iva con cui quest'ultimo ha effettuato i suoi acquisti.

Ne deriva quindi che, quando un soggetto passivo è identificato ai fini Iva in più di uno Stato membro, deve considerarsi solo il numero di identificazione con cui ha effettuato l'acquisto intracomunitario al fine di valutare il soddisfacimento della condizione prevista alla citata lettera c).
D'altra parte, la ratio dell'articolo 141 è "di evitare all'operatore intermedio di una catena di operazioni, come quella definita allo stesso articolo 141, di dover assolvere gli obblighi di identificazione e di dichiarazione nello Stato membro di destinazione dei beni".
In tale prospettiva, il beneficio del regime di semplificazione previsto dalla direttiva Iva non può essere negato a un soggetto passivo, che realizzi un acquisto alle condizioni di cui all'articolo 141, "per il solo motivo che tale soggetto sia identificato ai fini dell'IVA anche nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto intracomunitario" in quanto "tale diniego creerebbe una significativa disparità di trattamento tra i soggetti passivi e rischierebbe di limitare, ingiustificatamente, l'esercizio di attività economiche sulla base delle identificazioni IVA del soggetto passivo".

Sulla seconda questione pregiudiziale
Il giudice del rinvio ha chiesto se gli articoli 42 e 265 della direttiva Iva, in combinato disposto con l'articolo 263 della direttiva stessa, debbano essere interpretati nel senso che ostino all'applicazione, da parte dell'amministrazione finanziaria di uno Stato membro, dell'articolo 41, primo comma, della direttiva, per il solo motivo che, nell'ambito di un acquisto intracomunitario, realizzato ai fini di una successiva cessione nel territorio di uno Stato membro, la presentazione dell'elenco riepilogativo, di cui all'articolo 265 della direttiva Iva, non sia stata tempestivamente effettuata dal soggetto passivo identificato nel medesimo Paese Ue.

Il ragionamento dei giudici parte dalla considerazione che l'articolo 42 della direttiva prevede che l'acquisto intracomunitario è considerato assoggettato a Iva nello Stato di destinazione del trasporto intracomunitario laddove ricorrano le due condizioni cumulative di cui alle lettere a) e b) dell'articolo stesso.
La lettera a) stabilisce che l'acquirente intermedio deve dimostrare di avere effettuato il proprio acquisto ai fini di una successiva cessione per la quale il destinatario sia stato designato come debitore Iva, mentre la lettera b) aggiunge una seconda condizione, secondo cui l'acquirente deve assolvere gli obblighi riguardanti la presentazione dell'elenco riepilogativo previsti all'articolo 265 della direttiva stessa.
Quanto invece all'articolo 263, esso prevede le norme relative ai termini fissati per la presentazione del citato elenco riepilogativo.

Dalla lettura della norma si evince, pertanto, che la condizione di cui alla summenzionata lettera a) ha natura sostanziale mentre quella di cui alla successiva lettera b) è una condizione formale.
In forza del principio di neutralità fiscale dell'Iva è corretto sostenere che il mancato rispetto da parte di un soggetto passivo dei requisiti formali, di cui alla lettera b), non può rimettere in discussione l'applicazione tout court dell'articolo 42 di tale direttiva, quando siano, comunque, soddisfatte tutte le condizioni sostanziali, di cui alla lettera a).
Sostenere il contrario comporterebbe la determinazione di una doppia imposizione "in quanto l'acquirente intermedio sarebbe assoggettato a imposta, a norma dell'articolo 41, primo comma, della direttiva IVA, anche nello Stato membro che gli ha attribuito il numero di identificazione IVA che esso ha utilizzato per tale operazione, mentre l'acquirente finale sarebbe parimenti tassato ai sensi dell'articolo 141, lettera e), e dell'articolo 197 della direttiva IVA".
Tuttavia, gli eurogiudici hanno precisato, in ordine alle conseguenze del mancato rispetto dei requisiti formali, che esistono due ipotesi in cui l'inosservanza di un requisito formale può giustificare l'esclusione dell'applicazione dell'articolo 42 della direttiva Iva:
quando un soggetto passivo abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale che abbia messo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell'Iva
quando l'inosservanza ha come effetto quello di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.
È compito del giudice nazionale verificare se la presentazione tardiva degli elenchi riepilogativi rientri in un disegno fraudolento o abbia avuto come effetto di impedire che fosse fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.

Il giudizio della Corte
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte ha dichiarato i seguenti principi di diritto:
"1. L'articolo 141, lettera c), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, dev'essere interpretato nel senso che la condizione ivi indicata è soddisfatta nel caso in cui il soggetto passivo risieda e sia identificato ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) nello Stato membro dal quale i beni siano spediti o trasportati ma utilizzi, ai fini dell'acquisto intracomunitario di cui trattasi, un numero di identificazione IVA di un altro Stato membro.
2. Gli articoli 42 e 265 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2010/45, in combinato disposto con l'articolo 263 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2010/45, devono essere interpretati nel senso che ostano all'applicazione, da parte dell'amministrazione finanziaria di uno Stato membro, dell'articolo 41, primo comma, della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2010/45, per il solo motivo che, nell'ambito di un acquisto intracomunitario, realizzato ai fini di una successiva cessione nel territorio di uno Stato membro, la presentazione dell'elenco riepilogativo, di cui all'articolo 265 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2010/45, non sia stata tempestivamente effettuata dal soggetto passivo identificato ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) nello Stato membro medesimo".

Data della sentenza
19 aprile 2018

Numero della causa
C?580/16

Nome delle parti
Firma Hans Bühler
contro
Finanzamt Graz-Stadt
Emiliano Marvulli
pubblicato Giovedì 19 Aprile 2018


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