La âsoffiataâ del bancario infedele è elemento probatorio legittimo
Pubblicato il 14/09/16 09:06 [Doc.1615]
di Redazione IL CASO.it
Ciò che conta è che le informazioni non siano acquisite in violazione di un diritto fondamentale di rango costituzionale o di una norma che ne vieti specificamente lâutilizzo
Sono utilizzabili nell'accertamento e nel contenzioso con il contribuente i dati bancari acquisiti dal dipendente di un istituto di credito residente all'estero e ottenuti dallâamministrazione fiscale italiana mediante gli strumenti di cooperazione internazionale, senza che assuma rilievo l'eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso il datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale.
Lo ha ribadito la Cassazione con la pronuncia n. 17503 del 1° settembre 2016, non a caso resa in forma di ordinanza.
La vicenda processuale
LâAgenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso una sentenza della Ctr della Lombardia che, nellâannullare un avviso di accertamento, aveva stabilito lâinutilizzabilità degli elementi probatori acquisiti dallâamministrazione fiscale francese per effetto della collaborazione informativa internazionale prevista dalla direttiva 77/799/Cee del Consiglio europeo del 19 dicembre 1977, nonché dalla convenzione tra lâItalia e la Francia contro le doppie imposizioni.
La pronuncia e le osservazioni
In ambito tributario non vige alcuna previsione generale di inutilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita, come accade invece in ambito penale con la previsione di cui allâarticolo 191 cpp.
Tale posizione è stata da sempre sostenuta dalla Cassazione, la quale, già con la sentenza 8344/2001, aveva chiarito che âNon esiste ⦠nellâordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisiteâ. Dunque, il principio sancito dallâarticolo 191 del codice di procedura penale âvale, ovviamente, soltanto allâinterno di tale specifico sistema proceduraleâ, vale a dire in ambito penale.
Lo stesso orientamento è stato successivamente confermato dalla sentenza 24923/2011, con la quale la suprema Corte ha precisato che ânon qualsiasi irritualità nellâacquisizione di elementi rilevanti ai fini dellâaccertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale (cfr. Cass. 26 maggio 2003, n. 8273; 1 ottobre 2004, n. 19689; 16 giugno 2006, n. 14058; 16 aprile 2007, n. 8990)â.
In altri termini, in base al consolidato indirizzo della Cassazione, in assenza di una norma generale sullâinutilizzabilità in ambito tributario, eventuali illegittimità nelle procedure di acquisizione della documentazione non si riverberano sulla legittimità dellâatto tributario, salvo che:
lâacquisizione non sia avvenuta in violazione di una norma tributaria, che sanziona la propria violazione con lâinutilizzabilità della documentazione medesima
lâacquisizione non sia avvenuta in violazione di un diritto fondamentale di rango costituzionale.
Queste conclusioni sono state fatte proprie anche dalle ordinanze 8605 e 8606 del 2015 (le prime sul tema), con cui la Cassazione ha stabilito che:
lâamministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento dellâevasione fiscale, può â in linea di principio â avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dallâamministrazione in violazione di un diritto del contribuente
sono utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo lâeventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Nellâordinamento tributario, ai fini di un accertamento fiscale, assumono rilievo e sono utilizzabili anche elementi di prova assunti irritualmente, purché non lesivi dei diritti fondamentali di rango costituzionale, quale quello della libertà personale del contribuente. Alla luce di tanto, il principio di garanzia proprio del diritto alla libertà personale non è applicabile allâobbligo di riservatezza cui sono tenuti gli istituti bancari nei confronti delle operazioni compiute dai propri clienti, in quanto a fondamento del segreto bancario non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma piuttosto istituzioni economiche e interessi patrimoniali
non è considerata violazione del segreto dâufficio la comunicazione da parte dellâamministrazione finanziaria alle autorità competenti degli altri Stati membri delle informazioni atte a permettere il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio
spetta al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente.
A tal proposito, la Corte sottolinea che la lista rappresenta un indizio idoneo a giustificare le riprese fiscali, ricordando il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità per cui âdeve ritenersi in linea di principio che gli elementi idonei a consentire al giudice di trarre la prova di un fatto in via presuntiva ai sensi dellâart. 2729 c.c. non devono necessariamente essere più di uno nonostante la previsione del requisito della concordanza contenuto in tale norma, valendo questa solo nellâipotesi in cui concorrano più elementi e potendo quindi anche uno solo di essi essere assunto a base purché grave e preciso. La presunzione semplice del resto non è altro che un procedimento logico da cui il giudice desume lâesistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto sul presupposto di una loro successione nella normalità dei casi. Eâ evidente pertanto che anche un solo fatto, qualora presenti i suddetti requisiti, possa essere idoneo per una tale deduzione e costituire quindi la fonte della presunzioneâ (cfr Cassazione, 4472/2003, 12671/2005, 22122/2010, eccetera).
In tale prospettiva, ne deriva che, se un singolo elemento indiziario è idoneo a fornire una presunzione grave e precisa, non vi sono dubbi sulla legittimità dellâaccertamento analitico-induttivo che si fondi esclusivamente su di esso.
Dando continuità a tali principi, la Cassazione ha accolto il ricorso dellâAgenzia delle Entrate, stabilendo che sono utilizzabili âi dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all'estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l'eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l'istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimoâ.
Spetterà alla Ctr della Lombardia, cui la controversia è stata rinviata, valutare i dati acquisiti la cui attendibilità è da considerarsi presunta sino a prova contraria, da fornirsi a cura del contribuente attraverso contestazioni circostanziate.
Francesco Brandi
pubblicato Martedì 13 Settembre 2016
(Fonte www.fiscooggi.it)
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