Niente reato senza versamento solo se il danno è trascurabile
Pubblicato il 28/04/18 00:00 [Doc.4596]
di Redazione IL CASO.it
Il debito erariale rilevante ai fini penali corrisponde alla somma dovuta in base alla dichiarazione Iva annuale, presupposto necessario ai fini della consumazione dell'infrazione
Con la sentenza n. 14595 del 30 marzo 2018, la terza sezione della Cassazione penale è tornata a pronunciarsi sull'ambito applicativo della disposizione che prevede l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in relazione al reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, ribadendo la propria interpretazione restrittiva secondo cui la stessa è applicabile soltanto alle omissioni "per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità", attualmente fissata in 250mila euro.
A tal fine, inoltre, secondo i giudici di legittimità, non rileva l'asserita non corrispondenza del debito dichiarato rispetto a quello risultante dalla contabilità dell'impresa (nell'ipotesi, inferiore alla soglia di punibilità), posto che "per chiara scelta legislativa" occorre fare riferimento al dato dichiarato.
La vicenda processuale
Con sentenza del 27 marzo 2017, la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l'imputato a otto mesi di reclusione per aver omesso di versare - in qualità di liquidatore della società - l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, reato previsto dall'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000.
Al riguardo, si ricorda brevemente che il 10-ter è stato riformulato dall'articolo 8 del Dlgs 158/2015, con la previsione della punibilità solo in caso di omesso versamento dell'Iva "per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta" in luogo di quello fissato in precedenza, per rinvio al precedente articolo 10-bis, a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta.
Nella specie, l'imputato aveva omesso di versare la somma di 254.345 euro.
Avverso la sentenza della Corte d'appello, l'imputato ha proposto impugnazione in Cassazione, sollevando numerose questioni, tra le quali:
l'omesso esame della documentazione redatta dal curatore del fallimento della società, dalla quale risultava dimostrata l'esistenza di un debito Iva - e quindi un omesso versamento - inferiore alla "nuova" soglia di punibilità
l'erronea applicazione dell'articolo 131-bis del codice penale, il quale dispone, in via generale, che " . la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale".
Nella specie, a parere dei difensori dell'imputato lo scostamento appariva comunque esiguo e non assumevano rilevanza nemmeno tre precedenti condanne, in quanto relative a omessi versamenti ormai divenuti "sotto soglia".
La decisione
Con la sentenza in esame, la terza sezione della Corte di cassazione ha fornito interessanti chiarimenti sulle questioni sollevate dall'imputato, ribadendo la propria interpretazione restrittiva circa l'ambito applicativo della causa di esclusione dalla punibilità introdotta nel 2015, con l'inserimento nel codice penale dell'articolo 131-bis.
In primo luogo, i giudici di legittimità hanno esaminato l'eccezione sollevata in ordine alla asserita rilevanza di documentazione contabile, attestante l'esistenza di un debito Iva inferiore a quello indicato nella dichiarazione annuale e, in particolare, inferiore alla soglia di 250mila euro prevista dal legislatore per la sussistenza del reato di omesso versamento.
A tale riguardo, la suprema Corte ha chiarito che, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'articolo 10-ter, del Dlgs 74/2000, "è necessario e sufficiente che l'imposta sul valore aggiunto non versata sia quella «dovuta in base alla dichiarazione annuale»", poiché il tenore letterale della norma, per chiara scelta legislativa, è univoco nell'individuare quale debito erariale rilevante ai fini penali quello oggetto della dichiarazione annuale (nella specie pari a 254.345,00 euro), presupposto necessario ai fini della consumazione del reato.
Ciò in quanto la presentazione della dichiarazione costituisce un presupposto necessario ai fini della consumazione del reato (cfr Cassazione, sezioni unite 37424/2013; sezione terza 6293/2010).
Secondo la Corte, invero, "Le discrasie tra il debito erariale dichiarato e quello effettivo hanno il proprio terreno elettivo nei reati in materia di dichiarazione di cui agli artt. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 74 del 2000 i quali ben possono concorrere con quello di cui all'art. 10-ter".
In relazione al secondo motivo di impugnazione, il Collegio, affermando di voler dare continuità ai principi espressi sulla questione, ha precisato che in tema omesso versamento di Iva, la causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto" di cui all'articolo 131-bis del codice penale "è applicabile soltanto alla omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata a 250.000 euro dall'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale" (cfr Cassazione sezione terza, 13218/2016 e 40774/2015).
In particolare, affinché l'offesa possa essere ritenuta di particolare tenuità "occorre che il danno sia esiguo e, dunque, secondo il significato letterale del termine, scarso, trascurabile, quasi insignificante".
Nel caso specifico esaminato, si osserva che la Corte ha ritenuto non sussistere tali caratteristiche con riferimento a uno scostamento pari a 4.345 euro rispetto alla soglia; tale conclusione è stata considerata assorbente della ulteriore questione della rilevanza di precedenti condanne ai fini della verifica della abitualità o meno del comportamento.
Osservazioni
La pronuncia in commento costituisce un ulteriore tassello nel panorama delle decisioni adottate dalla suprema Corte sull'ambito applicativo dell'articolo 131-bis, con riferimento ai reati "fiscali" di cui al Dlgs 74/2000 e, in particolare, ai reati di omesso versamento dell'Iva e delle ritenute.
Si ricorda, al riguardo, che la disposizione in argomento esclude la punibilità "quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale".
L'articolo 133 del codice penale dispone, a sua volta, che il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione
dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato
dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
In relazione al reato di omesso versamento dell'Iva, i giudici di legittimità hanno adottato, sin dall'introduzione della clausola di esclusione della punibilità nel 2015, una interpretazione restrittiva di tali elementi, in particolare con riferimento alla gravità del danno parametrata allo scostamento rispetto alla soglia minima per la sussistenza del reato fissata in 250mila euro.
Invero, secondo la Corte suprema "potrebbe essere ritenuta di particolare tenuità solo un'omissione di ammontare vicinissimo a tale soglia" anche alla luce del fatto che il grado di offensività che dà luogo alla sanzione penale è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di punibilità (cfr sentenza 40774/2015), molto più elevata rispetto a quella prevista prima delle modifiche all'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000.
Nella sentenza 14595/2018, la sezione terza ha ritenuto "non esiguo" uno scostamento pari a 4.345,00 euro; in precedenza, la medesima sezione aveva ritenuto la causa di non punibilità manifestamente insussistente in ragione dell'ammontare del debito, nei seguenti termini:
sentenza 13218/2016 (udienza del 20 novembre 2015), nella quale il debito superava "di ben euro 20.703,00 la soglia di punibilità di euro 250.000,00 fissata dalla disposizione incriminatrice nella, più favorevole, formulazione attualmente vigente ")
sentenza n. 40774/2015, nella quale il debito superava "di circa Euro 9000,00 la soglia di punibilità di Euro 103.291,38 fissata dalla disposizione incriminatrice con riferimento ai fatti commessi sino al ), a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014".
Letizia Berti
pubblicato Martedì 24 Aprile 2018
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