Il regime di contabilità semplificata non esclude l'onere della prova
Pubblicato il 05/02/21 08:42 [Doc.8621]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


La piccola impresa è comunque tenuta a dimostrare che gli accrediti e gli addebiti registrati sul proprio conto bancario non si riferiscono a operazioni imponibili

E' legittimo l'accertamento bancario se il contribuente, titolare di una ditta individuale, al fine di superare la presunzione legale (relativa) di imputazione a ricavi dei prelevamenti e dei versamenti, non ha assolto all'onere di fornire la prova liberatoria analitica in relazione a ogni singola movimentazione e, nei gradi di merito, il giudice si è limitato ad una constatazione "parziale" delle stesse movimentazioni. Questo il principio ribadito dalla Cassazione nell'ordinanza n. 27642 del 3 dicembre 2020.

I fatti
Con avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 1995, recependo le risultanze di un pvc della Guardia di finanza, l'Ufficio ha rilevato, tra l'altro, versamenti non giustificati per euro 29.216 e prelevamenti per euro 29.481 che, non avendo trovato riscontro nella contabilità dell'impresa individuale del contribuente, idraulico installatore, sono stati considerati corrispettivi inerenti all'attività esercitata.

L'accertamento è stato annullato dalla Commissione tributaria provinciale e la sentenza di primo grado è stata poi confermata in appello. In particolare, la Ctr ha rilevato che:

a parere dell'ufficio, la documentazione esibita dal contribuente non era idonea a costituire fondamento della decisione di primo grado in quanto:
si trattava di prospetti riepilogativi contenenti la semplice elencazione delle movimentazioni bancarie (data, oggetto e tipo dell'operazione, importo, descrizione e talvolta numero di registrazione trimestrale Iva acquisti) a fronte delle quali non era stata depositata idonea documentazione che ne attestasse, rispettivamente, la provenienza e la destinazione
nei prospetti presentati, molti prelevamenti, effettuati con assegni recanti la semplice dicitura "me medesimo", non hanno assunto rilevanza ai fini del recupero a tassazione
non trovava riscontro la richiesta dell'ufficio di produrre ulteriore documentazione giustificativa delle movimentazioni bancarie, visto che la verifica si era protratta per un lungo intervallo di tempo (nel complesso era durata due anni)
la pretesa dell'ufficio, di considerare come ricavi le operazioni bancarie costituite da versamenti e da prelevamenti non poteva essere accolta, avendo il contribuente presentato un prospetto che, sebbene incompleto, "era dimostrativo di uno sforzo di notevole ricerca e giustificativo di gran parte delle voci in entrata e in uscita riconducibili al c/c bancario controllato".
L'Agenzia ha proposto ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge (articoli 51, Dpr n. 633/72, 32 Dpr n. 600/73, e 2696 codice civile), in quanto la sentenza della Commissione tributaria regionale aveva posto a carico dell'Ufficio un onere probatorio che gravava, invece, ex lege sul contribuente.
La Corte ha accolto il ricorso e ha affermato che "in tema di accertamenti bancari, … ove il contribuente fornisca prova analitica della natura delle movimentazioni sui propri conti in modo da superare la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, il giudice è tenuto ad una valutazione altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato, non essendo a tal fine sufficiente una valutazione delle suddette movimentazioni per categorie o per gruppi" (Cassazione, n. 27462/2020).

Osservazioni
In tema di accertamenti bancari, l'articolo 32 del Dpr n. 600/1973 e l'articolo 51, comma 2, n. 2, del Dpr n. 633/1972, prevedono una presunzione legale relativa, in base alla quale vanno imputati a ricavi sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti. Sulla base di una valutazione compiuta dal legislatore, infatti, sussiste un margine rilevante di probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all'esercizio dell'attività d'impresa. Di conseguenza, qualora l'accertamento si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, ex articolo 32, comma 1, n. 2, Dpr n. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dagli stessi conti, mentre si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente (Cassazione, n. 4829/2015, n. 5758/2018 e n. 27110/2020). Spetta, quindi, proprio a quest'ultimo superare la presunzione legale dimostrando di aver tenuto conto, nelle dichiarazioni, dei movimenti sui conti bancari, ovvero che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili. In particolare, con specifico riferimento al contenuto di tale onere probatorio, la Cassazione ha affermato che il contribuente deve fornire una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cassazione n. 26768/2020).

Il principio di analiticità della 'prova contraria' non risulta essere in contrasto con il regime di contabilità fiscale semplificata adottato dai contribuenti minori, tra i quali anche la piccola impresa, ai quali è sì consentito di beneficiare di semplificazioni in ordine alla tenuta delle scritture contabili, ma di certo non in ordine al regime probatorio in materia di accertamenti bancari (Cassazione n. 5579/2019 e n. 5580/2019). Ciò in quanto gli articoli 32 Dprn. 600/1973 e 51 Dpr n. 633/1972 trovano applicazione nei confronti della generalità dei contribuenti (Cassazione, n. 1519/2017 e n. 29572/2018) non venendo in rilievo, tra l'altro, nella fattispecie esaminata, le limitazioni riscontrabili in presenza dei soli versamenti per compensi da lavoro autonomo (Corte costituzionale n. 228/2014). Il suddetto principio non subisce neppure attenuazione in presenza di una verifica della Guardia di finanza che sia durata molti mesi, poiché, in tali casi, il contribuente viene a trovarsi "nella maggiore prossimità all'elemento di prova, che può anche essere presuntivo" (Cassazione n. 26946/2020).

Del resto costituisce ius receptum in giurisprudenza che il contribuente, "in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative" (Cassazione n. 26111/2015, n. 11102/2017, n. 10480/2018).
Allo specifico onere di prova contraria incombente sul contribuente, infatti, corrisponde l'obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell'efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall'altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica.
Nella fattispecie esaminata, invece, la Commissione regionale non si è attenuta ai principi di legittimità consolidati in materia e si è limitata a constatare che il contribuente "con la documentazione presentata ha giustificato la gran parte delle voci in entrata e in uscita…" senza specificare quale sia stata la documentazione presa in esame, né le ragioni sulla base delle quali sia stata ritenuta idonea a vincere la presunzione legale. Inoltre la stessa Commissione, riconoscendo esplicitamente che solo "gran parte" delle movimentazioni bancarie erano state giustificate, non ha esplicitato le ragioni sulla base delle quali ha escluso che il contribuente dovesse fornire la prova, posta a suo carico ex lege, per giustificare le movimentazioni rimanenti (non incluse tra la "gran parte" di quelle giustificate) e, di conseguenza, ha erroneamente confermato l'integrale annullamento dell'accertamento. Sarà il giudice del rinvio a riformulare diverse conclusioni alla luce dei principi enunciati dalla Cassazione.


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