La cessione della licenza taxi genera reddito d'impresa
Pubblicato il 15/03/18 00:00 [Doc.4420]
di Redazione IL CASO.it


In un contesto notoriamente caratterizzato da un numero limitato di autorizzazioni rilasciate è evidente che i trasferimenti di titolarità delle stesse vengano effettuati a titolo oneroso
immagine con alcuni taxi

La licenza per l'esercizio del servizio di taxi va ricompresa tra i beni primari organizzati per svolgere l'attività individuale di trasporto di persone, e il suo trasferimento, che si presume a titolo oneroso, realizza una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito d'impresa a prescindere dall'eventuale nullità della cessione per contrasto con norme imperative. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 4945 del 2 marzo.

I fatti
La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha confermato la legittimità della pretesa avanzata con un avviso di accertamento Irpef 2003, attraverso il quale veniva accertata, ex articolo 39, comma 2, Dpr 600/1973, la plusvalenza non dichiarata determinatasi con il trasferimento a terzi della licenza per l'esercizio del servizio di taxi. Ciò a seguito di segnalazione del Comune e della quantificazione dell'importo derivante dalla dichiarazione dell'acquirente, che rivelava di aver corrisposto tale somma per perfezionare l'acquisizione della licenza.

In particolare, il giudice d'appello:
ha dato atto che il contribuente non aveva risposto al questionario, ex articolo 32, Dpr 600/1973, e che l'ufficio aveva, sulla base di presunzioni, rispetto alle quali non era stata offerta prova contraria, legittimamente proceduto a determinare il reddito d'impresa
ha dichiarato inammissibili, in quanto domande nuove, i motivi con i quali il contribuente aveva censurato la sentenza di primo grado sia per non aver dichiarato la nullità dell'avviso di accertamento, derivata dalla nullità dell'accordo negoziale, sia per aver abbattuto (solo) del 35% il valore di trasferimento accertato, laddove, a suo parere, "avrebbe dovuto dichiarare l'annullamento integrale" per l'illiceità del negozio di compravendita di licenza di taxi.
Inoltre, con riferimento al valore della cessione, la Commissione regionale ha osservato che:
sul conto corrente del cedente era transitata la somma proveniente dall'acquirente e la circostanza era pacifica
il pagamento della somma costituiva prova dell'effettiva volontà delle parti di stipulare un negozio oneroso
il denaro versato, tuttavia, non poteva ritenersi esaustivo di quanto effettivamente incassato, anche perché l'acquirente aveva riferito e ammesso di aver corrisposto un maggiore importo.
Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione e la Corte, rigettandolo, ha dichiarato inammissibili i motivi relativi alla rilevanza della nullità del negozio di cessione della licenza di taxi e ha affermato che "alla 'cessione' della licenza … è applicabile la disciplina dettata dall'art. 86 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel nuovo testo, vigente ratione temporis, già art. 54), secondo il quale concorrono alla formazione del reddito d'impresa le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei beni relativi all'impresa, costituendo la licenza un bene immateriale strumentale all'esercizio di tale attività…".

Osservazioni
Per individuare il trattamento fiscale del reddito derivante dalla cessione della licenza taxi, giudici di legittimità hanno chiarito che l'attività esercitata dal tassista è attività d'impresa.
In particolare, la legge 21/1992 (legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea), infatti, qualifica i titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi come "titolari di impresa artigiana di trasporto" (articolo 7); prevede che la licenza è rilasciata dalle amministrazioni comunali (articolo 8) e che la stessa, in presenza di determinate condizioni, può essere trasferita, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, iscritta nel ruolo dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea (articolo 6) e in possesso dei requisiti prescritti (articolo 9).

Al riguardo, la Corte ha osservato che, ferma restando la regola generale secondo la quale una licenza amministrativa non può essere ceduta in virtù di un semplice accordo tra le parti, tuttavia, la disciplina speciale dettata dall'articolo 9, legge 21/1992, consente al titolare della licenza taxi di chiedere il suo trasferimento alla competente autorità comunale, in favore di una persona da lui stesso indicata (volturazione), previa verifica dei presupposti di legge (e, cioè, qualora il cedente, ad esempio, sia titolare di licenza da almeno cinque anni; abbia raggiunto il sessantesimo anno di età; sia divenuto inabile al servizio per malattia o ritiro della patente).

Dal tenore della disciplina speciale, risulta che, all'esito positivo della sussistenza di tali presupposti, oggettivamente accertabili dall'ente pubblico, quest'ultimo è tenuto a operare il trasferimento richiesto. Si tratta della prassi che legittima i privati a negoziare le condizioni economiche sulla base delle quali il titolare della licenza manifesta la sua volontà di presentare "richiesta di trasferimento a persona da lui designata".
In un contesto notoriamente caratterizzato dal numero limitato delle licenze di taxi rilasciate dai Comuni (e la limitazione può, di certo, determinare l'aumento del valore di quelle già esistenti, favorendone la commercializzazione), è evidente (salvo prova contraria da parte del contribuente) che la "cessione della licenza" venga effettuata a titolo oneroso, avendo tale bene un valore commerciale di mercato, in quanto bene essenziale e primario nell'ambito del complesso dei beni (licenza e autoveicolo avente i requisiti di legge), organizzati per l'esercizio dell'attività individuale di trasporto di persone. Conclusioni avvalorate dal fatto notorio dell'esistenza di un vero e proprio mercato di "rivendita" delle licenze taxi (Cassazione, nn. 17476 e 23143 del 2017).

E ancora, poiché l'attività esercitata dal tassista, ex articolo 2195, n. 3, cc (che qualifica imprese commerciali le attività di trasporto), è di natura imprenditoriale e cioè di un piccolo imprenditore (ex articolo 2083 cc - Cassazione, n. 21123/2010) artigiano (articolo 7, legge 21/1992 - Cassazione, n. 2052/2017),la "cessione" della licenza è sottoposta alla disciplina dettata dall'articolo 86 del Tuir. Anche se la cessione è nulla per contrasto con norme imperative ex articolo 1418 cc, risultando irrilevante tale nullità ai fini tributari ove vige il principio della tassabilità dei proventi illeciti "derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo" (articolo 14, comma 4, legge 537/1993 - Cassazione n. 17476/2017).

Con riferimento poi alla determinazione del quantum del valore di trasferimento, i giudici di legittimità hanno rinviato alla pronuncia di merito e alle dichiarazioni dell'acquirente, relative all'effettivo prezzo pagato. In altri precedenti, invece, la Corte ha ritenuto legittimo il valore della licenza determinato all'esito di indagine condotta da docenti universitari mediante consegna di apposito questionario a numerosi operatori del settore, nonché sulla base di notizie provenienti dal tribunale ordinario di una città, dall'Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune, da annunci di cessione e di acquisizione delle licenze (Cassazione, n. 9085/2017).

In conclusione, qualora la plusvalenza realizzata con la suddetta cessione abbia concorso alla formazione del reddito d'impresa del cedente e non sia stata indicata in dichiarazione, come nella fattispecie esaminata, la Corte ha ritenuto legittimo l'accertamento effettuato ex articolo 39, comma 2, lettera a), Dpr 600/1973, ben potendo l'ufficio utilizzare dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cassazione, nn. 21762/2017 e 4944/2018).

Romina Morrone
pubblicato Martedì 13 Marzo 2018


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