Con falso materiale e ideologico c'è dichiarazione fraudolenta
Pubblicato il 15/05/18 08:34 [Doc.4675]
di Redazione IL CASO.it


Il reato è determinato, da un lato, dall'inesistenza dell'operazione economica e, dall'altro, dalla natura della certificazione, che deve essere una fattura o altro documento probatorio

I professionisti che, al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, indicano nelle dichiarazioni dei propri clienti spese sanitarie fittizie sia per importi maggiori rispetto a quelli effettivi, mediante documenti modificati o alterati (falso materiale), sia provenienti da soggetti inesistenti (falso ideologico), commettono il reato di dichiarazione fraudolenta, ex articolo 2, Dlgs 74/2000. Lo ha precisato la Cassazione, con la sentenza 17126 del 17 aprile 2018.

I fatti
Il tribunale e la Corte d'appello di Napoli hanno affermato la responsabilità penale di una decina di persone, per aver fatto parte di un'associazione a delinquere, finalizzata alla commissione di più delitti di evasione fiscale previsti dal Dlgs 74/2000, tra i quali la redazione di fatture sanitarie false. Agli imputati (alcuni nella veste di promotori e organizzatori, altri di meri partecipi con il ruolo di procacciatori di clienti) era ascritto di avere organizzato e partecipato a un sodalizio criminale, esistente e operante nel territorio napoletano che, attraverso la predisposizione di documentazione sanitaria materialmente falsa (apparentemente emessa da cliniche private), aveva consentito a numerosi contribuenti di presentare dichiarazioni dei redditi, modello 730/2009, relative all'anno d'imposta 2008 con l'esposizione di spese sanitarie (per le quali spetta la detrazione Irpef del 19%) mai sostenute.
Con tale meccanismo si perveniva all'illecito risultato di fare ottenere ai contribuenti rimborsi Irpef non dovuti, il cui ammontare veniva da loro versato, per la metà, al sodalizio criminoso.

In particolare, la Corte d'appello:
aveva contestato la sussistenza di uno stabile vincolo associativo, tra diversi soggetti, finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di reati di evasione fiscale mediante una struttura organizzativa, non particolarmente sofisticata, ma adeguata al raggiungimento del suo scopo. La struttura, cioè, si occupava di stabilire contatti con i centri di raccolta delle dichiarazioni e con i loro responsabili, individuando i clienti compiacenti e formando falsa documentazione. Il modus operandi era ampiamente collaudato: venivano contattati i contribuenti disposti a presentare dichiarazioni dei redditi infedeli, quindi venivano formate le fatture false, da allegare alle dichiarazioni dei redditi 730, che, predisposte materialmente tramite il centro di raccolta, venivano trasmesse al Caf e poi inviate telematicamente all'Agenzia delle entrate
aveva evidenziato che, dalla documentazione sequestrata presso la sede del Caf, 587 contribuenti, gestiti dal sodalizio criminoso, avevano indicato nelle dichiarazioni dei redditi 2009 circa 14 milioni di euro per spese mediche giustificate da false fatture, determinando in tal modo un credito Irpef per oltre 2,7 milioni di euro, già rimborsato dall'Erario.
L'ordinanza della Corte d'appello è stata impugnata in Cassazione. Tra i motivi comuni di ricorso, gli imputati hanno lamentato violazione ed erronea applicazione della legge penale e travisamento della prova.
La Cassazione ha respinto i ricorsi e ha affermato che "integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti …" (articolo 2, Dlgs 74/2000) "… la falsa indicazione, nella dichiarazione Irpef, di spese deducibili dall'imposta, quando le stesse non siano state effettuate o siano state effettuate in misura inferiore…" (Cassazione 17126/2018).

Osservazioni
I giudici di legittimità hanno precisato che, alla base della fattispecie prevista dalla norma, si pone il valore probatorio attribuito, in materia tributaria, alle fatture o agli altri documenti a esse equiparati (Cassazione, 50628/2014), "emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi". Gli elementi qualificanti il delitto, quindi, sono, da un lato, l'inesistenza dell'operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale e, dall'altro, la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente rilievo probatorio analogo. E con riferimento alla nozione di documenti "tipici" previsti dall'articolo 2, Dlgs 74/2000, la Cassazione ha precisato che vi rientrano quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (previsti espressamente ex articolo 21, Dpr 633/1972 - Cassazione 27392/2012), tra i quali le ricevute fiscali e quelli dai quali risultino spese deducibili dall'imposta, (ad esempio, le ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e le schede carburanti - Cassazione 5642/2011 e 46785/2011).

Si tratta di documenti che, di solito, non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici. In relazione poi alla falsità documentale, la Corte ha ribadito che può essere riferita, sia all'ammontare degli importi (con le spese non effettuate o effettuate in misura inferiore, indicate in tali documenti e riportate in dichiarazione, viene integrata la condotta del reato, poiché si espongono elementi passivi fittizi - Cassazione 48486/2011 e 23437/2012), sia all'indicazione dei soggetti con i quali è intercorsa l'operazione.

Sono, infatti, "soggetti diversi da quelli effettivi", ex articolo 1, lettera a), Dlgs 74/2000, coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione o perchè sono irreali e inesistenti (hanno nomi di fantasia), o perché non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale che utilizza il documento (Cassazione, 27392/2012).
In entrambi i casi, per i giudici di legittimità, è necessario che la fattura o gli altri documenti siano stati emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate, avendo il legislatore privilegiato un concetto di "inesistenza materiale" dell'operazione, intesa come mancante in rerum natura (Cassazione, 48503/2011).

Nel delitto di dichiarazione fraudolenta, mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti, la condotta presenta una "struttura bifasica", nella quale la dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita a un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere a oggetto documenti sia contenutisticamente falsi, perchè emessi da altri in favore dell'utilizzatore, sia materialmente falsi, in quanto contraffatti o alterati (Cassazione 10987 e 37081 del 2012).

Il contribuente, infatti, crea prove finalizzate a far apparire di avere speso somme in realtà non sborsate, ponendo così in essere una lesione del bene giuridico protetto dalla norma, costituito dall'interesse patrimoniale dello Stato a riscuotere ciò che è fiscalmente dovuto e nei limiti in cui è dovuto.
Romina Morrone
pubblicato Giovedì 10 Maggio 2018


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