I documenti richiesti non arrivano: il rifiuto è pari allâoccultamento
Pubblicato il 28/06/17 08:45 [Doc.3308]
di Redazione IL CASO.it
Tale comportamento, infatti, impedisce alla Gdf di verificare le scritture contabili. Legittima, inoltre, la perquisizione disposta del Pm presso lo studio legale dellâindagato
Il reiterato rifiuto del contribuente di esibire la documentazione richiesta dalla Guardia di finanza per lâaccertamento dei ricavi derivanti dallâattività professionale integra il reato dellâarticolo 10 del Dlgs 74/2000.
Ad affermarlo, la Corte suprema â sezione penale â con sentenza n. 28069 del 7 giugno 2017.
Fatto
La vicenda è quella di un professionista indagato per il reato di occultamento di scritture contabili, a seguito del reiterato rifiuto dello stesso di esibire libri, registri e documenti contabili attinenti alla sua attività . Più in particolare, il tribunale ha disatteso la richiesta di riesame presentata dal contribuente in ordine al decreto di perquisizione e sequestro emesso dal pubblico ministero, ritenendo gravi gli indizi di colpevolezza di cui al reato previsto dallâarticolo 10 del Dlgs 74/2000; nello specifico, il giudice ha ritenuto necessari ulteriori approfondimenti investigativi, essendo stata negata la consegna di documenti ripetutamente richiesti dalla Guardia di finanza, anche da parte del professionista indicato come custode della contabilità .
Avverso tale ordinanza, lâindagato ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, inclusa la violazione e falsa applicazione degli articoli 103 e 200 cpp; a detta del ricorrente, la perquisizione non poteva essere disposta dal pubblico ministero, poiché volta a ricercare atti e documenti rilevanti ai fini dellâaccertamento tributario e non di un reato.
Decisione â ulteriori osservazioni
Lâassunto difensivo non trova lâavallo dei giudici di legittimità ; nel caso di una indagine tributaria per evasione fiscale, la Guardia di finanza è libera di perquisire lo studio legale dellâavvocato, ma non altrettanto libera di portare via gli atti, i documenti e gli strumenti necessari allâesercizio della professione.
Lâarticolo 103 del cpp, difatti, stabilisce che il divieto di âsopralluoghiâ e del sequestro di carte e documenti riguarda solo il difensore che abbia ricevuto apposito mandato dal cliente e non chiunque eserciti la professione forense.
Il sequestro dei documenti - puntualizza la Corte - può essere vietato solo se le carte non costituiscono corpo del reato; diversamente, si realizzerebbe unâindebita e non necessaria ingerenza nellâattività difensiva svolta dal legale nellâinteresse di terzi.
Tuttavia, si legge nella sentenza, il potere della Finanza si estende anche alla perquisizione della casa coniugale, benché questa sia di proprietà del coniuge, e ciò al fine di trovare riscontri agli indizi del reato di omesso versamento delle ritenute certificate (sospetto reso valido dal rifiuto di mostrare documenti e libri contabili: un ânoâ considerato al pari dellâoccultamento).
Detto reato, secondo giurisprudenza consolidata, âè configurabile anche nel caso di reiterato rifiuto alla esibizione della documentazione contabile e fiscale, in quanto tale rifiuto, qualora non sia dovuto a colpa, caso fortuito o forza maggiore, oltre a rilevare di per sé ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, precludendo la valutazione a favore del contribuente in sede amministrativa o contenziosa dei documenti successivamente prodotti, è riconducibile alla nozione di occultamento delle scritture contabili, giacché tale condotta può realizzarsi con qualsiasi modalità , compreso il materiale nascondimento in altro luogo rispetto a quello dove i documenti devono essere conservati e il rifiuto di esibirliâ.
A tal proposito, è utile ricordare che la condotta perseguita dallâarticolo 10 del Dlgs 74/2000 si sostanzia nella indisponibilità della documentazione contabile da parte degli organi verificatori, sia essa temporanea o definitiva (Cassazione, sezione III penale, sentenza 2859/2014).
Ai fini della configurabilità del reato in questione, infatti, non è richiesta unâimpossibilità assoluta di ricostruire il volume dâaffari o dei redditi, essendo sufficiente anche unâimpossibilità relativa, non esclusa quando a tale ricostruzione si possa pervenire aliunde (Cassazione, sezione III penale, sentenza 36624/2012).
Il dettato dellâarticolo 10 ha una dizione generica, ritenendo configurato il reato in questione, qualora la condotta di occultamento o distruzione abbia per oggetto âle scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazioneâ.
Al fine di integrare la fattispecie e individuare lâoggetto materiale del reato è, quindi, necessario richiamare le norme tributarie che indicano cosa debba intendersi per âscritture contabili obbligatorieâ e âdocumenti di cui è obbligatoria la conservazioneâ.
La prima norma che viene in luce in tale contesto è lâarticolo 22 del Dpr 600/1973, il quale prevede che âle scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di impostaâ.
Nel caso in esame, osservano i giudici, il tribunale ha adeguatamente illustrato la sussistenza degli indizi del reato, sottolineando il rifiuto opposto dallâindagato alle reiterate richieste che gli erano state rivolte dalla Guardia di finanza, disponendo la perquisizione volta a ricercare detti documenti, âcon la conseguente insussistenza della violazione di legge prospettata dal ricorrente e la inammissibilità delle censure in ordine alla motivazione del provvedimento impugnatoâ.
Di qui, lâannullamento dellâordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame, solamente per quanto riguarda il sequestro di atti e documenti relativi alla attività professionale del ricorrente, per i quali non sono stati indicati i presupposti legittimanti lâadozione di tale misura, e cioè la natura di corpo di reato ai sensi dellâarticolo 103 cpp, comma 2.
Carmen Miglino
pubblicato Martedì 27 Giugno 2017
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