Bancarotta, occultamento scritture: due condanne per due distinti reati
Pubblicato il 18/07/17 08:36 [Doc.3448]
di Redazione IL CASO.it
Il primo danneggia i creditori, il secondo è di natura tributaria perché sottrae documenti contabili obbligatori per lâaccertamento dei redditi e la ricostruzione del volume dâaffari
Esiste il concorso di reati tra lâoccultamento delle scritture contabili (articolo 10, Dlgs 74/2000) e la bancarotta fraudolenta documentale. In difetto, infatti, dellââidentità del fattoâ, non si configura alcuna violazione del ne bis in idem.
à quanto affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 32367 del 5 luglio 2017.
La vicenda processuale
La Corte dâappello conferma la condanna del tribunale nei confronti di un socio accomandatario di una Sas fallita, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, per aver omesso di consegnare al curatore fallimentare tutta la documentazione contabile della società .
Ricorre in Cassazione il socio, lamentando, tra lâaltro, la violazione del principio del ne bis in idem, ovvero dellâarticolo 649 del codice di procedura penale, rilevando che in un altro e differente procedimento era già stato condannato per il reato di occultamento di scritture contabili (articolo 10 Dlgs 74/2000), in quanto, al fine di evadere le imposte sui redditi e lâIva, ometteva lâesibizione dei documenti e dei registri.
Secondo il ricorrente, infatti, la clausola âsalvo che il fatto costituisca più grave reatoâ, contenuta nella premessa dellâarticolo 10 del Dlgs 74/2000, determina necessariamente lâassorbimento di tale comportamento nella disciplina del reato di bancarotta, che punisce la medesima attività materiale, ma la sanziona più pesantemente, sicché la pena eventualmente già inflitta per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili dovrà essere ricompresa nella seconda e più grave pena prevista per la bancarotta fraudolenta documentale, ponendosi lâeventuale doppia condanna inflitta allâimputato per entrambe le fattispecie, in violazione del principio di cui allâarticolo 649 cpp.
La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, sul punto, rigetta il ricorso dellâimputato, escludendo che nella specie si configuri la violazione del ne bis in idem, e conclude per il concorso tra i due reati.
Osservazioni
Al vaglio di legittimità , la verifica, alla luce della giurisprudenza interna di legittimità e costituzionale e delle sentenze Cedu, se il reato previsto dallâarticolo 10 richiamato, per il quale lâimputato è stato già condannato con sentenza definitiva, possa ritenersi âmedesimo fattoâ rispetto alla bancarotta fraudolenza documentale, per il quale sarebbe esclusa la âdoppia punibilità â ai sensi dellâarticolo 649 cpp.
Il principio del ne bis in idem, invero vieta di perseguire o giudicare per un secondo illecito una persona già condannata o sanzionata per gli stessi fatti. La problematica, dunque, consiste nello stabilire se, nel caso di specie, si configuri tale eventualità .
La Consulta e le pronunce Cedu intendono garantire che la persona già giudicata in via definitiva in un processo penale non possa trovarsi imputata per il medesimo fatto storico.
Al riguardo, la Cedu recepisce il più favorevole criterio dellâidem factum, anziché la più restrittiva nozione di idem legale, il âfattoâ, di per sé, è lâaccadimento materiale, certamente affrancato dal gioco dellâinquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di unâaddizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi.
Lâidentità del fatto sussiste, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità e costituzionale, solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
Per valutare lâidentità del fatto, il giudice è tenuto a porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito allâesito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione; sulla base della triade condotta - nesso causale - evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica.
Alla stregua di detti principi, per i giudici di Cassazione, nel caso di specie, non ricorre alcuna âidentità del fattoâ tra lâipotesi dellâarticolo 10 del Dlgs 74/2000, per il quale lâimputato è stato già condannato, e la bancarotta fraudolenta documentale, essendo diverso il fatto storico-naturalistico oggetto delle due incolpazioni.
Lâarticolo 10 richiamato, infatti, punisce la condotta di occultamento o distruzione al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligata la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, laddove la bancarotta fraudolenta documentale di cui allâarticolo 216, comma 1, n. 2, della legge fallimentare, punisce plurime condotte riconducibili a un articolato di illeciti più ampio, riconducibile non solo alla sottrazione o distruzione, ma alla falsificazione dei libri o delle altre scritture contabili, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, ovvero la tenuta di essi in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
Lâazione fraudolenta, invero, sottesa alla bancarotta, si concretizza in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato allâintero corredo documentale, risultando irrilevante lâobbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative.
Inoltre, altra circostanza che permette di differenziare le due fattispecie delittuose è la sentenza dichiarativa di fallimento, elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta e non anche del reato tributario. Questâultimo implica lâinteresse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, sanzionando lâobbligo di non sottrarre allâaccertamento le scritture e i documenti obbligatori per la ricostruzione del volume dâaffari o dei redditi, laddove lâarticolo 216 della legge fallimentare implica la tutela del ceto creditorio.
Lâevento, poi, dei due reati del pari differisce, determinando la bancarotta fraudolenta lâimpossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari, mentre il reato previsto dallâarticolo 10 i redditi o il volume dâaffari.
Questo permette alla Cassazione di concludere che i due âfattiâ illeciti a confronto non sono i medesimi, sicché, non potendo applicarsi al caso lâincipit dellâarticolo 10, con conseguente assorbimento del meno grave reato fiscale in quello fallimentare, i due fatti - reato concorrono, determinando lâapplicazione nei confronti dellâimputato di entrambe le fattispecie.
Dora De Marco
pubblicato Lunedì 17 Luglio 2017
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