Debiti in banca e liquidi in cassa: induttivo per fare chiarezza
Pubblicato il 07/02/17 23:40 [Doc.2430]
di Redazione IL CASO.it


La stipula di un nuovo oneroso mutuo, nonostante le consistenti disponibilità finanziarie, e sospetti e ripetuti finanziamenti dei soci sono pesanti indizi di occultamento di ricavi

La società che riporta un’elevata esposizione bancaria, fonte di costi e oneri passivi, in presenza di un ingente saldo positivo del conto cassa, manifesta una palese condotta antieconomica.
In questo caso, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere con l’accertamento analitico-induttivo, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 1530 del 20 gennaio 2017.

La vicenda processuale
La società Alfa era stata destinataria di un atto di accertamento ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973.
L’ufficio dell’Agenzia delle Entrate ha ritenuto inattendibile la contabilità della società dopo aver riscontrato un palese comportamento antieconomico, dovuto a un’ampia e cospicua movimentazione del conto cassa, la cui origine è derivante dal finanziamento dei soci che, una volta ricevuto il rimborso, continuavano, contestualmente, a effettuare nuovi versamenti.
Inoltre, la società, nonostante disponesse di cospicue risorse finanziarie proprie (pertanto, non onerose), non riduceva la propria esposizione bancaria, bensì l’aggravava ulteriormente con la stipula di un nuovo mutuo, fonte di ulteriori oneri e interessi passivi.

Alfa presentava ricorso, ottenendo l’annullamento dell’atto impositivo dalla Commissione tributaria provinciale e dalla Ctr. Il giudice regionale d’appello sosteneva che la presenza di reiterati prelievi dai conti bancari in rosso e i continui movimenti del conto cassa (dovuti all’accensione e all’estinzione dei finanziamenti soci) non fossero idonei a far ritenere inattendibile la contabilità in presenza di regolarità formale della contabilità e congruità del reddito dichiarato agli studi di settore.

L’amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, argomentando che le anomalie riscontrate costituivano pesanti indizi di occultamento di ricavi, tanto da legittimare il ricorso alla procedura induttiva, con inversione dell’onere della prova al contribuente.

La pronuncia della Corte suprema
I giudici di legittimità, accogliendo le censure sollevate dall’Agenzia delle Entrate, hanno confermato una condivisa e consolidata giurisprudenza, che configura in analoghe condotte commerciali prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico induttivo (Cassazione, pronunce 15038/2014; vedi, inoltre, 6167/2011 e 21536/2007, in ordine al comportamento antieconomico del contribuente).

La grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità (Cassazione, pronuncia 20201/2010; vedi anche la già citata 26167/2011 e, inoltre, la 26036/2015), consentendo all’ufficio di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e di desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr Cassazione, pronuncia 7871/2012), e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili.

Affrontando la particolarità del caso in esame, la Corte suprema ha motivato la propria decisone esaminando natura, caratteristiche e rilevanza del conto cassa, concludendo di essere in presenza di un’incongruenza dovuta alla “coesistenza di un conto cassa con ingente saldo positivo e di una contemporanea elevata negativa esposizione bancaria: l'impresa, difatti, vanta una grande liquidità ma, al contempo, non la usa e, per soddisfare i rapporti commerciali, ricorre al credito bancario (od ancor più, ad un mutuo passivo), fonte di costi ed oneri passivi”.

Osservazioni
Con la sentenza in oggetto, i giudici di legittimità, rinviando la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale competente, ha esaminato le caratteristiche fisiologiche del conto cassa di un’impresa e gli elementi anomali.
Sono stati richiamati pronunciamenti precedenti della Corte suprema relativi a un conto di cassa riportante un saldo negativo. “La sussistenza di un saldo negativo di cassa … … oltre a costituire un'anomalia contabile, fa presumere l'esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo” (Cassazione, pronunce 27585/2008 e 11988/2011).

In questa sede, i giudici di Cassazione si sono espressi sulle criticità di un conto cassa avente un saldo positivo elevato, che se pur ammissibile dalle regole ragionieristiche e di contabilità, rappresenta una condizione non fisiologica dello stesso conto.
La Cassazione ha, quindi, offerto degli elementi qualitativi utili per la valutazione di un normale impiego dello stesso conto, a prescindere dal limite quantitativo dei movimenti annotati nello stesso deposito bancario previsto dalla normativa dalla “tracciabilità dei pagamenti” (articolo 49, Dlgs 231/2007).

È stato chiarito che il conto di cassa ha la finalità di assolvere a pagamenti immediati di limitato importo. “Nella normalità dei casi e per la generalità delle attività con clienti e fornitori, difatti, sono più tipicamente impiegate nell'attività d'impresa le operazioni bancarie poiché queste, per le loro proprie caratteristiche e per la potenziale utilità nelle transazioni economiche, permettono di ricostruire la rete dei rapporti commerciali”.

In ultimo, la Corte suprema ha offerto dei principi di ragionevolezza per valutare le scelte aziendali. L’impresa, che vanta una grande liquidità, dovrebbe usare le risorse proprie per soddisfare i rapporti commerciali, piuttosto che ricorrere al credito bancario, al fine di minimizzare i costi e gli oneri passivi.
Antonio Orlando
pubblicato Venerdì 3 Febbraio 2017
(www.fiscooggi.it)


© Riproduzione Riservata