Lâassegno rileva quando percepito. La data della valuta è unâaltra cosa
Pubblicato il 29/06/17 08:51 [Doc.3315]
di Redazione IL CASO.it
Ai compensi dei professionisti si applica il principio di cassa: la disponibilità della somma indicata nel titolo di credito va inquadrata al momento in cui lo stesso è ricevuto
Legittima la ripresa a tassazione, per un determinato periodo dâimposta, dei compensi professionali percepiti da un ingegnere nello stesso periodo, ma fatturati lâanno successivo.
Ad affermarlo, la Corte di cassazione con lâordinanza n. 15439 del 21 giugno 2017, secondo cui âil fatto che la dazione dellâassegno bancario sia "salvo buon fine" non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove non sia in contestazione lâesistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titoloâ.
Evoluzione processuale
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento per Irpef e Iva, oltre sanzioni, emesso nei riguardi di un ingegnere. Il professionista, ricorrendo in giudizio, sosteneva la correttezza dellâimputazione dei redditi da lavoro autonomo secondo il principio di cassa â avendo fatturato nel 2005 un compenso percepito il 30 dicembre 2004 â sul presupposto che il compenso in questione era stato corrisposto a mezzo di assegno bancario, reso disponibile con valuta il 10 gennaio 2005.
La Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, con sentenza totalmente favorevole.
LâAgenzia delle Entrate ricorreva alla Commissione tributaria regionale, che accoglieva parzialmente lâappello.
La Ctr, ritenuta legittima la ripresa a tassazione per lâanno 2004 con riferimento a compensi percepiti dal professionista il 30 dicembre 2004, ma fatturati lâanno successivo, riteneva tuttavia di non dover applicare le sanzioni, in quanto il professionista, in perfetta buona fede, aveva regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovute.
Avverso detta pronuncia lâAgenzia delle Entrate ricorreva per cassazione.
Il contribuente, dal canto suo, resisteva con controricorso e ricorso incidentale, insistendo nellâaffermazione della legittimità del proprio comportamento, in ragione del fatto che il compenso, corrisposto a mezzo di assegno bancario, versato sul conto corrente di pertinenza del contribuente, era stato reso disponibile proprio nel 2005, anno dâimputazione del reddito, con valuta 10 gennaio.
Pertanto, egli insisteva nel prospettare lâeffettiva disponibilità della somma oggetto di contestazione solo nel 2005, essendo stato lâassegno, sì ricevuto pacificamente nel 2004 e versato entro lo stesso anno solare sul conto corrente bancario del contribuente, ma reso disponibile con valuta solo lâanno successivo.
Di opposto avviso lâAmministrazione finanziaria, secondo cui la valuta individua solo il momento della decorrenza degli interessi e non già la disponibilità della somma che, âin caso di pagamento a mezzo di assegno bancario, va fissata al momento della percezione del titolo di credito da parte del prenditore dell'assegnoâ, ciò che è avvenuto pacificamente il 30 dicembre 2004.
Pronuncia della Cassazione
La suprema Corte, investita della controversia, nel respingere il ricorso incidentale del contribuente e accogliendo integralmente quello dellâAmministrazione finanziaria, decidendo nel merito precisa nel dettaglio quanto segue:
âIl fatto che la dazione dellâassegno bancario sia "salvo buon fine" non impedisce di commisurare alla data della percezione del titolo la disponibilità della somma, laddove, come nella fattispecie in esame, non sia in contestazione lâesistenza della provvista sufficiente al regolare pagamento del titoloâ.
Deve pertanto ritenersi fondato il ricorso principale dellâamministrazione finanziaria, con il quale lâAgenzia delle Entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dellâarticolo 5 del Dlgs 472/1997, osservando come âlâesclusione dellâapplicazione delle sanzioni nella fattispecie in esame da parte del giudice tributario dâappello si ponga in contrasto col fondamento del regime sanzionatorio, basato sulla colpaâ.
A giudizio della Corte, infatti, la statuizione della Ctr, con la quale si è riconosciuta la âperfetta buona fedeâ del professionista, che âha regolarmente fatturato il compenso e corrisposto le imposte dovuteâ, è contraddetta dalla violazione, da parte del contribuente, del principio di cassa rispetto al disposto dellâarticolo 6 del Dpr 633/1972 circa la fatturazione, in relazione al quale non è configurabile alcun margine dâincertezza normativa.
Inoltre, è corretta lâargomentazione dellâamministrazione sulla sussistenza di una presunzione di colpa a carico di chi sia incorso nella violazione contestata, spettando quindi al contribuente lâonere di provare di avere agito senza colpa, onere non adempiuto nel caso concreto.
Salvatore Tiralongo
pubblicato Mercoledì 28 Giugno 2017
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