Volume d'affari estendibile se l'attività mantiene gli standard
Pubblicato il 10/10/17 08:20 [Doc.3785]
di Redazione IL CASO.it


Salvo apprezzabili cambiamenti da dimostrare, è legittimo considerare l'incidenza di una materia prima sul totale degli acquisti anche per esercizi diversi dall'annualità del controllo

Le dichiarazioni rese in sede di verifica dal titolare di una ditta individuale per la determinazione della percentuale di ricarico da applicare in concreto (come quelle di un soggetto che abbia operato per conto dell'impresa cui sia attribuita l'emissione di fatture per operazioni inesistenti) possono, anche da sole, fondare l'accertamento di un maggior imponibile ai fini dell'Iva, non trattandosi di elemento indiziario, ma di vera e propria confessione stragiudiziale.
Lo ha affermato la Cassazione con l'ordinanza n. 21491 del 15 settembre 2017.

I fatti
L'ufficio ha notificato al titolare di una ditta individuale distinti avvisi di accertamento relativi agli ani di imposta 2004, 2005 e 2006, contestando maggiori ricavi e rettificando il reddito d'impresa, con conseguenti maggiori Iva, Irpef e sanzioni.
L'uomo ha proposto ricorso chiedendo l'annullamento degli atti per l'illegittima applicazione dell'aliquota di ricalcolo determinata per il 2006 anche agli anni precedenti.

Mentre la Commissione provinciale ha accolto il ricorso integralmente, il giudice di appello ha ritenuto corretta l'applicazione della percentuale di ricarico applicata per il 2006, ma non per gli anni precedenti, e ha sostenuto l'irrilevanza delle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di verifica.
In particolare, la Ctr si era limitata ad accogliere solo parzialmente l'appello dell'ufficio poiché non aveva tenuto conto che, durante la verifica, il contribuente aveva reso dichiarazioni sulla percentuale di ricarico applicata e aveva collaborato per determinare quella media con riferimento ai beni merce inventariati al momento dell'accesso.

L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione degli articoli 39, comma 2, lettera d), Dpr n. 600/1973, e degli articoli 2730 e 2729 del codice civile, poiché il giudice di appello aveva escluso ogni valenza probatoria con riferimento alle dichiarazioni confessorie del contribuente.

La Corte ha ritenuto fondate le censure e ha affermato che "… una volta stabilita con esattezza… la percentuale di incidenza di una particolare materia prima sul totale degli acquisti, tale percentuale può essere utilizzata anche per la determinazione del volume d'affari relativo a diversi anni d'imposta…".

Osservazioni
I giudici di legittimità si pronunciano sia sul possibile utilizzo, anche per annualità diverse da quella verificata, dei dati comunque raccolti dall'Agenzia delle entrate, sia sul valore delle dichiarazioni confessorie rese dal contribuente in sede di verifica.

In particolare, la Cassazione ha ritenuto che, una volta stabilita con esattezza, per un determinato esercizio di bilancio, la percentuale di incidenza di una particolare materia prima sul totale degli acquisti, è legittimo estendere la percentuale di ricarico a più annualità di imposta, se la natura dell'attività imprenditoriale non è cambiata in modo apprezzabile nel corso degli anni (Cassazione, pronunce 22531/2007, 26510/2011, 3357/2013, 20628/2015).
Tale percentuale, quindi, può essere utilizzata anche per la determinazione del volume di affari relativo a diversi anni di imposta, tenuto conto della commercializzazione dei vari prodotti nell'anno precedente, della mancanza di mutamento delle condizioni e della tipologia della merce (Cassazione, pronunce 1286/2004 e 1647/20l0).

A tale riguardo, la Corte ha rimarcato che, nonostante in tema di accertamento delle imposte sui redditi il principio di inerenza dei dati raccolti rispetto a un determinato e specifico periodo di imposta e quello di effettività della capacità contributiva escludano la legittimità della "supposizione della costanza del reddito" in anni diversi da quello in cui è stata accertata la produzione, tuttavia gli stessi principi non precludono all'amministrazione finanziaria di avvalersi, nell'accertamento del reddito (o del maggior reddito), di dati o notizie comunque raccolti, con la conseguenza che la percentuale di ricarico può essere legittimamente determinata con riferimento alla dichiarazione del contribuente relativa al periodo di imposta precedente, a fronte di un volume di vendite accertato sulla base di dati afferenti all'esercizio in corso (Cassazione, pronunce 6253/2003, 1647/2010, 5049/2011 e 20628/2015).

Le percentuali di ricarico accertate con riferimento a un determinato anno fiscale, infatti, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi poiché, in base all'esperienza, l'entità dei vari ricarichi non è una variabile indipendente di carattere occasionale, ma è condizionata da una serie di fattori che costituiscono nel loro insieme le condizioni di mercato. Pertanto, in presenza dell'individuazione, effettuata in concreto, delle percentuali di ricarico applicate dal contribuente in un anno di imposta e in assenza di fattori rappresentativi di una distorsione del mercato in cui opera il contribuente o anche di una modifica della politica commerciale da lui attuata, il giudice tributario non può annullare l'atto impositivo emesso dall'amministrazione finanziaria per il periodo d'imposta precedente, sulla base delle medesime percentuali di ricarico individuate, ponendo alla stessa amministrazione un onere probatorio che non le spetta (Cassazione, pronuncia 27330/16).

Spetta, infatti, al contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l'onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l'applicazione di percentuali diverse (Cassazione, ordinanza 20632/2017).
Ma così non è stato nella fattispecie al vaglio della Corte. Anzi, la Commissione regionale aveva escluso qualunque valore probatorio alle dichiarazioni confessorie rese dal contribuente in sede di verifica, addossando all'ufficio l'onere di fornire ulteriori elementi a sostegno della pretesa.

Sulla rilevanza di tali dichiarazioni, invece, la Cassazione (pronunce 23031/2015 e 5150/2017) ha affermato che la mancata e immediata contestazione delle risultanze della verifica (nella fattispecie, di una data percentuale di ricarico ai fini della determinazione dei ricavi, in contraddittorio con i verbalizzanti) equivale ad accettazione delle stesse da parte del contribuente e ne ha confermato la natura confessoria e la loro idoneità a fondare l'accertamento.
Si tratta, infatti, di una prova diretta e non indiziaria del maggior imponibile accertato nei confronti del contribuente (o anche di società con dichiarazioni del direttore tecnico ovvero del legale rappresentante che abbia operato per conto dell'impresa - Cassazione, pronunce 28316/2005, 12271/2007 e 22616/2014); prova che non richiede ulteriori riscontri (Cassazione, pronunce 303/2006 e 20009/2009) e neppure la presenza di un difensore (Cassazione, pronunce 22616/2014 e 20259/2015).

Romina Morrone
pubblicato Venerdì 6 Ottobre 2017


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