Sugli effetti penali e politici del referendum parzialmente abrogativo dell'art. 579 c.p. in tema di eutanasia legale
Pubblicato il 10/02/22 00:00 [Doc.10220]
di Giurisprudenza Penale, Editore e Direttore Guido Stampanoni Bassi


in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 2 - ISSN 2499-846X



Il quesito referendario in oggetto "vuole abrogare parzialmente la norma penale che impedisce l'introduzione dell'eutanasia legale in Italia", ovvero il reato di cui all'art. 579 c.p. che attualmente punisce qualsiasi condotta di omicidio del consenziente.

Il proposito del comitato promotore è chiaro, tanto quanto il quesito referendario che, facendo salve le tutele per le categorie vulnerabili, abroga esclusivamente la fattispecie di omicidio del consenziente, introdotta nel 1930 proprio al fine dichiarato - come si legge dalla Relazione introduttiva al Codice penale - di rendere la vita un bene indisponibile. La diversa disposizione contenuta al comma 3 dello stesso art. 579 c.p., che invece punisce con le sanzioni previste per il reato di omicidio doloso (art. 575 c.p.) la condotta di chi cagioni la morte di uno dei soggetti ritenuti vulnerabili o il cui consenso non sia valido, rimane intatta. La genesi politica di questa iniziativa referendaria è nota: nel 2013 l'Associazione Luca Coscioni, principale componente del comitato promotore del referendum de quo, ha depositato una proposta di legge di iniziativa popolare in tema di eutanasia, senza che questa sia stata discussa in quasi 10 anni dal deposito, coerentemente al disinteresse che il Parlamento aveva dimostrato sin dal 1984, quando il parlamentare Loris Fortuna depositò la prima proposta di legge in tema di fine vita.
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