Il disinvestimento non spiega il tenore di vita incongruente
Pubblicato il 13/04/17 06:31 [Doc.2868]
di Redazione IL CASO.it


Per controbattere alla maggiore capacità contributiva rilevata dall’ufficio, è necessario provare non solo l’esistenza di redditi esenti, ma anche un’entità e un periodo di possesso adeguati

In caso di accertamento fondato sul “vecchio redditometro”, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente “non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso”.
In virtù di tale principio, la Corte di cassazione, con sentenza n. 8043 del 29 marzo 2017, ha affermato che non è sufficiente, a vincere la presunzione di cui all’articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973 (nella versione precedente la modifica apportata dal Dl 78/2010), la dimostrazione, da parte del contribuente, dell’esistenza di redditi derivanti, in ipotesi, dallo smobilizzo di investimenti, “ma occorre anche un’indagine al fine di verificare se, sulla base degli elementi sintomatici in atti, i redditi oggetto del disinvestimento siano stati effettivamente utilizzati in funzione del mantenimento del tenore di vita”.

La vicenda processuale
La vertenza nasce dall’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, rilevata una macroscopica incongruenza tra i redditi dichiarati dal contribuente e il tenore di vita della sua famiglia, procedeva alla rideterminazione sintetica del reddito allo stesso imputabile con riferimento al periodo d’imposta 2001.

In riforma della sentenza di prime cure, che aveva accolto solo parzialmente il ricorso, la Ctr Lombardia annullava integralmente la pretesa impositiva, ritenendo le allegazioni del contribuente – che aveva motivato la predetta incongruenza con l’utilizzo di somme rilevanti provenienti dallo smobilizzo di investimenti – idonee a giustificarne l’elevato tenore di vita.

Avverso detta pronuncia l’ufficio ricorreva in Cassazione, lamentando i vizi di violazione di legge relativamente all’articolo 38, commi da 4 a 6, del Dpr 600/1973 (nel testo vigente ratione temporis) e di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria argomentava che erroneamente i giudici del gravame avevano ritenuto idonee le giustificazioni fornite dal contribuente, atteso che questi non aveva dimostrato l’effettivo utilizzo delle somme rinvenienti da disinvestimenti né la disponibilità di risorse sufficienti a mantenere i beni, indici considerati dall’ufficio.

Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità accolgono le doglianze dell’Amministrazione finanziaria, affermando di voler dare continuità al principio, già in precedenza affermato (Cassazione, 25104/2014), secondo il quale: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente (…) non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio” con proventi legittimamente esclusi dalla base imponibile.

Nel caso di specie, conclude la Corte, non basta che il contribuente adduca l’esistenza di redditi derivanti dallo smobilizzo di investimenti, ma occorre altresì un’indagine al fine di verificare se, “sulla base degli elementi sintomatici agli atti, i redditi oggetto di disinvestimento siano stati effettivamente utilizzati” in funzione del mantenimento del tenore di vita. Indagine necessariamente demandata ai giudici di merito che, nella specie, non risulta essere stata effettuata.

Osservazioni
La pronuncia in commento si segnala per aver esteso anche agli accertamenti fondati sul “vecchio redditometro” un principio, quale quello testé enunciato, in precedenza formulato con riferimento all’accertamento sintetico da incrementi patrimoniali.

Relativamente all’ampiezza della prova contraria va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cassazione, 6813/2009), con l’articolo 38, comma 6, Dpr 600/1973 (nel testo ante riforma del 2010), il legislatore ha individuato “l’oggetto della prova liberatoria a carico del contribuente unicamente nella dimostrazione della identità della ‘spesa per incrementi patrimoniali’ con ‘redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’: per la norma, quindi, non è sufficiente la prova della sola disponibilità di ‘redditi’ - e men che mai di ‘redditi esenti’ ovvero di ‘redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta’ - ma è necessario anche la prova che la ‘spesa per incrementi patrimoniali’ sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi ‘redditi esenti o ... soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta’…”. Sicché, senza la prova del “nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa per incrementi patrimoniali, questa spesa … continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente…”.

Con la sentenza 6396/2014, tuttavia, la Cassazione ha mutato il proprio orientamento, accogliendo l’opposta tesi secondo la quale al contribuente è sufficiente provare l’esistenza di altre fonti reddituali che giustifichino la spesa contestata dall’ufficio, non essendo per contro richiesta la prova della effettiva destinazione di tali disponibilità “supplementari” al finanziamento di detta spesa.

Infine, si è delineato un terzo filone giurisprudenziale, in cui si inscrive la pronuncia in commento, avviato con la sentenza 8995/2014, in forza del quale il menzionato articolo 38, comma 6, “chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell'accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.
Mariasole Ivaldi
pubblicato Martedì 11 Aprile 2017
FiscoOggi


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