Lâomesso deposito dellâinventario riqualifica lâerede puro e semplice
Pubblicato il 17/03/17 08:26 [Doc.2698]
di Redazione IL CASO.it
Il chiamato, presentata la dichiarazione di successione beneficiata, deve provvedere allâadempimento entro tre mesi, con possibilità di chiedere una proroga allâautorità giudiziaria
La Corte di cassazione, con due pronunce emesse lo stesso giorno, si è espressa in materia di accettazione dellâeredità con beneficio dâinventario, affermando che, ai fini della determinazione dellâimposta di successione, non câè differenza tra lâaccettazione dellâeredità con beneficio di inventario e quella pura e semplice e spetta sempre al chiamato provvedere a documentare, ai sensi delle disposizioni dellâarticolo 23, Dlgs 346/1990 (Testo unico sulle successioni), le dedotte passività e procedere alla redazione dellâinventario, ottemperando a quanto disciplinato dagli articoli 485 e 487 del codice civile (Cassazione, sentenze nn. 4564 e 4566 del 22 febbraio 2017).
Inquadramento giuridico e principali pronunce della Cassazione
Con lâaccettazione dellâeredità con beneficio di inventario, il chiamato accetta di diventare erede del de cuius, ma il patrimonio rimane distinto dal patrimonio dellâerede. Tale atto non determina lâassenza della responsabilità patrimoniale dellâerede, ma la limita al valore dei beni pervenuti, circoscrivendo le conseguenze economiche di una successione onerosa, anche per eventuali debiti tributari.
Affinché unâaccettazione con beneficio dâinventario possa produrre effetti nellâordinamento giuridico e, quindi, anche nei confronti dellâamministrazione finanziaria, occorrono plurimi adempimenti disciplinati dal codice civile e dalla legislazione tributaria.
In particolare, lâarticolo 484 cc prevede che lâaccettazione con beneficio dâinventario sia effettuata in forma solenne, ossia mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale.
Inoltre, entro un mese dallâinserzione, la dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso lâufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.
Lâarticolo 485 cc disciplina il caso in cui il chiamato allâeredità è nel possesso di beni ereditari.
In tale situazione, deve fare lâinventario entro tre mesi dal giorno dellâapertura della successione o della notizia della devoluta eredità . âSe entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi. Trascorso tale termine senza che lâinventario sia stato compiuto, il chiamato allâeredità è considerato erede puro e sempliceâ.
Ai sensi dellâarticolo 487 cc, il chiamato allâeredità , che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare col beneficio dâinventario fino a che il diritto di accettare non è prescritto (dieci anni). Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere lâinventario nel termine di tre mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dallâautorità giudiziaria a norma dellâarticolo 485. In mancanza, è considerato erede puro e semplice.
Nel caso in cui abbia redatto lâinventario non preceduto da dichiarazione dâaccettazione, questa deve essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dellâinventario. In mancanza, il chiamato perde il diritto di accettare lâeredità (articolo 487 cc).
Su tale profilo è intervenuta la Cassazione con la sentenza n. 4566 del 22 febbraio 2017.
La vicenda riguarda una contribuente che, in riferimento al decesso del de cuius avvenuto nel giugno 2000, ha presentato una prima dichiarazione nel dicembre 2000, provvedendo successivamente a presentare una seconda dichiarazione dopo due anni affermando, tra lâaltro, di aver accettato lâeredità con beneficio dâinventario con atto del 2002, cui era seguita la dichiarazione di successione, sostitutiva e modificativa della precedente del dicembre 2000.
Secondo la ricorrente, la seconda dichiarazione con accettazione beneficiata spostava il termine per la dichiarazione di successione a una data successiva al 31 dicembre 2000, data, questâultima, che segnava il passaggio tra la vecchia e la nuova normativa.
La Commissione tributaria regionale, pur riconoscendo la legittimità della seconda dichiarazione di successione, ha affermato che la mancata redazione dellâinventario entro il termine di tre mesi dallâapertura della successione rendeva la ricorrente erede pura e semplice.
Invero, ad avviso della contribuente, nella specie non dovrebbe trovare applicazione, per la redazione dellâinventario, il termine di cui allâarticolo 485 cc, decorrente dallâapertura della successione che sarebbe applicabile agli eredi nel possesso dei beni ereditari, bensì il termine di cui allâarticolo 487 cc, non essendo la stessa nel possesso dei predetti beni.
La Corte di cassazione ha rigettato i motivi di gravame affermando che, nel caso in esame, lâinventario è stato redatto comunque oltre i termini dellâarticolo 487 cc (inventario redatto solo nel 2011) e che non è stata dedotta la sussistenza di una proroga del termine per tale redazione accordata dallâautorità giudiziaria, come previsto dallâinvocato articolo 487.
In merito agli effetti del beneficio dâinventario, la Cassazione più volte si è pronunciata ribadendo che lâaccettazione dellâeredità con beneficio dâinventario non determina, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dellâerede per debiti, anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires hereditatis, cioè al di là dei beni lasciati dal de cuius. Di conseguenza, è legittima la cartella di pagamento emessa nei confronti dellâerede, salvo il diritto di costui a procedere al pagamento solo nei limiti dellâattivo (cfr Cassazione, 6488/2007 e, da ultimo, 23019/2016).
Lâerede, nei cui confronti il creditore faccia valere la propria pretesa creditoria illimitata, ha interesse a far valere la limitazione della propria esposizione debitoria mediante un accertamento giudiziale, in mancanza del quale il titolo non sarebbe più contestabile in sede esecutiva e a tale interesse corrisponde quello del creditore di fare accertare la sussistenza del debito tributario del de cuius, che diventerà esigibile nei confronti dellâerede quando sarà chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari e sempre che sussista un residuo attivo in favore dellâerede (cfr Cassazione, 14847/2015 e 4419/2008).
Alla tutela di entrambi gli interessi provvede la giurisdizione tributaria, che ha a oggetto sia lâan che il quantum della pretesa tributaria, cioè lâesistenza e la consistenza dellâobbligazione tributaria, sicché spetta al giudice tributario lâindividuazione del soggetto tenuto al versamento dellâimposta e dei limiti nei quali esso, per la sua qualità , sia obbligato nei limiti di valore dei beni a lui pervenuti (cfr Cassazione, sezioni unite, 7805/2006 e 7792/2005).
Con lâordinanza 14847/2015, i giudici di legittimità hanno inoltre ribadito che âLa limitazione della responsabilità dellâerede per i debiti ereditari, derivante dallâaccettazione dellâeredità con beneficio dâinventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso lâerario. Questâultimo, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dellâavviso di liquidazione nei confronti dellâerede (anche nel caso in cui questi abbia rilasciato i beni ereditari in favore dei creditori), non può liquidare od esigere nei confronti dellâerede lâimposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari, e sempre che sussista un residuo attivo in favore dellâeredeâ (cfr Cassazione, 4419/2008 e, in termini analoghi, anche 5529/1983, 25670/2008, 13906/2008 e 4419/2008).
Al fine di far valere questa posizione, anche nei confronti dellâamministrazione finanziaria, occorre tuttavia porre in essere determinati adempimenti debitamente prescritti anche dal decreto legislativo 346/1990.
Su tale aspetto è intervenuta la sentenza della Cassazione n. 4564 del 22 febbraio 2017.
Il caso riguarda due eredi che avevano accettato unâeredità con beneficio di inventario e non avevano corrisposto alcuna imposta in sede di presentazione della dichiarazione di successione.
Lâufficio aveva notificato due avvisi di liquidazione relativi allâimposta principale di successione emessi per omessa autoliquidazione, in considerazione della non ammissibilità del passivo ereditario indicato nella denuncia di successione.
Le corti di merito si sono espresse a favore dei contribuenti, evidenziando che le ricorrenti, avendo accettato lâeredità con beneficio dâinventario e avendo allegato il verbale redatto dal cancelliere attestante i debiti che ammontavano a una somma maggiore dellâattivo, non avevano provveduto né erano tenute a corrispondere le relative imposte.
Tale tesi è stata disconosciuta dalla Cassazione: âai fini della determinazione dellâimposta di successione, lâaccettazione dellâeredità con beneficio di inventario non implica alcuna deducibilità delle passività diversa da quella ordinaria prevista per lâaccettazione pura e semplice del D.Lgs. 20 ottobre 1990, n. 346, artt. 20 e segg., ma rileva in sede di riscossione dellâimposta, essendo la responsabilità dellâerede (o del coerede) beneficiato, ai sensi dallâart. 36, comma 2, del D.Lgs. citato, contenuta nel limite del valore della propria quota ereditaria, con la conseguenza che solo nel momento della riscossione dellâimposta le risultanze dello stato di graduazione civilistico, divenuto definitivo, possono assumere rilevanza per determinare il valore dei beni concretamente ed effettivamente pervenuti al predetto erede, nel rispetto del limite della sua responsabilità per lâimposta di successione, determinata secondo le regole fiscali ordinarieâ (cfr Cassazione, 3349/2011 e, anche, 25670/2008).
Alla luce di tali principi, i giudici hanno altresì precisato che, in tema di imposta sulle successioni, il regime di deducibilità dei debiti della massa ereditaria â disciplinato del Dlgs 346/1990, articoli da 20 a 24 â va ricostruito nel senso che tali debiti sono deducibili purché sussistano le condizioni previste dallâarticolo 21 e subordinatamente alle dimostrazioni, integranti sistema di prova legale, prescritte dallâarticolo 23 (cfr Cassazione, 24547/2007).
In conclusione, la Corte di legittimità , accogliendo la tesi difensiva dellâufficio, ha sancito lâinidoneità della documentazione prodotta (verbale di inventario redatto dal cancelliere) a supporto delle dedotte passività , non risultando tale documentazione tra quella analiticamente e specificamente indicata dallâarticolo 23, Dlgs 346/1990, che costituisce la norma di riferimento non derogabile.
Filomena Scarano
pubblicato Giovedì 16 Marzo 2017
(www.fiscooggi.it)
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