Una integrativa smentisce l'altra, ma l'errore va dimostrato
Pubblicato il 06/02/18 07:21 [Doc.4222]
di Redazione IL CASO.it
La Ctr, prima di accogliere le doglianze della parte, doveva esaminare gli elementi che avrebbero dovuto giustificare l'esattezza dell'ultima dichiarazione rispetto alla precedente
È possibile, per il contribuente, presentare una dichiarazione integrativa "a favore", al fine di correggere un errore, anche oltre il termine previsto dalla legge (nella vigenza dell'articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998, nel testo precedente alle modifiche apportate dal Dl 193/2016). Tuttavia, la "ritrattazione" della dichiarazione oltre i termini, in sede di impugnazione del recupero operato dall'ufficio sulla base del dato dichiarato (nella specie, mediante una cartella di pagamento), fa ricadere sul contribuente l'onere di provare l'errore dichiarativo asseritamente commesso e l'infondatezza della pretesa fiscale.
Sono i chiarimenti forniti dalla Corte di cassazione con l'ordinanza n. 556 dell'11 gennaio 2018.
I fatti che hanno originato il contenzioso e la vicenda processuale
La vicenda portata all'attenzione della Corte suprema è originata dalla liquidazione di una dichiarazione integrativa "a sfavore" presentata da una società con l'indicazione di un maggior reddito imponibile rispetto alla dichiarazione originaria, da cui scaturiva una imposta che veniva dichiarata, ma non versata.
Più specificamente, come emerge dagli atti di causa, la società contribuente ha presentato in relazione alla medesima annualità d'imposta 2007 diverse dichiarazioni:
in data 30 settembre 2008, la dichiarazione per l'anno 2007 con l'indicazione di un determinato reddito
una prima dichiarazione integrativa nel dicembre 2008 con l'indicazione di un reddito più elevato rispetto a quello esposto originariamente
una ulteriore dichiarazione integrativa nel maggio 2011, nella quale veniva indicato nuovamente il reddito esposto nella dichiarazione iniziale.
A seguito del controllo automatizzato della prima dichiarazione integrativa presentata nel dicembre 2008 è risultata, come detto in precedenza, una imposta dichiarata e non versata. Sia in fase amministrativa sia nella successiva fase contenziosa - originata dall'impugnazione della cartella di pagamento notificata il 13 aprile 2011 - la società ha sostenuto la non debenza dell'imposta iscritta a ruolo avendo presentato successivamente una ulteriore integrativa a favore volta a correggere la precedente, asseritamente frutto di un "mero errore", sempre opponibile.
L'ufficio, al riguardo, ha eccepito da un lato, la mancata documentazione dell'errore e, dall'altro, la tardività della dichiarazione a favore, ai sensi dell'articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998, il quale, nel testo all'epoca vigente, prevedeva come termine ultimo "per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito" il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo.
I giudici di merito, in entrambi i gradi (Ctp Frosinone, sentenza n. 04/06/12 del 30 gennaio 2012, e Ctr Lazio, sentenza n. 1097/39/16 del 26 febbraio 2016), hanno ritenuto fondate le doglianze di parte; in particolare, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto - dopo un'ampia ricostruzione delle diverse posizioni interpretative formatesi sulla questione, anche in seno alla giurisprudenza di legittimità - di aderire all'indirizzo favorevole alla presentazione della dichiarazione integrativa a favore anche oltre il termine di cui al citato comma 8-bis dell'articolo 2 in quanto "indubbiamente più rispettoso dei principi di rango costituzionale".
Altrimenti ragionando, secondo il giudice di merito "si verrebbe a realizzare, per effetto di un mero errore materiale, un indebito arricchimento dell'Erario, che il legislatore intende evitare proprio attraverso la disciplina dell'emendabilità della dichiarazione".
Alla luce di tali conclusioni, la Ctr ha confermato l'annullamento della cartella di pagamento.
La decisione della Corte suprema
Con l'ordinanza in esame, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi sulla emendabilità della dichiarazione anche in fase contenziosa, questione che, dopo aver registrato il formarsi nella giurisprudenza di indirizzi di segno opposto, è stata affermata in senso positivo con sentenza adottata a sezioni unite n. 13378 del 30 giugno 2016, nella quale la Corte suprema - risolvendo il contrasto esistente sulla questione - ha riconosciuto la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco, "anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato", allegando errori commessi nella sua redazione e incidenti sull'obbligazione tributaria, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall'articolo 2, del Dpr 322/1998, e dall'istanza di rimborso di cui all'articolo 38, del Dpr 602/1973. In precedenza, in tal senso, ordinanze nn. 21742015, 10775/2015, 3754/2014e sentenza n. 2226/2011.
Diversamente, tali principi non sono invocabili "nel diverso campo delle dichiarazioni aventi contenuto e valore negoziale" (cfr ordinanza n. 30172/2017, concernente un credito di imposta per la ricerca scientifica soggetto a decadenza in caso di mancata indicazione nella dichiarazione originaria).
Nell'ordinanza in esame, infatti, condividendo l'orientamento espresso sul punto dalla Commissione tributaria regionale, la Corte afferma che "se si tratta di un mero errore, anche se spirato il termine di cui all'art. 2 c. 8 bis DPR 322/1998, la pretesa scaturente dal dato erroneamente dichiarato è comunque contestabile, per non gravare il contribuente di oneri maggiori rispetto a quelli cui è realmente tenuto".
L'elemento di interesse della pronuncia n. 556 si rinviene nei chiarimenti forniti in relazione all'onere della prova e ai relativi criteri di riparto, declinati in relazione alle fattispecie quali quella esaminata.
In particolare, a parere dei giudici di legittimità, nel caso di specie la Ctr ha violato le disposizioni che regolano l'onere della prova (articolo 2697 del codice civile) poiché - diversamente dall'ipotesi della dichiarazione "rettificativa nei termini" - la "ritrattazione" della dichiarazione in sede di impugnazione del recupero operato dall'ufficio sulla base del dato dichiarato, fa ricadere sul contribuente la prova relativa all'errore dichiarativo commesso.
La sentenza di secondo grado risulta, quindi, errata in quanto dopo aver correttamente riconosciuto la possibilità di emendare la dichiarazione a favore anche oltre i termini, ha poi "semplicemente affermato" che il dato relativo ai redditi per l'anno 2007 - inserito nella prima dichiarazione integrativa depositata nel dicembre 2008 e poi nuovamente corretto con l'ulteriore dichiarazione presentata il 6 maggio 2011 - era frutto di un "mero errore materiale" della società contribuente, senza svolgere alcun ulteriore approfondimento a tale riguardo ovvero "senza tuttavia in alcun modo esaminare gli elementi che avrebbero dovuto giustificare la correttezza dei dati contemplati nell'ultima dichiarazione integrativa".
Tale modo di operare, a parere della Corte suprema, si pone in violazione del descritto principio secondo cui, nelle ipotesi quali quella in esame, "incombe sul contribuente l'onere di dimostrare l'infondatezza della pretesa fiscale esposta in cartella".
Peraltro, ammettere la presentazione di una dichiarazione integrativa successiva a un atto fiscale recuperatorio di una pretesa, tralasciando di considerare che rimane a carico del contribuente che impugni l'atto l'onere di dimostrare processualmente gli elementi riduttivi della maggiore pretesa azionata (come fatto dal giudice di merito nella sentenza impugnata), avrebbe - secondo i giudici di legittimità - "evidente capacità elusiva (Cass. n. 15798/2015 Cass. n.23745/2015, Cass. n.15015/2017) ".
Letizia Berti
pubblicato Lunedì 5 Febbraio 2018
fonte: www.fiscooggi.it
© Riproduzione Riservata