Ok alla “spalmatura” dei ricavi anche sul triennio ante-verifica
Pubblicato il 09/09/17 04:45 [Doc.3632]
di Redazione IL CASO.it


Corretto esaminare il processo di formazione delle anomalie e la loro natura in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e non limitare la pretesa al periodo dell’ispezione

In tema di accertamento dell’Iva e delle imposte sui redditi, come previsto dall’articolo 4, comma 2, Dpr 441/97, “le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui all’art. 14, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solamente con le prove tassativamente indicate dagli articoli 1 e 2 del citato D.P.R.”.
Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l’ordinanza 19957 del 10 agosto 2017.

I fatti
Con avvisi di accertamento emessi a carico del contribuente esercente l’attività di trattoria, l’ufficio ha determinato maggiori Irpef, Irap e Iva, dovute in relazione agli anni d’imposta 2007, 2008 e 2009.
I recuperi traevano origine dal Pvc redatto a conclusione della verifica nel corso della quale era emerso che la differenza quantitativa, in negativo, tra la consistenza delle rimanenze registrate di prodotti e merci e le risultanze indicate nelle dichiarazioni dei redditi rendeva operativa la presunzione di cessione ex articoli 1 e 4, Dpr 441/1997. L’ufficio, recependo tali conclusioni, ha ritenuto che le rimanenze occultavano ricavi non dichiarati. Ha quantificato, quindi, maggiori ricavi, tenendo conto del ricarico medio adottato dal contribuente nei periodi precedenti, e li ha “spalmati” anche negli anni precedenti a quello in cui era stato effettuato l’accesso (2010), imputandoli per il 30% negli anni dal 2007 al 2009 e per il 10% nel 2010.

Il contribuente ha impugnato gli atti, ritenendo che la presunzione di vendita doveva riguardare solo il 2010, esercizio in relazione al quale, al momento dell’accesso dei verificatori, era stata riscontrata la differenza tra rimanenze effettive e rimanenze contabili.
Mentre la Commissione provinciale ha accolto i ricorsi, limitandosi a ridurre (dal 118% al 110%) la percentuale di ricarico applicata, la Ctr ha accolto l’appello del contribuente, annullando integralmente gli avvisi di accertamento. In particolare, il giudice di secondo grado ha affermato che “… la presunzione di cessione deve essere fatta valere al momento dell’inizio degli accessi…”.
Ha, quindi, sostenuto che era illegittimo il metodo utilizzato dall’ufficio, di “spalmatura” dei maggiori ricavi accertati nel triennio anteriore al 2010, anno nel quale era avvenuto l’accesso ed era stato redatto l’inventario effettivo di magazzino, poiché la ratio dell’articolo 4 risiede nella necessità di “ancorare gli effetti della presunzione ad un preciso momento”, così da evitare “… di essere alla mercé delle parti che, a loro piacimento, potrebbero imputare la presunzione ad un periodod'imposta e/o a più periodo di imposta …”.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che le differenze inventariali potevano rilevare anche per i periodi di imposta precedenti, se le stesse differenze permanevano anche in tali annualità.
La Corte ha accolto il ricorso e ha chiarito che “… gli effetti della presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, prevista dall’art. 53 dei d.P.R. 26 ottobre1972, n. 633, operano - come successivamente chiarito anche dall’art. 4 del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 - con riferimento al momento di inizio delle operazioni di verifica ed al periodo d’imposta oggetto di controllo”.

Osservazioni
I giudici di legittimità hanno interpretato l’articolo 4, comma 2, Dpr 4471/1997, cercando nella ratio della norma il significato da attribuire al “periodo d’imposta oggetto del controllo”, considerando il metodo utilizzato dall’ufficio di “spalmatura” dei maggiori ricavi accertati nel triennio anteriore al periodo d’imposta oggetto di controllo, nel quale era avvenuto l’accesso.
Il Dpr 441/97 (regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto), emanato con efficacia sostitutiva della disciplina ex articolo 53, Dpr 633/72, (vedi, articolo 5, comma 2), trova applicazione anche in materia di imposte dirette, in virtù del principio di unitarietà dell’ordinamento (Cassazione, pronunce 15087/2000, 16483/2006, 15312/2008 e 9628/2012).
In particolare, dopo aver stabilito all’articolo 1, comma 1, che “si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti”, e aver poi previsto tipologia e modalità della prova contraria a carico del contribuente idonea a vincere la presunzione di cessione (articolo 1, comma 2 e seguenti, e articolo 2), precisa all’articolo 4, comma 1, che gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano esclusivamente al momento dell’inizio degli accessi, controlli e verifiche. La norma presuppone implicitamente, quindi, una verifica fiscale da parte degli organi accertatori e stabilisce che le presunzioni in oggetto operano “… limitatamente al periodo d’imposta coincidente con l’anno solare nel corso del quale è effettuata la verifica …”.

E non solo. Continuando nella lettura dell’articolo 4, la Corte ha evidenziato che la norma, tuttavia, al comma 2, prevede che le “eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta e le consistenze delle rimanenze finali registrate dallo stesso contribuente”, costituiscono “presunzioni di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo” (Cassazione, 10927/2015). Le presunzioni di cessioni e di acquisto, quindi, operano anche per i periodi d’imposta precedenti all’anno in corso, ma comunque oggetto del controllo, qualora emergano, in relazione a tali annualità, eventuali differenze quantitative.

Ne deriva, quindi, che, al fine di superare la presunzione, non è consentito al contribuente di alterare il presupposto dell’articolo 4 mediante una “… ‘spalmatura’ delle riconosciute cessioni in frode all’imposta, sugli anni anteriori a quello dell’accertamento, e che si rendono irrilevanti le vicende tributarie relative a quegli anni ….” (ad esempio, la definitività della posizione fiscale consentita con la presentazione della dichiarazione integrativa per gli anni precedenti ex articolo 50, legge 413/1991 - Cassazione, 3949/2002).
Di conseguenza, nella fattispecie esaminata, la presunzione di cessione, a fronte delle riscontrate differenze inventariali, operava, secondo il dettato letterale normativo, per “tutto il periodo d’imposta accertato” (dal 2008 al 2010) e, quindi, per tutti gli anni d’imposta oggetto di controllo. Ciò in quanto il “periodo d’imposta accertato”, nel quale permanevano, secondo l’ufficio, le differenze quantitative inventariali riscontrate, non coincideva con l’anno (2010) in cui era avvenuto l’accesso da parte dei verificatori. Questi ultimi non si erano limitati alla ripresa a tassazione sic et simpliciter degli importi corrispondenti al valore delle differenze suddette per il 2010, ma avevano esaminato il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa, oltre che agli elementi e alle informazioni forniti dal contribuente.

La Corte ha chiarito, infine, che la presunzione di cessione è una presunzione relativa annoverabile tra quelle legali “miste” (Cassazione, 377/2016). Il contribuente, cioè, può fornire prova contraria (e cioè che la contrazione registrata nella consistenza del magazzino non è frutto di cessioni non contabilizzate) unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi tassativamente prefigurati e stabiliti a evidenti fini antielusivi dagli articoli 1 e 2, Dpr 441/97 (Cassazione, pronunce 13120/2012, 1976/2015 e 10915/2014), a nulla rilevando l’allegazione dell’eventuale errore umano consistente nell’errato conteggio delle quantità rilevate (Cassazione, 16756/2016).
Sarà il giudice del rinvio a dare applicazione ai principi enunciati.

Romina Morrone
pubblicato Lunedì 4 Settembre 2017


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