La società omette di pagare lâIva. Lâamministratore di fatto risponde
Pubblicato il 24/11/16 08:34 [Doc.2041]
di Redazione IL CASO.it
Il vero responsabile del reato di omesso versamento dellâimposta sul valore aggiunto è chi effettivamente gestisce la compagine ed è in grado di assolvere gli adempimenti fiscali
Lâamministratore di diritto è un mero prestanome, che concorre nel reato a titolo di corresponsabilità per omesso impedimento dellâevento. Questi, difatti, non ha alcun potere di ingerenza nella compagine societaria ma, avendo accettato la carica, ne ha assunto anche i rischi connessi, tra cui quelli dellâarticolo 2639 del codice civile.
à quanto emerge dalla sentenza n. 47239 del 10 novembre 2016, della terza sezione penale della Cassazione, secondo cui, per taluni reati societari, nel delitto di omesso versamento dellâIva, il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale.
Vicenda processuale
Il giudizio aveva origine dal ricorso avverso lâomesso versamento dellâIva contestato a una società . La decisione di primo grado e la successiva sentenza della Corte dâappello ritenevano che il reato di omesso versamento dellâIva (ex articolo 10-ter, Dlgs 74/2000) fosse stato correttamente contestato allâamministratore di fatto della società , in concorso con il legale rappresentante â che sembrava invece ignorare le vicende societarie â dal momento che lo stesso amministratore di fatto, oltre a essere fisicamente presente nella sede dellâazienda, intratteneva in concreto i rapporti commerciali con le altre aziende, con i clienti e i fornitori.
Lâimputato proponeva ricorso per cassazione, eccependo, tra gli altri motivi, la nullità della sentenza e ritenendo che il responsabile del delitto contestato, trattandosi di reato proprio, fosse esclusivamente lâamministratore di diritto. Contestava, inoltre, genericamente la sua qualità di amministratore di fatto, senza addurre, tuttavia, elementi concreti di prova ai fini di unâeventuale ricostruzione alternativa della fattispecie.
Le osservazioni della suprema Corte
Il ricorso veniva giudicato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi con la conferma, quindi, della condanna a carico del manager e amministratore di fatto dellâimpresa.
La suprema Corte ha evidenziato, in particolare, come il contribuente non avesse fornito prove circa la sua estraneità allâamministrazione di fatto della società . I giudici di legittimità , richiamando anche proprie precedenti pronunce (Cassazione nn. 15900/2016, 38780/2015 e 23425/2011), hanno ribadito che la responsabilità penale per lâevasione Iva della società era da attribuirsi essenzialmente allâamministratore di fatto dellâazienda, quale unico vero gestore in grado di compiere lâazione dovuta e, dunque, quale soggetto attivo del reato.
Al prestanome può essere imputata una responsabilità a titolo di concorso solo in base alla posizione di garanzia prevista dallâarticolo 2392 cc, in virtù della quale lâamministratore è tenuto a conservare il patrimonio sociale impedendo che si verifichino danni per la società e i terzi. Lâamministratore di diritto, dunque, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dellâevento, avendo assunto con lâincarico i rischi connessi. Questo perché il prestanome non ha alcun potere di ingerenza nella società ma, accettando la carica, ha assunto i rischi a essa connessi, tra cui quelli dellâarticolo 2639 del codice civile.
Nel caso in esame, infatti, la società non aveva provveduto al pagamento dellâIva entro i termini previsti, con la conseguente configurazione del reato di omesso versamento dellâimposta ex articolo 10-ter, Dlgs 74/2000; lâeffettiva amministrazione della società risultava svolta, in via pressoché esclusiva, dal socio, mentre figurava un altro soggetto nelle vesti di amministratore di diritto.
Quanto alla responsabilità dellâamministratore di fatto nei reati propri, la suprema Corte ha precisato che, in linea generale, il concorso dellâextraneus nel reato proprio è configurabile laddove vi sia volontarietà della condotta di apporto a quella dellâintraneus (Cassazione nn. 12414/2016 e 16579/2010).
Inoltre, precisa la Corte, ai fini dellâattribuzione a un soggetto della qualifica di amministratore âdi fattoâ, non occorre lâesercizio di tutti i poteri tipici dellâorgano di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Cassazione nn. 22108/2014 e 35346/2013).
Viene, dunque, ribadita la prevalenza del dato fattuale (amministratore di fatto) della gestione sociale sul dato formale (amministratore di diritto, prestanome).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso è conseguita altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Andrea Santoro
pubblicato Mercoledì 23 Novembre 2016
(www.fiscooggi.it)
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