Sì al limite della compensazione di debiti tributari con crediti Iva
Pubblicato il 17/03/17 08:31 [Doc.2699]
di Redazione IL CASO.it


È quanto ha stabilito oggi la Corte di giustizia a conclusione di un contenzioso che verte sull’interpretazione dell’articolo 183, primo comma, della direttiva Iva 2006/112/CE

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 183, primo comma, della direttiva 2006/112/CE Iva ed è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone una società all’Agenzia italiana delle Entrate, in ordine ad un atto di recupero relativo all’imposta sul reddito delle società per il 2013.

La società protagonista della controversia
Tale società vantava, per il 2013, un credito Iva ed ha provveduto alla compensazione delle imposte dovute facendo valere tale credito a concorrenza, in misura superiore all’importo di 700mila euro, autorizzato ai sensi dell’articolo 34, primo comma, della legge n.388/2000, a mente del quale “a decorrere dal primo gennaio 2001 il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in 700.000 euro per ciascun anno solare”.
L’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate ha constatato che la società, utilizzando il credito Iva nell’ambito della compensazione, in misura superiore a 700mila euro, non aveva adempiuto i suoi obblighi tributari. L’Ufficio ha quindi proceduto al recupero dell’imposta sul reddito non pagata a causa dell’espunzione di tale importo dalla compensazione. La società ha tuttavia contestato il provvedimento con cui l’Agenzia italiana delle Entrate effettuava il recupero della somma eccedente i 700mila euro.
La controversia è approdata dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale, che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione: “se la disciplina comunitaria in materia di Iva osti alla normativa di uno Stato membro– come l’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n.388– in forza della quale il rimborso o la compensazione di crediti Iva siano consentiti, per singolo anno di imposta, non nella loro interezza ma solo entro un limite massimo predeterminato”.

Le valutazioni della Corte UE
Con la sua questione, il giudice “a quo” chiede, in sostanza, se l’articolo 183, primo comma, della direttiva Iva, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti Iva ad un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta.
La questione sollevata riguarda le modalità di rimborso di un’eccedenza di Iva nell’esercizio del diritto alla detrazione da parte di un soggetto passivo, e non il diniego di tale diritto alla detrazione.
La libertà di cui dispongono gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 183 della direttiva Iva, nello stabilire modalità di rimborso di un’eccedenza di Iva non comporta che dette modalità siano dispensate da qualsivoglia controllo riguardo al diritto comunitario.

Principio di neutralità fiscale e onere dell’Iva
Tali modalità non possono ledere il principio di neutralità fiscale, facendo gravare sul soggetto passivo, in tutto o in parte, l’onere dell’Iva. In particolare, esse devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da un’eccedenza di Iva. Ciò implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole, mediante pagamento in denaro liquido o con modalità equivalenti, e che, in ogni caso, il sistema di rimborso adottato non debba far correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo.
La Corte ha ricordato che il riporto del rimborso di un’eccedenza di Iva a vari periodi d’imposta successivi a quello in cui detta eccedenza è sorta non è necessariamente incompatibile con l’articolo 183, primo comma, della direttiva Iva.
Nella fattispecie all’esame della Corte Ue, risulta che la compensazione è quella prevista all’articolo 17 del decreto legislativo n.241/1997, che consente la compensazione tra debiti e crediti di diversa natura, come le imposte sul reddito, l’Iva o taluni contributi sociali, verso lo Stato o altri enti pubblici.
L’importo che può essere portato in compensazione dei debiti è limitato, a mente di quanto stabilito dall’articolo 34, primo comma, della legge n. 388/2000, a 700mila euro.

La posizione dell’Agenzia italiana delle Entrate
Secondo la nostra amministrazione finanziaria, il limite alla compensazione previsto dal menzionato articolo 34, primo comma, della legge n. 388/2000, è giustificato dalla lotta all’evasione fiscale. Infatti, il versamento in compensazione di imposte e contributi può facilmente prestarsi a pratiche evasive, trattandosi di un adempimento che rileva direttamente in fase di riscossione, mentre il modello di versamento è privo di documenti a supporto dell’esistenza del credito. Il carattere fittizio di alcune operazioni potrebbe essere eventualmente accertato solo dopo vari anni, nel corso dei quali il contribuente avrebbe modo di compensare e di abbattere totalmente i propri debiti per imposte dirette. La limitazione dell’importo della compensazione consentirebbe di circoscrivere entro limiti ragionevoli la portata del potenziale danno che lo Stato potrebbe subire in conseguenza di comportamenti illeciti dei contribuenti.

La limitazione della compensazione non è una misura inadeguata
La Corte di giustizia osserva che la limitazione della compensazione non appare una misura inadeguata, in considerazione della facilità d’esercizio di tale compensazione, che può riguardare debiti di importi considerevoli e di natura diversa, anche nei casi in cui non sia stato possibile verificare l’esistenza del credito Iva.
Inoltre, se è vero che spetta alla Corte Ue interpretare il diritto comunitario per fornire delucidazioni al giudice del rinvio, è quest’ultimo l’unico competente sia per interpretare il diritto nazionale sia per constatare e valutare i fatti, a dover verificare concretamente se la normativa nazionale rispetti il principio di proporzionalità, in base al quale gli Stati membri devono ricorrere a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo della lotta contro ogni possibile evasione, elusione e abuso, pregiudichino il meno possibile i principi stabiliti dal diritto comunitario, tra i quali il principio del diritto alla detrazione dell’Iva.

Le conclusioni della Corte di giustizia
Tutto ciò premesso, gli eurogiudici concludono affermando che l’articolo 183, primo comma, della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti Iva a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito Iva entro un termine ragionevole.

Data della sentenza
16 marzo 2017
Numero della causa
Causa C-211/16
Nome delle parti
Bimotor SpA
contro
Agenzia delle Entrate
Marcello Maiorino
pubblicato Giovedì 16 Marzo 2017
(www.fiscooggi.it)


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