Istanza di autotutela: silenzio. Eloquente e non impugnabile
Pubblicato il 05/08/17 04:17 [Doc.3564]
di Redazione IL CASO.it


Se venisse affermato il dovere dell’amministrazione di pronunciarsi, sarebbe messo in discussione l’obbligo tributario consolidato in seguito all’atto impositivo definitivo

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2-quater, comma 1, del decreto legge 564/1994 e 19, comma 1, del decreto legislativo 546/1992, sollevate in riferimento agli articoli 3, 23, 24, 53, 97 e 113 della Costituzione.
Queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 181 del 13 luglio 2017.

Il caso
Con ordinanza del 1° luglio 2016, la Commissione tributaria provinciale di Chieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle predette due norme nell'ambito della risoluzione di una controversia tributaria riguardante l'impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi su un'istanza di autotutela con la quale si chiedeva il riesame e l'annullamento di alcuni avvisi di accertamento, mai impugnati in sede giudiziaria, con i quali l'Agenzia delle entrate aveva rettificato in aumento i redditi professionali dichiarati dal ricorrente.

Nello specifico, il giudice tributario remittente ha mostrato di dubitare della legittimità costituzionale:
dell'articolo 2-quater, comma 1, del decreto legge 564/1994, nella parte in cui non prevede né l'obbligo dell'amministrazione finanziaria di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull'istanza di autotutela proposta dal contribuente, né l'impugnabilità - da parte di questi - del silenzio tacito su tale istanza
dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 546/1992, nella parte in cui non prevede l'impugnabilità, da parte del contribuente, del rifiuto tacito dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela proposta dal medesimo.
In altri termini, secondo la Commissione, in mancanza di un quadro normativo che consenta all'amministrazione finanziaria di rimanere inerte alle sollecitazioni del contribuente svolte attraverso la proposizione di specifiche istanze di autotutela, si realizzerebbe "un vuoto di tutela" e, contemporaneamente, la violazione dei fondamentali principi costituzionali della capacità contributiva e della ragionevolezza (articoli 3 e 53 della Costituzione); della mancanza di tutela giurisdizionale del contribuente sottoposto a un'imposizione fiscale ingiustificata e lesiva della sua stessa capacita contributiva (articoli 24 e 113); infine, dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97).

I principi di diritto enunciati nella sentenza
Nel corso della puntuale e compiuta disamina dei motivi riportati nell'ordinanza di rimessione, la Corte costituzionale, con la sentenza in esame, ha elaborato e approfondito i seguenti due principi di diritto che, coordinati fra loro, sono stati posti a base della propria pronuncia di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale:
il primo, secondo cui la salvaguardia dell'interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici deve ritenersi prevalente e prioritaria rispetto alla valutazione della ragionevolezza della disciplina legislativa dell'autotutela tributaria. Se così non fosse, afferma la Corte, e venisse affermato il dovere dell'amministrazione tributaria di pronunciarsi sull'istanza di autotutela, si aprirebbe la porta alla possibile messa in discussione dell'obbligo tributario consolidato a seguito dell'atto impositivo divenuto definitivo. In altre parole, l'istituto dell'autotutela finirebbe per offrire in via generalizzata una seconda possibilità di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso per impugnare il medesimo atto impositivo e si verrebbe a creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, azionabile sine die dall'interessato, il quale potrebbe rimettere in qualsiasi momento al vaglio del giudice questioni già ampiamente concluse, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo.
Consegue, sul piano pratico, che, a fronte della presentazione di un'istanza di autotutela, saranno unicamente le agenzie fiscali a valutare se devono attivarsi o meno per l'annullamento dell'atto e, da un lato, la loro scelta di non provvedere non potrà mai costituire oggetto di contestazione giurisdizionale da parte dell'istante, mentre, dall'altro, nel caso in cui l'amministrazione procedesse all'autotutela, tale esercizio dovrà essere valutato alla stregua di un intervento svolto spontaneamente
il secondo, per il quale le norme censurate dal remittente, per come inquadrate nella generale disciplina legislativa dell'annullamento d'ufficio tributario, ragionevolmente bilanciate per la realizzazione dell'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, non consentono di ritenere sussistente un interesse giuridicamente protetto volto a ottenere una decisione amministrativa espressa sull'istanza di autotutela. Deve, quindi, escludersi, che si possa ipotizzare nel nostro ordinamento giuridico l'esistenza di un vuoto di tutela, considerato che contro il provvedimento dell'amministrazione finanziaria oggetto della richiesta di annullamento d'ufficio l'interessato dispone degli ordinari rimedi di protezione giurisdizionale dei suoi diritti e interessi legittimi. Né, tantomeno, sottolinea il massimo consesso, la disciplina legislativa del potere di autotutela tributaria, nella parte in cui non viene previsto un obbligo dell'amministrazione di pronunciarsi sulle istanze di annullamento presentate dal contribuente, può ritenersi che leda la garanzia costituzionale del diritto al giudice.
Salvatore Di Giglia
pubblicato Giovedì 3 Agosto 2017


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