Omessi versamenti Iva e ritenute: soglie diverse per le sanzioni
Pubblicato il 04/05/18 00:00 [Doc.4616]
di Redazione IL CASO.it


I due reati in esame non possono essere considerati simili per natura e importanza: da qui la ragionevolezza della differenza del trattamento "punitivo" tra le due tipologie

La Corte di giustizia ha ritenuto conforme al diritto dell'Unione la normativa fiscale italiana, che prevede soglie di rilevanza penale differenti per quanto concerne le sanzioni dovute per l'omesso versamento dell'Iva (250mila euro) e delle ritenute per le imposte dirette (150mila euro).

I fatti in causa
All'esito di un accertamento fiscale nei confronti di una società italiana, emergeva che questa non aveva versato l'Iva risultante dalla sua dichiarazione annuale per l'esercizio fiscale 2012.
L'Agenzia delle entrate invitava la compagine a regolarizzare la propria situazione, pagando l'imposta dovuta, gli interessi di mora e, a norma dell'articolo 13, comma 1, Dlgs 471/1997, una sanzione pari al 30% del suo debito tributario. Poiché detta società si era impegnata a corrispondere l'Iva non versata mediante rateizzazione entro un termine di 30 giorni dalla suddetta notifica, essa beneficiava di una riduzione di due terzi della sanzione prevista.

L'azione della Procura e le considerazioni del Tribunale di Varese
Interveniva la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Varese che chiedeva la condanna del rappresentante legale della società, atteso che l'omesso versamento dell'Iva di cui trattasi integrava il reato ex articoli 10-bis e 10-ter del Dlgs 74/2000, nei limiti in cui, in particolare, l'importo Iva non versato superava la soglia di rilevanza penale pari a 50mila euro.
Tuttavia, in data 22 ottobre 2015 entrava in vigore il decreto legislativo 158/2015 e il Tribunale di Varese rilevava che le modifiche apportate da tale testo al Dlgs 74/2000 si applicassero retroattivamente ai fatti contestati, in quanto norme più favorevoli.
In particolare, i fatti in esame non costituivano più reato poiché l'articolo 10-ter di quest'ultimo decreto legislativo, modificato dal Dlgs 158/2015, prevedeva ora una soglia di rilevanza penale più alta, pari a 25mila euro per l'omesso versamento dell'Iva, dunque superiore al debito della società. Inoltre, l'amministratore della compagine avrebbe potuto beneficiare della causa di non punibilità ora contenuta nel modificato articolo 13 del Dlgs 74/2000, atteso il pagamento rateizzato dell'Iva dovuta, della sanzione irrogata e degli interessi di mora.

Le questioni pregiudiziali
Interrogatosi sulla compatibilità con il diritto dell'Unione del novum normativo, il Tribunale di Varese ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali. Si omette di richiamare la seconda, in quanto non viene analizzata dai togati di Lussemburgo:
1) se il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto dell'articolo 4, paragrafo 3, Tue (Trattato sull'Unione europea), dell'articolo 325 Tfue (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) e della direttiva Iva, che prevedono l'obbligo di assimilazione in capo agli Stati membri per quanto riguarda le politiche sanzionatorie, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norma nazionale che preveda che la rilevanza penale dell'omesso versamento dell'Iva consegua al superamento di una soglia pecuniaria più elevata rispetto a quella stabilita in relazione all'omesso versamento dell'imposta diretta sui redditi
3) se la nozione di illecito fraudolento disciplinata all'articolo 1 della Convenzione Tif (relativa agli interessi finanziari dell'Unione) vada interpretata nel senso di ritenere incluso nel concetto anche l'ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell'Iva e, conseguentemente, se l'articolo 2 della convenzione summenzionata imponga allo Stato membro di sanzionare, con pene detentive, l'omesso, parziale, tardivo versamento dell'Iva per importi superiori a 50mila euro. In caso di risposta negativa, occorre chiedersi se la prescrizione dell'articolo 325 Tfue, che obbliga gli Stati membri a comminare sanzioni, anche penali, dissuasive, proporzionate ed effettive, vada interpretata nel senso che osti a un assetto normativo nazionale che esenta da responsabilità penale e amministrativa gli amministratori e i rappresentanti legali delle persone giuridiche, ovvero i loro delegati per la funzione e i concorrenti nell'illecito, per l'omesso, parziale, ritardato versamento di Iva in relazione a importi corrispondenti a 3 o 5 volte le soglie minime stabilite in caso di frode, pari 50mila euro.

La pronuncia
La Corte di giustizia premette che la direttiva Iva non armonizza le sanzioni applicabili in materia di Iva.
Alla luce delle norme sovranazionali di riferimento, continua la Corte, sebbene le sanzioni che gli Stati membri pongono in essere per lottare contro le violazioni delle norme armonizzate in materia di Iva rientrino nella loro autonomia procedurale e istituzionale, quest'ultima è, tuttavia, limitata, oltre che dal principio di proporzionalità (non in discussione nel caso di specie), da un lato, dal principio di equivalenza, il quale implica che tali sanzioni siano analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e lesive degli interessi finanziari nazionali e, dall'altro, dal principio di effettività, il quale impone che dette sanzioni siano effettive e dissuasive.

Il principio di effettività
Anzitutto gli eurogiudici deducono che, al fine di garantire la riscossione integrale delle entrate provenienti dall'Iva e di tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell'Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione di entrambe, che siano dotate di carattere effettivo e dissuasivo.
La libertà di scelta degli Stati membri è, inoltre, limitata dalla richiamata convenzione Tif, secondo cui gli stessi Stati devono adottare le misure necessarie per garantire che le frodi lesive degli interessi finanziari dell'Unione, comprese le frodi in materia di Iva, siano passibili di sanzioni penali che comprendano, almeno nei casi di frode grave, pene privative della libertà che possono comportare l'estradizione.
Tuttavia, inferiscono i togati comunitari, un omesso versamento dell'Iva, come quello in esame, si caratterizza per il fatto che il soggetto passivo, dopo aver presentato una dichiarazione Iva completa e corretta per l'esercizio fiscale di cui trattasi, non ha versato l'Iva: ciò non costituisce una "frode", ai sensi dell'articolo 325 Tfue. Difatti, qualora un soggetto passivo abbia correttamente adempiuto i propri obblighi dichiarativi, tale amministrazione dispone già dei dati necessari per accertare l'importo Iva esigibile e un eventuale omesso versamento della stessa.

Omesso versamento Iva e rilevanza penale
Però, continua la Corte, rimane il fatto che dette omissioni, segnatamente qualora derivino da un comportamento del soggetto passivo consistente nell'utilizzare, per le proprie esigenze, le liquidità corrispondenti all'imposta esigibile a danno dell'Erario, costituiscono attività illegali atte a ledere gli interessi finanziari dell'Unione, a norma dell'articolo 325, paragrafo 1, Tfue, che pertanto richiedono l'applicazione di sanzioni effettive e dissuasive.
Ebbene, nella fattispecie, sanzioni come quelle previste dall'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 471/1997, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri in materia, possono essere considerate sufficientemente effettive e dissuasive.
Infatti, tali sanzioni assumono la forma di pene pecuniarie il cui importo ammonta, in via di principio, al 30% dell'imposta dovuta, e il soggetto passivo può beneficiare di una riduzione dell'importo di detta pena pecuniaria in funzione del termine entro cui regolarizza la propria situazione.
Tra l'altro, osserva la Corte circa il destinatario della sanzione, per quanto attiene all'omesso versamento dell'Iva dichiarata, non risulta che dette sanzioni perdano la loro natura effettiva e dissuasiva quando sono irrogate unicamente alla persona giuridica soggetta a imposta, viste le ripercussioni che esse possono avere sul suo patrimonio e, di conseguenza, sull'attività economica da essa svolta.

Il principio di equivalenza
Successivamente, gli eurogiudici riscontrano che la normativa italiana prevede che l'omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all'imposta sui redditi costituisce, al pari dell'omesso versamento dell'Iva dichiarata, un reato punito con la pena della reclusione, da sei mesi a due anni, qualora l'importo non versato superi una determinata soglia di rilevanza penale.
In particolare, dall'entrata in vigore della recente riforma dell'articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, tale soglia è pari a 250mila euro per l'omesso versamento dell'Iva, mentre, conformemente al nuovo articolo 10-bis dello stesso decreto, è pari a 150mila euro in caso di omesso versamento delle suddette ritenute.
In proposito, la Corte di giustizia rileva che, certamente, i due reati richiamati si caratterizzano indistintamente per l'inosservanza dell'obbligo di versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell'imposta dichiarata.

Differenze fra omesso versamento Iva e ritenute relative alle imposte dirette
Tuttavia, i reati previsti e puniti, rispettivamente, dagli articoli 10-bis e 10-ter, si distinguono tanto per i loro elementi costituitivi quanto per la difficoltà a scoprirli.
Infatti, mentre il secondo reato attiene ai comportamenti dei soggetti passivi dell'Iva, il primo non si riferisce ai comportamenti illeciti dei soggetti passivi dell'imposta sui redditi, bensì a quelli dei sostituti d'imposta, che devono ritrasferire le correlative ritenute alla fonte.
Peraltro, nel diritto tributario italiano, un siffatto sostituto d'imposta, quando procede a dette ritenute sui redditi delle persone debitrici d'imposta, rilascia a queste ultime un documento, denominato "certificazione", che consente a tali persone di dimostrare all'Amministrazione tributaria che le ritenute di cui trattasi sono state effettuate e, pertanto, che esse hanno corrisposto l'imposta dovuta e ciò anche se, successivamente, il sostituto d'imposta non versa tali ritenute all'Erario.
Ciò premesso, l'omissione da parte di un sostituto d'imposta di ritrasferire all'amministrazione tributaria le ritenute alla fonte operate può, a causa del rilascio della summenzionata certificazione, risultare più difficile da accertare dell'omesso versamento dell'Iva dichiarata.
In definitiva, conclude la Corte, questi due reati non possono essere considerati simili per natura e importanza: da qui la ragionevolezza della differenza del trattamento sanzionatorio tra le due fattispecie.

Conclusioni
La direttiva Iva, in combinato disposto con l'articolo 4, paragrafo 3, Tue, e l'articolo 325, paragrafo 1, Tfue devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede che l'omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell'Iva risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l'importo Iva non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a 250mila euro, mentre è prevista una soglia di rilevanza penale pari a 150mila euro per il reato di omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all'imposta sui redditi.


Fonte:
Data della sentenza
2 maggio 2018

Numero della causa
Causa C-574/2015

Nome delle parti
Italia
contro
Mauro Scialdone
Martino Verrengia

pubblicato Mercoledì 2 Maggio 2018
fonte: www.fiscooggi.it


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