Il decreto legge n. 34/2023 ha introdotto una nuova causa di non punibilità per i reati elencati dal Dlgs n. 74/2000, in particolare quelli di “omesso versamento di ritenute” (articolo 10-bis), “omesso versamento di Iva” (articolo 10-ter) e “indebita compensazione” con utilizzo di crediti non spettanti (articolo 10-quater, comma 1).
Secondo la nuova disposizione, detti reati non sono punibili “quando le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente secondo le modalità e nei termini previsti dall’art. 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, purché le relative procedure siano definite prima della pronuncia della sentenza di appello”.
Questa nuova ipotesi si affianca a quella già prevista, per gli stessi reati, dall’articolo 13 del Dlgs n. 74/2000 nel caso in cui, prima dell’apertura del dibattimento, il contribuente provveda a estinguere il debito tributario “mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”.
La disposizione contenuta nell’articolo 23 del Dl n. 34/2023 consente, dunque, a tutti quei contribuenti che hanno dilazionato il debito fiscale con l’Agenzia delle entrate, avvalendosi degli strumenti deflattivi previsti dalla “tregua fiscale” (legge di bilancio n. 197/2022), di beneficiare della causa di non punibilità in ambito penale, pur a fronte di dilazioni molto ampie (fino a cinque anni). Sotto questo profilo, pertanto, lo “scudo penale” ha l’indubbio vantaggio di incentivare i contribuenti a definire le pretese tributarie con l’Amministrazione, spinti anche dalla “leva” penale.
Come detto, la nuova causa di non punibilità riguarda soltanto i reati di omesso versamento di ritenute, di Iva e di indebita compensazione con crediti non spettanti.
Qual è allora la norma di legge applicabile alle altre fattispecie incriminatrici disciplinate dal Dlgs n. 74/2000?
In linea di principio, tutte le definizioni agevolate possono consentire la non punibilità o l’abbattimento delle pene fino alla metà.
In particolare, analizzando le singole definizioni previste dalla legge di bilancio 2023, sempre che intervengano prima dell’apertura del dibattimento, si può affermare che:
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tutte le definizioni agevolate possono integrare circostanza attenuante (articolo 13-bis, Dlgs n. 74/2000)
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il ravvedimento operoso speciale (commi da 174 a 178) può integrare la non punibilità per dichiarazione infedele o fraudolenta, sempreché venga eseguito prima che l’interessato sia venuto a conoscenza dell’inizio di un controllo fiscale (articolo 13, comma 2, Dlgs n. 74/2000).
Al riguardo, occorre prestare particolare attenzione nel caso in cui queste definizioni vengano eseguite con pagamento rateale.
Gli articoli 13 (per la “causa di non punibilità”) e 13-bis (per la circostanza attenuante) del Dlgs n. 74/2000, richiedono, infatti, che il contribuente provveda all’integrale pagamento del dovuto prima dell’apertura del dibattimento di primo grado.
Segnaliamo, tuttavia, la recente pronuncia n. 28031 del 28 giugno 2023 della Corte di cassazione, che valorizza il pagamento rateale del debito tributario, intervenuto anche dopo l’apertura del dibattimento di primo grado, ai fini dell’applicabilità dell’ulteriore causa di esclusione della punibilità costituita dalla “particolare tenuità del fatto”, ai sensi dell’articolo 131-bis cp. La disposizione – rientrante nella “Riforma Cartabia” – stabilisce che “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
La suprema Corte, sul punto, ha più volte ribadito che “gli effetti della causa di non punibilità si producono soltanto al momento dell’integrale pagamento del debito e degli accessori, non essendo dunque sufficiente la sottoscrizione di un accordo con l’Ufficio (…) o comunque una istanza volta a dichiarare la propria volontà ad aderire ad una specifica definizione agevolata cui consegua un pagamento dilazionato, posto, peraltro, che l’interessato, una volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente” (cfr Cassazione, pronunce nn. 5640/2012, 51038/2018 e 10730/2023).
In conclusione, il contribuente soggetto ad accertamento fiscale avente rilevanza penale, che intenda avvalersi degli istituti definitori introdotti dal legislatore dell’ultimo Bilancio, potrà ottenere benefici anche in ambito penale.
In generale, dovrà presentare, entro il 30 settembre 2023, apposita domanda di definizione, utilizzando il modello ad hoc, quello approvato con un provvedimento del direttore dell’Agenzia dello scorso 1° febbraio; eseguire il pagamento integrale delle somme dovute prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e invocare l’applicazione della circostanza attenuante (ex articolo 13-bis, Dlgs n. 74/2000).
Così procedendo potrà, altresì, beneficiare dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta (articolo 444 cpp) e della non applicazione delle sanzioni accessorie stabilite dall’articolo 12 dello stesso Dlgs n. 74/2000.
Nello specifico caso in cui la contestazione (tributaria e penale) riguardi l’omesso versamento di ritenute, il mancato versamento di Iva (la soglia di rilevanza penale è data dall’Iva evasa superiore a 250mila euro) o l’indebita compensazione a mezzo crediti non spettanti (la rilevanza penale scatta solo quando l’indebita compensazione superi la somma di 50mila euro annui), aderendo alla definizione, sarà possibile avvalersi dello “scudo penale” di cui all’articolo 23 del Dl n. 34/2023, chiedendo, in sede penale, l’applicazione della nuova causa di non punibilità. In questo caso, inoltre, il contribuente, fino a quando non sia stata pronunciata la sentenza di appello, potrà altresì rateizzare fino a 20 rate trimestrali il debito derivante dalla “tregua fiscale”, posto che il processo penale risulta sospeso sino all’effettivo e integrale pagamento del debito tributario.