Studio n. 44-2023/C Comunione de residuo. studio sistematico dopo le SSUU 15889/2022
Pubblicato il 17/05/24 08:54 [Doc.13349]
di Alberto Valcarenghi, Dottore commercialista


di Fulvio Mecenate

I – Secondo la sentenza della Cassazione civile, Sez. Un., 17 maggio 2022, n. 15889, la comunione de residuo ex art. 178 c.c. non è fonte di acquisto di una contitolarità reale, ma soltanto di diritti di credito. La sentenza è condivisibile, ma ha il difetto di non approfondire gli aspetti sistematici, limitandosi all’«adducere inconveniens».

II – L’alternativa tra contitolarità reale e mero diritto di credito, oltre a dividere la dottrina e la giurisprudenza, è avvalorata dalla comparazione storica e giuridica: entrambi i sistemi sono presenti e autorevolmente rappresentati.

III – La comunione de residuo, a dispetto del nome iuris, è un regime separatista, in cui un coniuge è titolare del bene «proprio» e può amministrarlo e disporne liberamente fino al termine del regime. Un’importante differenza tra i beni «personali» ex art. 179 e quelli «propri» ex art. 177 b/c consiste nella tendenziale caduta in comunione del reinvestimento. Ma la tendenziale caduta in comunione immediata del reinvestimento non riguarda i beni «propri» ex art. 178 c.c.

IV- La comunione residuale è prevista da due articoli: l’art. 177 lett. b) e c), e 178. La sentenza si occupa solo di quest’ultimo. I due articoli sono diversi tra loro: divergono la lettera della legge, la collocazione (riconducibile alla ratio legis) e la disciplina stessa: la tendenziale «comunitarizzazione» del reinvestimento senza possibilità di esclusione ex art. 179, che riguarda solo i beni ex art. 177 b/c. Ma soprattutto, sono diversi i beni considerati: cose determinate nel caso dell’art. 177; «entità contabili» nel caso dell’art. 178. La comunione de residuo si concretizza dunque in due situazioni giuridiche diverse: contitolarità reale, nelle fattispecie di cui all’art. 177 b)-c); credito perequativo («more germanico»), nella fattispecie di cui all’art. 178.

V – Il sistema della comunione de residuo appare dunque (almeno) «dualistico». La natura del bene (azienda, personale e cogestita) porta ad includere anche l’art. 177 co. 2 nel sistema «creditorio». Sempre sulla base del regime giuridico dei singoli tipi di bene, la contitolarità reale ex art. 177 b) – c), per i beni immobili o mobili registrati, degrada a diritto di credito ad rem, cioè diritto ad avere la [metà della] cosa tramite atto di ritrasferimento, analogamente alla situazione ex art. 1706 c.c. Il sistema, dunque, è in realtà «trialistico».

VI e VII – Considerazioni sistematiche avvalorano le conclusioni: per i beni mobili percepiti ex art. 177 b/c, negare l’instaurarsi della comunione reale e sostenere la tesi della nascita di un credito-ad-avere-la-cosa (per la metà), significa introdurre un’obbligazione di dare (la quota) in senso romanistico, cui dovrebbe far seguito un atto (astratto) di ritrasferimento, o almeno un «adempimento traslativo»; riportando indietro di secoli la storia del nostro diritto civile.

Per i beni immobili (o mobili reg.) l’art. 1706 c.c. dimostra invece che l’ordinamento ha optato per l’adempimento traslativo (cosa che non costituisce un intralcio alla circolazione od una fonte di incertezza).

Per il denaro trasformato in credito verso le Banche, infine, l’antichissimo principio (D., XLVI, 3, 78) della consumptio nummorum, tuttora vigente, fa sì che esso non cada in comunione, ma sia oggetto di un mero diritto di credito proporzionale a favore del coniuge non-percettore.

VIII – La comunione de residuo, così delineata, sembra appiattire i casi veramente rilevanti (aziende e liquidità in banca) sull’ipotesi del credito «perequativo» spettante al coniuge non percettore. In realtà restano le differenze di disciplina, che riemergono subito, lì dove la natura del bene cessi di imporre il suo regime (per es., il denaro riversato in banca soggiace alla comunitarizzazione del reinvestimento come tutti i beni ex art. 177 b/c; e si differenzia quindi dal credito ex art. 178). E soprattutto resta la ricchezza e la pluralità del sistema che, anche alla luce degli spazi «convenzionali» lasciati ai partners, è di supporto, giuridico teorico e culturale, alle soluzioni pratiche la comunione de residuo può offrire, esaminate in un prossimo Studio.

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