Le vite degli scrittori - A partire dalle Settantacinque poesie di Kavafis
Pubblicato il 11/11/22 23:00 [Doc.11316]
di Giovanni Zagni, direttore dei progetti di fact-checking PagellaPolitica e Facta.


Qualche giorno fa ho comprato una raccolta di poesie di Kostantinos Kavafis (Settantacinque poesie, Einaudi, 1992) alla stazione ferroviaria di Firenze, mentre aspettavo il treno, attratto da non so che cosa. Il celebre poeta neogreco, ma vissuto quasi tutta la vita ad Alessandria d'Egitto, finisce di solito nelle antologie per Itaca: «Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga…», una delle più celebri tra le infinite rivisitazioni moderne del mito di Ulisse. Non scrisse molto in vita - il suo canone riconosciuto è di appena centocinquantaquattro testi - e lo fece per lo più in età adulta. Aveva un lavoro burocratico nell'amministrazione egiziana, in cui rimase impiegato per lunghi anni in una vita povera di eventi, prima di morire nel 1933, a settant'anni. Questo almeno è quanto si riporta nelle sue biografie sintetiche.

Più ancora di Franz Kafka - anche lui impiegato malvolentieri in un lavoro d'ufficio - la vita di Kavafis mi ha ricordato quella di Sandro Penna, di due generazioni più giovane e di gran lunga uno dei maggiori poeti italiani del Novecento. Li accomunano non solo le vicende biografiche, in entrambi i casi scarne e povere di eventi memorabili, ma anche lo stile: poesie brevi, tanto in Penna quanto in Kavafis, in cui spesso scintillano i corpi, il mare, la voluttà amorosa e le passioni omosessuali, con tutto il portato di sensi di colpa, di fierezza imbarazzata, di esibita trasgressione che ciò si porta dietro per due uomini vissuti in un'altra epoca. Penna è una sorta di Kavafis esuberante, o viceversa Kavafis è un Penna in toni pastello.
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