La mancata esibizione delle scritture contabili obbligatorie e il rinvenimento di documentazione extracontabile, nello specifico di brogliacci a nero, legittimano la ricostruzione induttiva dei ricavi, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, Dpr n. 600/1973. Lo ha ribadito la Corte di giustizia tributaria della Toscana con la recente pronuncia n. 957/2/2023.
Nel caso sottoposto ai giudici fiorentini, al momento dell’accesso, i verificatori reperivano un accurato prospetto, contenente l’analitica elencazione delle rimanenze della società, sul tavolo del legale rappresentante.
Alla richiesta di esibizione della documentazione contabile, la società allegava il libro degli inventari, che, però, era privo dell’obbligatoria distinta delle rimanenze.
Il rinvenimento della documentazione poneva la società in una situazione quanto mai delicata: vi erano, infatti, indizi massimamente gravi, precisi e concordanti, circa l’occultamento di ingenti ricavi, e quindi sussistevano, sin da subito, fondate probabilità che la verifica in corso si chiudesse con importanti rilievi fiscali.
La società non spiegava, in alcun modo, ai verificatori né il significato del prospetto a nero delle rimanenze, né le ragioni della mancanza del prospetto in chiaro delle stesse.
La parte si limitava ad asserire che il software di magazzino in uso non consentiva di esaminare i dati relativi agli anni passati; il che era, però, sconfessato dalla nota integrativa al bilancio, ove si dava atto dell’attivazione di un programma di logistica per la gestione informatica del magazzino.
Ecco però che, dopo un paio di giorni, lo scenario pareva cambiare completamente; infatti, i verificatori erano raggiunti da una mail contenente lo stesso prospetto delle rimanenze reperito sul tavolo del legale rappresentante, con indicazione degli stessi prodotti e degli stessi prezzi, ma corredato da valori ben più che decuplicati e (soprattutto) recante un saldo pari esattamente il valore delle rimanenze finali indicato in bilancio.
L’esibizione del dettaglio delle rimanenze lasciava irrisolta la questione del prospetto rivenuto sul tavolo del legale rappresentante: nessuna spiegazione era offerta sul punto; tale silenzio – serbato su una circostanza a dir poco fondamentale per le sorti della società, cui si apriva chiaramente lo spettro di un induttivo legittimato dal reperimento di documentazione a nero – appariva del tutto inspiegabile, sol se si consideri quello che è avvenuto dopo.
Infatti, l’evento più singolare (e funzionale agli interessi della società) si verificava successivamente alla notifica dell’accertamento, quando – dopo mesi d’istruttoria intessuta ai fini dell’adesione – la società presentava ricorso, e improvvisamente ricordava, che il brogliaccio acquisito dai verificatori riguardava, in realtà, un deposito merci situato nei pressi della sede della società.
Costituendosi in giudizio, l’ufficio eccepiva che, a meno di non dover credere a improvvise amnesie della parte, fosse ragionevole ritenere che una simile decisiva circostanza avrebbe potuto, quantomeno, essere menzionata ai funzionari durante la verifica. Sussisteva, dunque, più di un motivo per sottoporre a un’accurata analisi critica l’attendibilità della dichiarazione – del tutto sfornita di documentazione probatoria – secondo cui il prospetto a nero, rinvenuto sul tavolo del legale rappresentante, non costituiva contabilità parallela, ma rappresentava il legittimo elenco delle rimanenze immagazzinate nel vicino deposito aziendale della società.
All’esito del giudizio di primo grado, inaspettatamente, la Commissione, oltre a esprimere un’inspiegabile reticenza nel conferire valore probatorio ai prospetti extracontabili, sviliva totalmente la circostanza, invero decisiva, dell’omessa esibizione dei verificatori, al momento dell’accesso, del dettaglio delle rimanenze, ritenendo tutto sommato congruo l’invio delle stesso nell’intervallo temporale di due giorni. Così, al cospetto di plurime e ripetute violazioni, i giudici ritenevano che la contabilità andasse considerata, comunque, attendibile e che le violazioni non dovessero considerarsi gravi, sì da legittimare l’accertamento induttivo.
Sulla scorta di tali elementi, il ricorso veniva accolto e il provvedimento impositivo annullato.
La Corte tributaria regionale, rivalutata complessivamente la vicenda, ha invece dichiarato lapidariamente che “gli accertatori hanno a tutti gli effetti rinvenuto un brogliaccio di contabilità parallela, su cui la contribuente ha offerto solo congetture giustificative ma nessuna prova concreta in senso contrario. La differenza quantitativa delle rimanenze verificata attraverso tale documento extracontabile non ha trovato nessuna altra concreta spiegazione, per cui correttamente dal fatto certo (prospetto extracontabile dell'ex amministratore, peraltro di chiara leggibilità, e sensibile differenza sulle rimanenze) si è proceduto a ritenere la "vendita a nero" di quanto non rinvenuto, con applicazione di criteri di calcolo coerenti alla media di settore”.
I giudici toscani hanno conferito rilievo a un ulteriore elemento, idoneo ex se a legittimare il ricorso all’induttivo: il mancato possesso di regolari distinte inventariali.
Il libro degli inventari è un adempimento prescritto sia dalla normativa civilistica (articolo 2214 cc) che da quella fiscale (articolo 14, comma 1, Dpr n. 600/1973), obbligatorio per i soggetti titolari di reddito d’impresa in regime di contabilità ordinaria, per obbligo di legge o per opzione.
Tale scrittura svolge la funzione di dare evidenza della situazione economica e patrimoniale dell’impresa, con riferimento a un determinato periodo, al fine di fornire le seguenti informazioni (articoli 2217 cc e 15, Dpr n 600/1973)
a) l’indicazione e la valutazione analitica degli elementi patrimoniali attivi e passivi
b) la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo (il dettaglio delle rimanenze)
c) il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite.
Correttamente, la Ctr attribuisce significato al fatto che il libro Inventari – all’atto di accesso dei verificatori – era del tutto privo della classificazione delle rimanenze.
Ebbene, l’articolo 52, del Dpr n. 633/1972, preclude l’utilizzabilità di documentazione non esibita in sede di accesso, a meno che il contribuente non dimostri l’indisponibilità dei documenti per causa a lui non imputabile (forza maggiore, fatto del terzo, caso fortuito – cfr Cassazione, nn. 24503/2015 e n. 27794/2022).
Tale preclusione probatoria trova una giustificazione proprio nella condotta non collaborativa o, comunque, omissiva del contribuente e quindi nella sostanziale sfiducia riservata dall’ordinamento nella genuinità di documenti o dati non esibiti immediatamente, su richiesta dell’Amministrazione finanziaria.
Queste regole probatorie, infatti, “servono a garantire la genuinità delle prove stesse, stabilendone i limiti di utilizzabilità specialmente quando, come nella specie, vi siano comportamenti anomali on giustificati…”; in tali casi, “è naturale che il legislatore guardi con sospetto la tardiva produzione” (cfr Cassazione, n. 1030/2002).
Così nel caso in esame, ove il sospetto dei verbalizzanti era legittimato da un’ulteriore e decisiva circostanza: il reperimento – sul tavolo del legale rappresentante – esattamente del prospetto delle rimanenze mancante, oltre alla circostanza che, invece, il dettaglio relativo all’anno precedente era stato stampato ed esibito immediatamente.
Alla luce di tali elementi, conclude correttamente la Corte toscana:
“E' la stessa parte contribuente, del resto, a riconoscere che gli appunti rinvenuti dagli accertatori costituiscono un prospetto extracontabile - molto analitico - ad usum dell'ex amministratore e la circostanza che le distinte circa la rimanenze … non fossero immediatamente comprese nelle scritture contabili, ma "stampate" solo a richiesta dell'Ufficio a... distanza dall'accesso eseguito, sicuramente costituiscono elementi più che mai validi a sostenere l'inattendibilità delle altre scritture formalmente corrette nonché a costituire ostacolo all'attività di accertamento”.
Come ricordato dai giudici toscani, dunque, costituiscono elementi idonei a legittimare l’induttivo: la mancata esibizione di scritture contabili obbligatorie (il prospetto delle rimanenze); la documentazione extra-contabile (che nel caso concreto concerneva proprio, guarda caso, le rimanenze di magazzino).