Indagini finanziarie eseguite nei confronti di un professionista: l'eventuale avviso di accertamento può essere emesso anche prima che siano decorsi 60 giorni dalla chiusura dell'istruttoria
Pubblicato il 02/03/24 00:00 [Doc.13033]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Il termine, afferma la Cassazione, è perentorio - e non sempre - per le verifiche presso la sede del contribuente e non per i controlli sul c/c e sulla documentazione presentata in ufficio dall’interessato

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In caso di indagini finanziarie eseguite nei confronti di un professionista, l’eventuale avviso di accertamento può essere emesso anche prima che siano decorsi 60 giorni dalla chiusura dell’istruttoria.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 36203 del 28 dicembre 2023.

La vicenda oggetto la pronuncia riguardava un avvocato, nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria aveva esercitato il controllo dei movimenti bancari sulla base dell’articolo 32 del testo unico sull’accertamento (Dpr n. 600/1973).
In seguito al controllo l’ufficio aveva rettificato il reddito da lavoro autonomo dichiarato dal professionista, recuperando le maggiori imposte (Irpef, Irap e Iva) con relative sanzioni e interessi.
L’emissione dell’atto di accertamento era stata preceduta dal contraddittorio tra l’ufficio e il contribuente, che aveva consegnato alcuni documenti al fine di giustificare le movimentazioni bancarie a lui contestate.
La documentazione prodotta dal professionista non era stata ritenuta idonea a giustificare tutte le movimentazioni bancarie oggetto di controllo e, di conseguenza, l’Agenzia aveva proceduto alla notifica dell’atto di accertamento.
A seguito di ulteriori documenti forniti dal contribuente in sede di richiesta di annullamento dell’atto in via di autotutela, l’ufficio aveva ridotto, solo in parte, la propria pretesa.

La tesi difensiva, secondo la quale il contraddittorio preventivo tra ufficio e professionista si era svolto in modo irregolare, era stata accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva, quindi, disposto l’annullamento dell’accertamento.
Anche i giudici di appello (decisione della Ctr del Lazio n. 210/2016) respingevano le richieste dell’Amministrazione finanziaria osservando che, anche dopo la chiusura del contraddittorio, l’ufficio aveva continuato a svolgere attività di indagine a carico del professionista, senza che quest’ultimo fosse stato nuovamente convocato e senza procedere alla chiusura delle nuove indagini.
Secondo i giudici tributari, quindi, il professionista non aveva avuto la possibilità di comunicare le proprie osservazioni entro 60 giorni dalla chiusura del contraddittorio, come previsto dall’articolo 12, comma 7, dello Statuto del contribuente.

Prima di esaminare l’esito del giudizio presso la Corte di cassazione, occorre precisare che il richiamato articolo 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, al fine di assicurare la cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dispone che dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare, entro 60 giorni, osservazioni e richieste, che vengono valutate dall’ufficio. La stessa norma stabilisce che, salvo casi di particolare e motivata urgenza, l’atto di accertamento non può essere emesso prima della scadenza di tale termine.
Con la pronuncia in commento, la Cassazione, dopo aver richiamato il proprio consolidato orientamento (da ultimo l’ordinanza n. 6874/2023) ha affermato che il termine dilatorio di 60 giorni previsto dallo Statuto del contribuente non era applicabile a fattispecie, come quella in esame, “…in cui non vi sia stata attività di verifica nella sede del contribuente, trattandosi di accertamento in base a documentazione presentata dalla parte e risultanze di indagini bancarie”.

Inoltre, i giudici hanno evidenziato che:

  • secondo l’orientamento della Corte di giustizia europea, l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo non è assunta in termini assoluti e formali, ma può soggiacere a restrizioni giustificate da ragioni di interesse generale
  • anche nei casi in cui il contraddittorio preventivo deve essere eseguito, una sua eventuale omissione determina l’invalidità dell’atto di accertamento solo se il contribuente enuncia, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato regolarmente instaurato
  • nel caso specifico, in ogni caso, il contraddittorio era stato instaurato, anche se l’ufficio aveva continuato a svolgere indagini dopo l’ultimo incontro con il contribuente.

Entrando nel merito della questione, con riferimento all’articolo 32 del Tu sull’accertamento, la Corte suprema ha richiamato il proprio orientamento (Cassazione, n. 35258/2021, n. 29572/2018, n. 1519/2017, n. 5152/2017, n. 5153/2017, n. 19806/2017 e n. 16697/2016) in base al quale la presunzione legale della disponibilità di un maggior reddito desumibile dalle risultanze dei conti bancari riguarda la generalità dei contribuenti e non soltanto i titolari di reddito d’impresa.
Nel caso in commento, l’Agenzia, in particolare, aveva contestato alcuni versamenti di somme sul conto corrente del professionista operando, pertanto, in conformità a quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014, in base alla quale in tema di indagini bancarie, le operazioni di prelievo possono essere contestate solo ai titolari di reddito d’impresa, mentre le operazioni relative a versamenti, possono essere contestate nei confronti di tutti i contribuenti.

Ritenuto, quindi, che il citato articolo 32 contiene una presunzione legale e relativa a favore dell’Erario, il contribuente avrebbe potuto fornire una prova contraria, “…dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili”.
Poiché non è stata fornita dal contribuente alcuna prova in merito all’estraneità delle movimentazioni bancarie a operazioni imponibili, i giudici hanno accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.

 

 

 


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