Dal fallimento alle criptovalute: iter idoneo a configurare un illecito
Pubblicato il 13/11/22 08:44 [Doc.11348]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Non è necessaria una condotta finalizzata ad occultare le origini del denaro essendo sufficiente una qualunque attività volta ad ostacolare la provenienza delle somme

Con la sentenza n. 36027 del 23 settembre 2022 la Sezione penale della Corte di cassazione ha sancito che l'impiego di somme di denaro, distratte dalla società fallita per l'acquisto di criptovalute, configura il reato di autoriciclaggio, trattandosi di operazioni concretamente idonee ad ostacolare l'individuazione della provenienza illecita del denaro. La Corte ha ulteriormente precisato che il delitto è integrato non solo se l'autore pone in essere una condotta che comporti l'assoluto impedimento all'identificazione della provenienza delittuosa del denaro essendo sufficiente, al contrario, una qualunque attività che sia anche solo concretamente idonea ad ostacolare gli accertamenti sulla sua provenienza.

La sentenza
La vicenda ruota attorno al ricorso avverso l'ordinanza del tribunale che ha rigettato la richiesta di riesame, avanzata dall'amministratrice di una società fallita indagata per reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di autoriciclaggio, per l'annullamento di un decreto di sequestro preventivo del proprio conto corrente, in relazione ai reati summenzionati. La ricorrente ha rivestito la qualifica di amministratore unico della società fallita dal 2002 al 2017 e, successivamente, le era stato contestato il ruolo di amministratore di fatto dell'ente, in quanto era stata rinvenuta nella sua abitazione documentazione di natura bancaria da cui era stato desunto il ruolo attivo nella gestione societaria, anche dopo la cessazione della carica di amministratrice unica.

Nel corso del procedimento è stato acclarato che l'indagata, nel periodo in cui era formalmente titolare della carica, aveva dapprima condotto la società al fallimento gravandola di ingenti debiti e successivamente la aveva svuotata della propria consistenza patrimoniale e finanziaria, per infine trasferire la sede all'estero con cambio dell'amministratore, risultato poi soggetto irreperibile.
Per quanto di interesse, nel giudizio è emersa l'esistenza di ingenti somme che sono confluite, senza alcuna giustificazione sostanziale, dai conti della società a favore dell'amministratrice.
Una parte delle somme distratte dalla società sono state poi utilizzate dall'indagata in operazioni altamente speculative, nello specifico acquisto di criptovalute attraverso l'utilizzo di una piattaforma di trading on line, e ciò peraltro pochi giorni dopo l'esecuzione della perquisizione presso l'abitazione dell'amministratrice indagata, a ulteriore riprova del dolo di trasformazione del denaro per impedirne la identificazione e quindi la provenienza delittuosa.

Con specifico riferimento all'acquisto di criptovalute, la Corte di cassazione ha chiarito, in linea con quanto ritenuto dal tribunale, che tali operazioni sono concretamente idonee ad ostacolare l'individuazione della provenienza illecita del denaro, così configurando il reato di autoriciclaggio di cui all'articolo 648-ter.1, introdotto dalla legge n. 186/2014, che punisce "chiunque avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa".
Quanto al reato di autoriciclaggio la Corte di cassazione ha ribadito che, ai fini dell'integrazione del delitto, non occorre che l'agente ponga in essere una condotta di "impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza."

Sulla base di tali motivazioni il collegio di legittimità ha confermato la legittimità del sequestro dei beni finanziari del legale rappresentante pro tempore della società fallita avendo ravvisato, nel caso de qua, il pericolo di aggravamento del reato. Tale circostanza era confermata, tra l'altro, dalla tempistica del reinvestimento del denaro distratto dalla società fallita e dalle modalità con cui il denaro - attraverso vari passaggi intermedi depistanti - è confluito sul conto della ricorrente ed è stato poi reinvestito in criptovaluta, per ulteriormente cercare di cancellare le tracce. Tutti questi elementi confermano evidentemente la capacità di mistificazione dell'indagata, "che non solo ha dato prova di sapersi destreggiare nel drenaggio di fondi societari in suo favore ma ha anche poi non esitato, all'indomani della perquisizione, a trasformare il denaro in criptovaluta".


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