Crisi d'impresa: La preponderanza del debito fiscale preclude l'accesso al cram down
Pubblicato il 12/01/24 08:32 [Doc.12842]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Fra le cause ostative rilevate dall’amministrazione e accolte dal tribunale, il mancato deposito, nei tempi previsti, della documentazione da allegare alla proposta di transazione

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Deve essere considerata inammissibile la richiesta di omologa forzosa quando appare evidente l'assoluta preponderanza della posizione debitoria fiscale e previdenziale oggetto della proposta transattiva non accettata dai competenti Enti rispetto ai creditori aderenti. Diversamente l'istituto del cram down si trasformerebbe nell'imposizione di una soluzione unilaterale predisposta da chi abbia maturato debiti quasi esclusivamente nei confronti di soggetti pubblici.
Il tribunale Roma, con la sentenza, 31/10/2023, n. 594, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di cram down.
Nel caso di specie, per quanto di interesse, la società richiedeva l'omologa degli accordi di ristrutturazione conclusi con 8 creditori “minori” e, in applicazione dell'articolo 63, comma 2-bis, Codice della crisi d’impresa, l'omologa degli accordi di ristrutturazione con Agenzia delle entrate, Agenzia delle entrate-Riscossione e Inps in mancanza dell'adesione dei detti enti.
Il piano di ristrutturazione presentato prevedeva, tra le altre, il pagamento immediato alla definitività del decreto di omologa, del debito erariale privilegiato sino alla concorrenza di euro 1.615,19 e il pagamento in cinque anni 60 rate mensili dell'8,52% del restante debito erariale degradato a chirografo.

Entro il termine di trenta giorni decorrenti dall'iscrizione nel registro delle imprese della domanda di omologa, l’Agenzia delle entrate si opponeva all'omologa degli accordi di ristrutturazione.

L'Agenzia deduceva di avere constatato che la proposta di transazione fiscale inviatale non era corredata da alcuni documenti la cui trasmissione risulta prescritta dall'articolo 57 Ccii e segnatamente l'elenco dei creditori con l'indicazione dei relativi crediti e delle cause di prelazione, l'elenco nominativo dei titolari di eventuali diritti, reali o personali, su beni rientranti nel patrimonio della società, l'indicazione dei crediti e dei creditori ai quali era stata proposta una rinegoziazione e lo stato delle relative trattative, con rappresentazione anche delle risorse destinate al soddisfacimento delle diverse tipologie di crediti. L'attestazione che la accompagnava non era inoltre aggiornata all'esatta consistenza della posizione debitoria fiscale.

L’amministrazione rilevava poi come la documentazione mancante fosse stata trasmessa solo in seguito, con la conseguenza che la domanda di omologa doveva ritenersi inammissibile, atteso che, affinché il termine di novanta giorni possa iniziare a decorrere è essenziale che il debitore abbia provveduto a depositare e sottoporre al vaglio dei creditori istituzionali tutti i documenti prescritti dall'articolo 63, comma 2, Ccii.
Ad avviso dell'opponente poi la domanda era comunque da respingere, non avendo la ricorrente presentato al tribunale, né tanto meno iscritto nel Registro delle Imprese, alcun accordo con i creditori, alcuni dei quali, pari peraltro a meno del 7% del ceto creditorio, avevano solo “manifestato” l'intenzione di aderire alla proposta di pagamento falcidiato, laddove però il meccanismo del cram down può operare solo se la proposta transattiva si inserisca in un accordo complessivo formalizzato con un numero significativo di creditori.
Infine, secondo Agenzia delle entrate, la relazione attestativa non aveva neppure fornito la dimostrazione della convenienza della proposta di transazione fiscale rispetto all'alternativa liquidatoria, non avendo la stessa minimamente tenuto conto delle utilità ritraibili nello scenario liquidatorio dall'esercizio di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori della società, o di azioni revocatorie e non avendo in alcun modo verificato la consistenza patrimoniale degli eventuali soggetti passivi delle indicate azioni.

Il tribunale riteneva la domanda di omologa degli accordi di ristrutturazione inammissibile, evidenziando come “la pur frastagliata disciplina che il Codice della Crisi dedica agli accordi di ristrutturazione e alla loro omologazione conferma la necessità che detti accordi siano innanzitutto consacrati in un testo scritto e siano poi pubblicati nel Registro delle Imprese”.
La normativa, rilevavano i giudici, impone infatti necessariamente la pubblicazione nel registro delle imprese non solo della domanda di omologa ma anche degli accordi che ne costituiscono l'oggetto, non potendo diversamente i soggetti legittimati a proporre opposizione valutare il contenuto degli accordi e la convenienza o meno del trattamento ad essi riservato rispetto ad altri creditori concorrenti.
Nel caso di specie, invece, nessun accordo che rispondesse ai requisiti formali richiesti risultava essere stato presentato al tribunale, né tanto meno pubblicato nel Registro delle Imprese.
La società proponente, del resto, assumeva di avere raggiunto accordi con 8 creditori, per un ammontare complessivo di crediti pari ad euro 30.695,62 a fronte di un debito erariale e previdenziale per complessivi euro 1.201.080.

A parte però il fatto che tre degli otto creditori classificati come "aderenti" non lo erano affatto, anche i restanti cinque creditori, per un ammontare complessivo di crediti pari a Euro 26.601,52, non avevano consacrato tali adesioni in un accordo scritto che contenesse le indicazioni degli elementi del piano economico finanziario che ne consentisse l'esecuzione, così come prescritto dall'articolo 57 comma 2 Ccii, né, naturalmente, alcun accordo era stato pubblicato nel Registro delle Imprese, come prescritto dall'articolo 48, comma 4, Ccii. Da qui, concludeva il tribunale, derivava l'inammissibilità della domanda.

Oltretutto, rilevavano i giudici, era evidente “l'assoluta preponderanza della debitoria fiscale e previdenziale oggetto della proposta transattiva non accettata dai competenti Enti (Euro 1.201.080) rispetto ai crediti aderenti (Euro 26.601,52)”, mancando quindi anche i presupposti per l'applicabilità dell'articolo 63, comma 2-bis, Ccii, che, nel prevedere che il tribunale possa omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, presuppone pur sempre che degli accordi di ristrutturazione siano stati raggiunti con altri creditori e con una quota sufficientemente significativa e non irrisoria o del tutto marginale degli stessi.

Diversamente, afferma il tribunale, “l'istituto del cram down, lungi dall'essere quello strumento che il legislatore a suo tempo in piena epoca pandemica predispose per evitare ingiustificati poteri di veto dei creditori istituzionali a fronte di accordi conclusi con soggetti privati titolari di pretese creditorie significative, (...) si (...) trasformerebbe nell'imposizione all'Amministrazione finanziaria ed agli Enti previdenziali di una soluzione unilaterale predisposta da chi abbia maturato debiti quasi esclusivamente nei confronti di tali soggetti pubblici”.
Un ulteriore profilo di inammissibilità della domanda era infine ravvisabile anche nel mancato decorso del termine di novanta giorni dalla trasmissione della proposta di transazione fiscale e previdenziale alla data del deposito di detta domanda, osservando il collegio che il Ccii prevede che la proposta di transazione debba essere depositata presso gli uffici indicati all'articolo 88 comma 3 Ccii (l'ufficio del competente agente della riscossione, l'ufficio fiscale e l'ufficio previdenziale territorialmente competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore) unitamente alla documentazione necessaria ai fini della valutazione (e dunque unitamente al piano, ai documenti di cui all'articolo 39, commi 1 e 3, Ccii, ed alla relazione attestativa).
In sostanza, dal combinato disposto delle norme emergeva quindi che, nella specie, il termine di novanta giorni per la formazione del silenzio rifiuto decorreva dalla data di deposito della documentazione necessaria mancante, con la conseguenza che, alla data del deposito della domanda di omologa, il termine dei novanta giorni non era in realtà ancora decorso.

A prescindere dallo specifico caso processuale, si ricorda comunque che, con la conversione in legge del Dl n. 69, l'articolo 63 del Ccii è stato modificato in senso ancora più “restrittivo”.
L'effetto della modifica è che adesso, in caso di accordi di ristrutturazione dei debiti, il cram down sarà possibile solo se il debitore verserà il 30% del debito per imposta, interessi e sanzioni e se gli altri creditori aderenti all'accordo rappresentino almeno il 25% dell'intero debito da ristrutturare. Se i creditori aderenti sono, invece, meno di un quarto la percentuale da pagare dovrà salire al 40%, il tutto comunque tenendo presente lo scenario della liquidazione giudiziale, che deve risultare in ogni caso meno vantaggioso.

di Giovambattista Palumbo

 

 

 


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