Fornitore e operazioni inesistenti: spunti in tema di onere della prova
Pubblicato il 16/02/23 00:00 [Doc.11718]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


La Cgt di Prato ancora alle prese con aziende fantasma, una prassi ben conosciuta in quel distretto tessile, dove non è insolito che una società reale utilizzi una cartiera per ottenere un risparmio fiscale

Con la sentenza n. 223/01/2022, dello scorso 13 dicembre, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Prato è tornata a occuparsi di operazioni inesistenti, fornendo interessanti spunti in materia di onere probatorio. In particolare, i giudici hanno riconosciuto la fittizietà del fornitore, in quanto:
- evasore totale non versava "alcuna imposta né diretta, né Iva, né ritenute in qualità di sostituto d'imposta"
- irreperibile, "con carichi tributari e contributivi a ruolo"
- di breve durata
- emetteva fatture del tutto generiche
- compilava lo "spesometro con dati non corrispondenti con quelli dichiarati dalla società ricorrente, le cui fatture riportano descrizioni generiche senza riferimento a documenti di trasporto"
- aveva un solo cliente, nei confronti del quale vantava cronicamente un cospicuo credito (non estinto nemmeno dopo la cessazione dell'attività)
- sosteneva ingenti costi, al cospetto degli irrisori ricavi dichiarati
- anche dopo la cessazione, continuava a emettere fatture.

Neppure la documentazione attestante la presunta regolarità della posizione contributiva ha convinto la Corte: come dimostrato dall'ufficio, il singolo versamento documentato era "strettamente funzionale al conseguimento del Durc, ma una volta ottenuta tale attestazione - la società - non ha più versato alcun contributo".

La questione sottoposta ai giudici riguardava l'interposizione fittizia di una ditta fantasma, che apparentemente eseguiva prestazioni di confezionamento nei riguardi della ricorrente, ma che in realtà si limitava a emettere fatture, consentendo alla società di portare in detrazione l'Iva (che la ditta non versava affatto) e di abbattere l'elevato ammontare dei ricavi dichiarati.
Dopo la cessazione della cartiera, ne veniva costituita un'altra, intestata a un diverso soggetto, che acquisiva la sede e i dipendenti formalmente assunti dalla precedente e che scompariva nell'arco di un paio d'anni: aziende "apri e chiudi" (caratterizzate, cioè, da un rapido turn over dell'attività produttiva), operanti solo come teste di legno, al fine di agevolare la fruizione di un risparmio fiscale da parte di altre imprese.

Insomma, un meccanismo ben congegnato al fine di generare un'"apparenza" del tutto verosimile, tanto che la società ricorrente era risultata vittoriosa nei contenziosi relativi ai due anni d'imposta precedenti; nonostante le pronunce sfavorevoli, l'ufficio è rimasto fermamente convinto della bontà del recupero e della sua rilevanza, trattandosi di un disegno evasivo che si sta pericolosamente insinuando nel mercato locale.
Si tratta, infatti, di una prassi ben conosciuta nel distretto tessile pratese, ove non è insolito che una società "reale" si avvalga di una cartiera ubicata in un immobile attiguo, facendole apparentemente assumere i propri dipendenti e dichiarare una parte dei propri ricavi, onde ottenere un duplice vantaggio:

l'azienda effettiva incrementa i propri costi e riduce l'imponibile
i ricavi dichiarati dalla cartiera non saranno mai sottoposti a tassazione (poiché la cartiera, evasore totale, sparirà nel nulla una volta raggiunta dal Fisco), e anche le omissioni contributive a danno dei dipendenti non saranno oggetto di recupero.
Nel caso concreto, la Corte di giustizia pratese non si è lasciata sviare dalla mole di documentazione prodotta in giudizio, e ha respinto il ricorso, ritenendo mancanti "negli atti di difesa considerazioni documentate, tecnicamente e contabilmente riscontrabili, circa l'inserimento nel ciclo produttivo aziendale delle specifiche lavorazioni eseguite dai fornitori…".

La posizione dei giudici pratesi ricalca quella della Cassazione, che attribuisce rilevanza, ai fini della prova circa l'inesistenza delle operazioni, alle seguenti circostanze:

il fornitore "aveva avuto breve vita e non disponeva di strutture, era inosservante degli obblighi di versamento delle imposte e degli altri obblighi fiscali" (cfr Cassazione, n. 29318/2018)
la "genericità della fattura non contenente l'indicazione della 'natura, quantità e qualità dei servizi forniti' D.P.R. Iva, ex art. 21; la "mancata indicazione delle modalità di pagamento per importi rilevanti; qualità di evasori totali delle ditte che hanno emesso le fatture" (cfr Cassazione, n. 1213/2020)
"la circostanza che tale ditta aveva lavorato quasi esclusivamente per il contribuente nonché l'ulteriore elemento, alquanto anomalo, che il cessionario di una prestazione fosse rimasto creditore del G. di oltre un miliardo delle vecchie L.…" (cfr Cassazione, n. 4847/2014).
Al cospetto di tali elementi, non vi è alcun dubbio circa l'inesistenza delle operazioni poste in essere, di conseguenza, grava "sul contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate… Ovviamente tale prova non potrà consistere nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali sono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia" (cfr Cassazione, n. 15787/2022).

La Corte provinciale ha, infine, respinto l'eccezione, formulata dal contribuente a ridosso dell'udienza, secondo cui l'avviso di accertamento impugnato avrebbe dovuto ritenersi destituito di prova in virtù della novella normativa recata dall'articolo 6, della legge n. 130/2022, che ha introdotto l'articolo 7, comma 5 bis, nel Dlgs n. 546/1992, secondo cui "Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente..".
Come chiarito anche dalla Cassazione, infatti, tale norma non ha comportato un onere probatorio "diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia", ma "è coerente con le ultime modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale" (cfr Cassazione, n. 31878/2022).


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