L'onere di proseguire, riassumere o integrare il giudizio grava sul contribuente
Pubblicato il 18/01/24 08:39 [Doc.12862]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


L’inattività determina la “quiescenza” della lite, che prosegue solo nel caso in cui chi abbia interesse compia un atto di impulso, entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice

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La Corte di giustizia tributaria di II grado delle Marche, con la sentenza n. 976 del 21 novembre scorso, ha chiarito che, nel processo tributario, l'onere di proseguire, riassumere o integrare il giudizio grava sul contribuente, che lo deve esplicare in un termine stabilito e nelle ipotesi tassative di legge, atteso che l'interesse primario a impedire l'estinzione del giudizio, alla quale consegue la definitività dell'accertamento impugnato, fa evidentemente sempre capo a esso.

Al centro della controversia vi erano una serie di avvisi di accertamento, notificati a numerosi soggetti, tutti ritenuti soci di una società di fatto da un ufficio marchigiano dell’Agenzia delle entrate.
Alcuni dei soci proponevano ricorso alla Ctp di Macerata, eccependo di essere estranei ai reati dal cui accertamento erano scaturite le violazioni delle norme tributarie a loro contestate. Avverso gli stessi atti proponevano ricorso gli altri soci di fatto.
Il Collegio di primo grado ordinava l'integrazione del contraddittorio, entro un termine di decadenza, nei confronti di tutti i soci della società di fatto, richiamando a tal proposito, la giurisprudenza della Corte di cassazione circa la sussistenza di litisconsorzio necessario tra i soci della società di fatto, quale società di persone (cfr Cassazione n. 16081/2017).
 
Nessuna delle parti – né i contribuenti né l’Agenzia delle entrate – provvedeva all'integrazione del contraddittorio, per cui il procedimento veniva dichiarato estinto, ai sensi dell'articolo 45 del Dlgs n. 546/1992, stante l'inattività delle parti.
A seguito di ricorso interposto dai contribuenti, la vertenza finiva avanti alla Corte di giustizia di secondo grado delle Marche.
In particolare, nell’appello si eccepiva che l'integrazione del contraddittorio fosse adempimento posto a carico dell'Agenzia delle entrate, in quanto ritenuta “interessata”.

Sentenza e osservazioni
Nel rigettare l’appello di parte contribuente, la Corte marchigiana osserva che l’articolo 45 del Dlgs n. 546/1992 prevede che il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.
La suprema Corte, sull’argomento, ha affermato che “in caso di ordine d'integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., poiché all'omissione consegue l'estinzione del giudizio, deve ritenersi che all'incombente sia onerato chiunque abbia interesse a impedire l'estinzione del giudizio ai sensi dell'art. 307 c.p.c." (cfr Cassazione n. 3967/2012).
Ciò posto – osserva il Collegio marchigiano – l'onere di integrazione del contraddittorio, tenuto conto della natura del processo tributario, grava sul ricorrente, atteso che l'interesse primario a impedire l'estinzione del processo, cui consegue la definitività dell'accertamento impugnato, fa evidentemente capo al contribuente.
 
Si ricorda che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione n. 16908/2020), la dichiarazione di estinzione del processo per inattività delle parti può seguire solo al verificarsi di una delle ipotesi tassativamente previste dall’articolo 45 citato (cfr anche il successivo articolo 46), ossia – come esposto – nel caso in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere integrare il giudizio non vi abbiano provveduto nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.

Con tale norma, infatti, “il legislatore ha inteso unificare le ipotesi di estinzione per il caso in cui la parte che vi è onerata non pone in essere l’atto da cui dipende la prosecuzione del giudizio. L’effetto estintivo non ricorre, dunque, a seguito di una generica inattività delle parti, ma solo nel caso di omesso compimento, nel termine perentorio previsto dalla legge, degli atti necessari alla prosecuzione del processo nelle ipotesi tassative di legge. Tali casi riguardano in linea generale la ripresa del processo dopo la sua sospensione o interruzione, ovvero la riassunzione davanti all’organo giurisdizionale dichiarato competente, a differenza di quello originariamente adito, ovvero davanti a quello cui il processo è stato rinviato (come nel caso di cassazione con rinvio), o, ancora il caso di omessa integrazione del contraddittorio”.

L’inattività delle parti, in ultima analisi, come ha chiarito la dottrina civilistica, non è causa immediata di estinzione del processo ma “mediata”, ossia determina solamente uno stato di “quiescenza” del processo, che prosegue solo nel caso in cui le parti che abbiano interesse compiano un atto di impulso.
In questo modo, viene fatto salvo il principio costituzionale della “ragionevole durata” del processo (cfr articolo 111, comma 2, Costituzione), inteso sia come diritto imprescindibile delle parti coinvolte nel processo che come oggettiva garanzia di buon funzionamento della giustizia.

 


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