Fatture senza Iva, sanzione valida anche se regolarizzate in seguito
Pubblicato il 04/01/23 00:00 [Doc.11553]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


L'esclusione dall'area della punibilità vale per le sole azioni che non pregiudicano l'attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento

Legittima la sanzione al contribuente, che emette fatture senza applicazione dell'Iva per operazioni imponibili (articolo 6, comma 1, Dlgs n. 471/1997), perché erroneamente ritenute non tali, anche se, successivamente, opera le dovute rettifiche. La sanzione scatta in quanto le fatture in rettifica, emesse in un secondo momento, sono da considerare tardive e la richiesta di disapplicazione non si giustifica nemmeno con la norma relativa al ravvedimento operoso.
Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza n. 33093 del 9 novembre 2022, con cui ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La questione di fondo della controversia attiene alla legittimità dell'irrogazione della richiamata sanzione, laddove la società contribuente abbia provveduto alla rettifica successivamente all'emissione delle fatture, regolarizzandole mediante l'emissione di nuovi documenti contabili con l'indicazione dell'esatto imponibile Iva.
Secondo la Cassazione, la sanzione è comunque legittima, in quanto l'esenzione vale solo per le violazioni meramente formali, che non incidono su base imponibile e imposta e non ostacolano l'attività accertativa (cfr Cassazione, pronuncia n. 16450/2021).
La successiva rettifica, compiuta dalla contribuente non è tale da far venire meno l'inesattezza delle fatture in precedenza emesse senza alcun addebito di Iva. L'emissione della fattura comporta l'immediata esigibilità dell'imposta, e di conseguenza, da quel momento si sarebbe dovuta versare l'Iva.

Pertanto, nel caso in esame, dove la fattura è stata emessa, seppure senza alcun addebito di Iva, la società contribuente non ha assolto il proprio onere di pagamento sin dal momento in cui era insorto. Le successive retti?che operate hanno rilevanza unicamente ai fini della non sussistenza di una pretesa dell'amministrazione finanziaria di pagamento dell'Iva, in considerazione dell'eventuale successiva regolarizzazione della propria posizione e dell'adempimento degli obblighi di pagamento. Tuttavia, questo non può comportare il venire meno della sanzione.

L'esclusione dall'area della sanzionabilità, infatti, è riconducibile alle sole azioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo; mentre sono sanzionate le condotte che incidono negativamente sul risultato parziale di esercizio derivante dalla liquidazione dell'Iva, rendendolo sfavorevole per l'erario.

Nel caso all'attenzione della Cassazione, il comportamento della contribuente, che ha emesso fatture senza addebito di Iva, comporta un effetto incidente sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e del conseguente versamento del tributo, non avendo la società adempiuto l'onere di provvedere al pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto addebitare e, conseguentemente, versare in favore dell'erario nei tempi dovuti. Peraltro, la contribuente aveva presentato istanza di rimborso di Iva a credito relativa al primo trimestre, benché avesse emesso fatture senza addebito di Iva, in tal modo rendendosi evidente anche l'interferenza con l'azione di controllo dell'erario. La condotta della contribuente, dunque, non costituisce una violazione formale escludibile dalla sanzione.

Ulteriori osservazioni (violazioni formali e meramente formali)
In tema di sanzioni amministrative tributarie, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali è necessario accertare in concreto, con valutazione di fatto riservata al giudice di merito, se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta o del versamento del tributo. In assenza di tale pregiudizio, la violazione resta formale perché lesiva per l'esercizio delle azioni e dei poteri di controllo da parte dell'amministrazione finanziaria (cfr Cassazione, pronuncia n. 901/2019).

Proprio in ambito Iva, in tema di reverse charge, recentemente la Cassazione ha chiarito che il ritardo assume rilievo se e in quanto esso incida sulla liquidazione periodica dei tributi, altrimenti si considera una violazione meramente formale non punibile. Mentre il ritardo lieve, che non incide - neppure in relazione al complesso delle operazioni rilevanti - sulla liquidazione delle imposte, deve ritenersi invece improduttivo di ogni effetto quanto ai termini fissati per il versamento dell'imposta.
Nel caso di asimmetria tra imposta da versare e diritto di detrazione, infatti, l'autofatturazione che intervenga tardivamente, ma prima della liquidazione mensile o periodica per valori regolarmente computati, non determina alcuna variazione sui versamenti dovuti; viceversa, il compimento delle operazioni oltre tale momento integra, non solo un ritardo delle stesse, ma anche un minor versamento alla scadenza di legge (cfr Cassazione n. 8283/2022).
In sostanza, il lieve ritardo nell'autofatturazione effettuata prima della liquidazione periodica non è punibile ai fini dell'omesso versamento ai sensi dell'articolo 13 del Dlgs n. 471/1997; mentre, per il ritardo oltre tale momento, scatta la sanzione che va comunque irrogata in misura proporzionale all'entità del ritardo.


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