Utilizzabilità delle chat WhatsApp come prova nel processo civile
Pubblicato il 09/02/25 00:15 [Doc.14207]
di Gianluca Cascella. Avvocato, Professore presso Universitas Mercatorum


Con recente decisione (Cass. civ., sez. II, 18.1.2025, n. 1254) la S.C. ha esaminato il tema cruciale dell'utilizzabilità delle chat WhatsApp come prova nel processo civile. Nel caso specifico, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello che aveva ritenuto utilizzabile, come elemento di prova, un messaggio whatsapp inviato dal debitore, in cui questi subordinava il pagamento secondo la fattura all'ultimazione dell'installazione dei serramenti.

La Suprema Corte ha stabilito che i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare sono pienamente utilizzabili quale prova documentale e possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica degli screenshot. La Corte in tal modo ha “sdoganato” il principio affermato dalle Sezioni Unite nel 2023 (sent. 11197 del 2 aprile) con specifico riguardo al procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, evidenziando come esso costituisca un principio indubbiamente suscettibile di generalizzata applicazione. I messaggi in questione sono stati ricondotti dalla Corte nel perimetro applicativo dell’art. 2712 c.c., disposizione che, come è noto, disciplina le riproduzioni meccaniche, stabilendo che le riproduzioni informatiche formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale vengono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Nella specifica vicenda sottoposta al suo esame, la Corte ha evidenziato come il messaggio whatsapp utilizzato era risultato carente di autonoma valenza decisiva, avendo invece assunto valenza di elemento indiziario idoneo a confermare l'attendibilità di una deposizione testimoniale raccolta nel corso del giudizio. Affinchè possa venire riconosciuta la validità probatoria di tali conversazioni occorre, per i giudici di legittimità, un riscontro della provenienza e dell'attendibilità dei messaggi. Rispetto alla posizione della parte processuale nei cui confronti viene invocata l’efficacia probatoria di simili messaggi, la Corte affermato che tale soggetto può difendersi contestandone l'efficacia probatoria sostanzialmente attraverso due condotte difensive: i) il disconoscimento della conformità dei contenuti ai fatti rappresentati; ii) la contestazione dell'utilizzabilità processuale del documento in sé. 

A tale ultimo proposito, però, occorre tenere presente che, a meno che la seconda tipologia di contestazione si fondi su un fatto processuale che lo consenta (ad esempio, la tardiva produzione del messaggio, per essere stato versato in atti dopo lo spirare delle preclusioni di rito, che rappresenta indubbiamente il presupposto per eccepire l’inutilizzabilità a fini probatori di tali messaggi) la mera contestazione della utilizzabilità processuale del medesimo potrebbe non essere sufficiente ad invalidarne l’efficacia probatoria, ove non si accompagni ad una specifica contestazione sulla natura artefatta del suo contenuto, come del resto ha mostrato di ritenere la Corte nel caso in esame, rilevando che il ricorrente si era limitato a contestare l'utilizzabilità processuale del messaggio senza metterne in discussione l'autenticità del contenuto. Una decisione che mostra come si stia radicando un orientamento che attribuisce una sempre maggiore valenza alla prova c.d. “digitale” e che necessita indubbiamente di essere tenuto in opportuna considerazione.


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