Conferimento, anzi no cessione: pari dignità per gli atti in causa
Pubblicato il 04/05/17 05:40 [Doc.2944]
di Redazione IL CASO.it


I singoli negozi utilizzati in combinazione strumentale non hanno differente rilevanza, pertanto non si può identificare un negozio principale rispetto a un altro, accessorio o subordinato

Ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, in caso di riqualificazione in termini di cessione di ramo d’azienda di un complesso di atti funzionalmente collegati tra loro, quali il conferimento di ramo d’azienda e la successiva cessione delle quote della società conferitaria, la competenza a emettere l’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta spetta all’ufficio presso il quale è stato registrato uno qualsiasi degli atti in questione: i singoli negozi utilizzati in combinazione strumentale nella fattispecie complessa, invero, non assumono una differente rilevanza sul piano causale, cosa che non consente di identificare un negozio principale rispetto a un altro, accessorio o subordinato.
Questa, in breve, l’interessante conclusione cui perviene la Corte di cassazione con la sentenza 8792 del 5 aprile 2017.

I fatti
La vertenza nasce dall’impugnazione dell’avviso di rettifica e liquidazione con il quale l’ufficio, ai sensi dell’articolo 20 del Dpr 131/1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), recuperava le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute a seguito della riqualificazione come cessione di ramo d’azienda dell’operazione negoziale posta in essere dalla società contribuente. Questa, in estrema sintesi, aveva dapprima conferito il ramo d’azienda in una società controllata per poi cedere, a breve distanza di tempo, la partecipazione totalitaria ottenuta in contropartita, conseguendo così un significativo risparmio d’imposta.

La Commissione tributaria provinciale, in accoglimento del ricorso introduttivo, annullava la pretesa erariale, con sentenza che trovava sostanziale conferma in sede di appello.
I giudici di secondo grado, invero, rilevavano un “palese vizio” di incompetenza territoriale dell’ufficio che aveva emesso l’atto impositivo. Segnatamente, nel caso di specie l’avviso di liquidazione era stato emesso dall’ufficio territoriale presso il quale era stato registrato l’atto di conferimento di ramo d’azienda (Ut di Luino), mentre “l’atto con cui si sarebbe concluso il disegno unitario di cessione d’azienda, ossia l’atto di cessione delle quote” era stato registrato presso un diverso sportello territoriale (Ut di Milano 2), con la conseguenza che solo quest’ultimo “avrebbe potuto accertare il ‘nuovo’ atto generatosi dalla unione dell’atto di conferimento con l’atto di cessione di quote”.

Avverso detta pronuncia l’Amministrazione finanziaria ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione, tra l’altro, degli articoli 9 e 20 del Tur, per avere la Ctr erroneamente attribuito rilievo esclusivo, ai fini del radicamento della competenza territoriale all’emissione dell’atto impositivo, alla registrazione dell’ultimo atto della fattispecie negoziale (la cessione della partecipazione), pur senza alcuna base normativa.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema ritiene fondati e meritevoli di accoglimento i motivi di ricorso addotti dall’Agenzia delle Entrate. In particolare, i giudici di legittimità muovono dall’assunto, non revocabile in dubbio, secondo cui la qualificazione giuridica degli atti negoziali registrati ai sensi dell’articolo 20 del Tur rientra tra le attribuzioni dell’ufficio territoriale che ha ricevuto l’atto presentato a registrazione.

A tal fine, sottolinea la Corte, il giudice d’appello “ha inteso valorizzare la circostanza che il presupposto impositivo delle maggiori imposte dovute non fosse conoscibile dall’Amministrazione finanziaria al momento della registrazione del primo atto (il conferimento di ramo d’azienda), sulla base dei soli elementi desumibili dall’atto medesimo, e che fosse invece proprio l’ultimo atto registrato (cessione delle partecipazioni sociali) quello idoneo a consentire all’Ufficio (di Milano 2) l’esercizio della potestà impositiva, per effetto della identificata esistenza di un unico effetto negoziale (cessione di ramo d’azienda), frutto della combinazione dei plurimi atti registrati”.

Ad avviso della Corte, tuttavia, le conclusioni della Ctr non sono condivisibili.
In particolare, è errata – in diritto – l’affermazione secondo cui, in conseguenza della riqualificazione operata dall’ufficio, ci si troverebbe di fronte a un “nuovo atto”, atteso che, come già affermato, ex multis, dalla pronuncia 18585/2016 della Cassazione, “il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo e autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un'unica regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice del merito…”.

La Corte, poi, ritiene non decisivo il richiamo alla giurisprudenza di legittimità, citata dalla controparte, secondo cui, ove venga ravvisato un collegamento negoziale, stante l’unitarietà della causa, il dato temporale da considerare ai fini del decorso del termine decadenziale per richiedere l’imposta coincide con quello di presentazione della domanda di registrazione dell’ultimo atto dell’unica fattispecie complessa, corrispondente al momento in cui si verifica l’effetto giuridico finale (cfr Cassazione, pronuncia 25001/2015).
Tale assunto, invero, non esclude che “ai – diversi – fini dell’individuazione dell’Ufficio competente a svolgere l’attività interpretativa della quale si discute, il primo degli atti registrati mantiene pur sempre una propria individualità giuridica, in quanto i singoli negozi utilizzati in combinazione strumentale nella fattispecie complessa non assumono una differente rilevanza sul piano causale, cosa che non consente di identificare un negozio principale rispetto ad un altro, accessorio o subordinato”.

Non ha dunque fondamento – argomenta la Corte – attribuire rilevanza esclusiva all’operazione di cessione delle quote societarie “sol perché conclusiva della predetta fattispecie complessa”.
Pertanto, la circostanza che gli atti di conferimento di ramo d’azienda siano stati registrati presso l’Agenzia delle Entrate di Luino è sufficiente a radicare la competenza di tale ufficio alla riqualificazione degli stessi come cessione di compendio aziendale, sia pure sulla base degli ulteriori sviluppi assunti dalla fattispecie negoziale.
Mariasole Ivaldi
pubblicato Martedì 2 Maggio 2017


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