Ammissione dei crediti con riserva: valutazione al magistrato tributario
Pubblicato il 03/10/17 08:26 [Doc.3756]
di Redazione IL CASO.it


Non sono da attribuire al giudice fallimentare le liti relative ai fatti estintivi dell’obbligazione sopravvenuti alla formazione del titolo legittimante la pretesa fiscale
L’articolo 88 del Dpr n. 602/1973 (in vigore dal 1° luglio 1999, quale testo risultante dopo le modifiche apportate dall’articolo 16 del Dlgs n. 46/1999) disciplina l’ammissione con riserva dei crediti tributari al passivo delle procedure concorsuali, disponendo al primo comma che, se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia stata presentata in via tardiva a norma dell’articolo 101 del regio decreto n. 267/1942.
A sua volta, la norma da ultimo citata, contenuta nel regio decreto di approvazione della legge fallimentare, al secondo comma dell’articolo 96, prevede le ipotesi di ammissione con riserva dei crediti al passivo e nella controversia oggetto della sentenza della Corte di cassazione in nota, il giudice fallimentare era stato investito dell’eccezione da parte del curatore fallimentare di prescrizione del credito tributario oggetto della richiesta di ammissione da parte del concessionario della riscossione.
Il tribunale fallimentare lo aveva ammesso al passivo, ma senza la necessaria clausola di riserva e aveva accolto le eccezioni dell’intervenuta prescrizione dei crediti tributari, respingendo la tesi del suo difetto di giurisdizione a conoscere tale eccezione, perché la competenza giurisdizionale del giudice tributario “si esaurisce insieme ed in conseguenza della sopravvenuta incontrovertibilità della pretesa, che si determina con la notifica della cartella non seguita da impugnazione”.

L’esclusione della giurisdizione del giudice fallimentare a conoscere dell’eccezione di prescrizione dei crediti tributari oggetto di richiesta di ammissione nel passivo fallimentare, proposta dal concessionario della riscossione, è stata accolta dalla sentenza della Corte di cassazione n. 14648/2017, in base all’articolo 2 del Dlgs n. 546/1992 (come sostituito dall’articolo 12, comma 2, della legge n. 448/2001). Tale norma prevede che la giurisdizione delle Commissioni tributarie si rinviene nella cognizione di tutte le controversie aventi a oggetto i tributi di ogni genere e specie che riguarda ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti della esecuzione tributaria, come già evidenziato dalle sentenze delle Sezioni unite, citate da questa in commento, n. 23832/2007 e n. 23832/2016.
Nella sentenza citata del 2007, era stato precisato che anche l’eccezione di prescrizione, quale fatto estintivo dell’obbligazione tributaria, rientra nella giurisdizione del giudice che abbia giurisdizione in merito alla predetta obbligazione, che in quel caso - come rammenta la pronuncia che si annota - il fatto estintivo opposto era “sopravvenuto alla formazione del titolo esecutivo costituito dalla cartella esattoriale ed è stata inoltre esclusa l'appartenenza del sollecito di pagamento inviato al contribuente agli atti dell'esecuzione forzata, potendosi assimilare invece all'avviso di mora di cui all'art.50, comma 2, del d.P.R. n.602 del 1973, che è impugnabile davanti alle commissioni tributarie”.

Il riconoscimento della giurisdizione del giudice tributario a sindacare della esistenza o meno del credito tributario, ha permesso alla decisione del Collegio supremo in commento di rigettare la tesi del curatore fallimentare imperniata sul divieto di azioni esecutive individuali dettato dall’articolo 51 della legge fallimentare e l’accertamento dei crediti ai sensi del successivo articolo 52.
Da tale disciplina s’intendeva desumere l’effetto che devono rientrare “automaticamente” nella giurisdizione del giudice fallimentare delegato in sede di verifica dei crediti, o del tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, le liti relative ai fatti estintivi dell’obbligazione tributaria sopravvenuti alla formazione del titolo legittimante la pretesa fiscale.

Infine, sotto il profilo processuale, la decisione della Corte regolatrice del diritto ha ricordato la propria giurisprudenza - espressa nelle pronunce n. 24539/2013 e n. 21744/2016 - secondo cui, in tema di formazione dello stato passivo, l’apposizione di una condizione all’ammissione del credito costituisce un potere officioso del giudice di merito, il quale, pertanto, accogliendo una domanda di insinuazione, può sia apporvi una condizione eventualmente prevista dalla legge e risultante dagli atti, sia rettificare l’indicazione della circostanza condizionante ivi erroneamente prospettata.


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

pubblicato Lunedì 2 Ottobre 2017


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