Leasing: nulle le clausole che riproducono la disciplina dell'art. 72-quater l.f.
Pubblicato il 12/02/19 00:00 [Doc.5898]
di Redazione IL CASO.it
Massime a cura di Franco Benassi
Fallimento - Locazione finanziaria (leasing) - Scioglimento del rapporto - Disciplina - Natura eccezionale - Deroga al principio della par condicio creditorum
La disciplina dettata dall'art. 72-quater l. fall. ha natura eccezionale in ragione della particolare protezione che accorda - in deroga al principio della par condicio creditorum - al concedente in punto di soddisfacimento esclusivo sul ricavato della riallocazione del bene.
Locazione finanziaria (leasing) - Scioglimento anticipato del rapporto - Clausole contenute nei contratti di leasing - Facoltà del concedente di soddisfarsi direttamente ed in via esclusiva sul ricavato dalla riallocazione del bene - Contrarietà all'ordine pubblico economico - Nullità
Sono nulle, per contrarietà all'ordine pubblico economico, le clausole contenute nei contratti di leasing che, in caso di scioglimento anticipato del rapporto, vorrebbero, sulla falsariga di quanto prevede l'art. 72-quater l. fall. per il caso di fallimento, consentire al concedente la facoltà di soddisfarsi direttamente ed in via esclusiva sul ricavato dalla riallocazione del bene (c.d. patto di deduzione) tanto per i canoni scaduti quanto per quelli ancora a scadere.
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Cassazione civile sez. VI , - 04/02/2019, n. 3200. Pres. Genovese. Rel. Dolmetta.
FATTI DI CAUSA
1. - Nel gennaio 2010 la S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena - Leasing e Factoring ha concesso in leasing alla s.r.l. (*) un immobile a uso produttivo sito in (*), per la complessiva durata di 216 mesi.
Successivamente, il Tribunale di Firenze ha dichiarato, con sentenza del luglio 2013 (n. 205), il fallimento della società utilizzatrice.
Nel settembre 2014, la società concedente ha presentato domanda di rivendica e restituzione dell'immobile, nonché domanda di insinuazione per il pagamento dei canoni insoluti, delle spese e degli interessi di mora sino alla data della sentenza dichiarativa, pure chiedendo di essere ammessa con riserva per i canoni ancora a scadere.
2. - A mezzo di una "informale procedura di aggiudicazione" condotta tra i tre soggetti che si erano dichiarati interessati all'acquisto dell'immobile di cui al leasing, la società concedente - informato il curatore - ha poi alienato il detto bene. Da tale riallocazione ricavando, tra l'altro, un importo superiore al capitale formato dai canoni che avrebbero dovuto scadere dopo il momento dell'avvenuta dichiarazione di fallimento della utilizzatrice.
La società concedente ha presentato, allora, una nuova e sostitutiva domanda di ammissione al passivo, in cui ha portato a detrazione - dalla somma ancora dovutale per i canoni scaduti prima della detta dichiarazione - le somme ricavate dall'alienazione dell'immobile in esubero rispetto al montante dei canoni a scadere.
3. - Il curatore del Fallimento della s.r.l. (*) ha osservato, tra le altre cose, che l'"importo di cui alla plusvalenza derivante dalla ricollocazione del bene oggetto della locazione finanziaria... non può essere oggetto di compensazione, ma deve essere corrisposto alla procedura fallimentare ai sensi e per gli effetti della L. Fall., art. 72 quater".
Il giudice delegato ha ritenuto di "recepire l'impostazione giuridica del curatore in termini di interessi e non compensazione", così ammettendo al chirografo, in specie, l'intero credito relativo ai canoni già scaduti al momento della dichiarazione di fallimento.
Contro tale decisione, la società concedente ha proposto (in una con altra doglianza) opposizione avanti al Tribunale di Firenze.
4. - Che è stata respinta dal Tribunale (che ha accolto invece l'altra e distinta doglianza presentata dalla detta società), con decreto depositato il 22 giugno 2017. Il Tribunale ha cioè stabilito di rispondere negativamente al quesito se "la pretesa creditoria azionata dalla MPS, avente ad oggetto canoni scaduti e non pagati anteriormente al fallimento e allo scioglimento del contratto, possa concorrere a formare il "credito residuo in linea capitale"", a cui fa riferimento la disposizione della L. Fall., art. 72 quater, comma 3. Più in particolare lo stesso ha ritenuto, "conformemente a un orientamento giurisprudenziale di merito e di legittimità (cfr. Cass. 15701/2011 e 4862/2010) che, in caso di cessazione del rapporto a seguito di scioglimento dell'utilizzatore, per capitale residuo comparabile con il valore del bene deve intendersi la quota di capitale compresa nei canoni non versati successivamente alla dichiarazione di fallimento, i canoni scaduti e non pagati alla data del fallimento (o dello scioglimento) vanno invece considerati crediti concorsuali e quindi insinuabili a prescindere dall'effettuazione delle operazioni di calcolo di cui alla L. Fall., art. 72 quater".
"Ne consegue" - ha proseguito ancora la pronuncia - "che i crediti non possono essere posti in compensazione in quanto, mancando il requisito della reciprocità, viene a essere inoperante la disciplina di cui alla L. Fall., art. 56: il credito vantato dalla società di leasing sorge, infatti, prima del fallimento nei confronti della società, il diritto alla restituzione del "differenziale" derivante dalla ricollocazione del bene trova il suo titolo costitutivo dopo il fallimento per effetto dell'esercizio da parte del curatore del diritto potestativo di scioglimento del contratto".
5. - Contro questo decreto insorge la società concedente, con ricorso affidato a due motivi di cassazione.
Resiste il Fallimento, con controricorso.
La società concedente ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. - I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini qui di seguito riportati.
Il primo motivo lamenta, dunque, "violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 72 quater, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".
Il secondo motivo censura, a sua volta, "violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 56, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".
7. - Il primo motivo assume, in specie, che il Tribunale ha errato nel ritenere che - in caso scioglimento del contratto della L. Fall., ex art. 72 quater - la società concedente non abbia il potere di imputare direttamente il maggior importo derivante dal ricavato dalla ricollocazione del bene al pagamento del credito per canoni scaduti (una volta così restituito il capitale di cui ai canoni non scaduti al tempo della sentenza dichiarativa); e nello stabilire, in via correlata, che tale surplus debba in ogni caso essere riversato alla curatela fallimentare.
"Il contratto di leasing si caratterizza" - rileva il ricorrente "perchè la causa di finanziamento è accompagnata dalla costituzione automatica di una peculiare garanzia patrimoniale a vantaggio della concedente consistente nella proprietà del bene". "Per tale motivo i contratti di leasing prevedono delle clausole contrattuali in cui, nel caso di scioglimento anticipato del contratto, la concedente ha diritto di ottenere la immediata restituzione del bene... e di venderlo per soddisfare sul ricavato il proprio integrale credito, ovvero sia per i canoni sino ad allora maturati e rimasti insoluti, sia per i canoni ancora a scadere e per il prezzo di riscatto finale del bene".
Queste clausole - prosegue il ricorrente - sono state ritenute valide dalla giurisprudenza. Perciò, "non si comprende la necessità di leggere nell'art. 72 quater una limitazione alla facoltà di soddisfarsi sul ricavato del bene ai soli canoni scaduti ante fallimento e ciò sebbene la norma non preveda una tale limitazione". Del resto, la disciplina dell'integrale destinazione di tutto il ricavato dalla ricollocazione del bene a tutti i canoni comunque dovuti è del tutto "assimilabile" - così si segnala - a quella prevista per il pegno dalla disposizione della L. Fall., art. 53.
In sostanza - conclude il motivo - "non risulta conforme alla ratio dell'istituto del leasing" ritenere che la normativa fallimentare "imponga alla concedente... di vendere il bene e di versarne il valore in favore della massa... nonostante la contestuale titolarità di un ben maggiore credito nei confronti del fallito".
8. - Il motivo non merita di essere accolto.
Anche rifacendosi alle più indicazioni fornite da Cass. 15 luglio 2011, n. 15701, da Cass. 1 marzo 2010, n. 4862 e da Cass. 2015, n. 8687, la recente pronuncia di Cass. 13 settembre 2017, n. 21213 ha rilevato che, nel caso di scioglimento del contratto ad opera del curatore fallimentare, "il concedente, per i crediti scaduti (alla data della sentenza dichiarativa), può soddisfarsi insinuandosi al passivo in sede di verifica dei crediti, in quanto il credito è anteriore al concorso". Per il capitale corrispondente ai crediti non ancora scaduti a tale data, invece, il concedente ha "diritto alla restituzione del bene, oltre al diritto eventuale (per il quale vi è incertezza sul se verrà ad esistenza e su quale eventualmente sarà il preciso ammontare) di insinuarsi nello stato passivo, in via tardiva, per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato".
La soluzione conseguente a tale pronuncia, che appunto nega al concedente il potere di soddisfare il credito per canoni anteriori in modo diretto e in via esclusiva (con esclusione, cioè, della partecipazione degli altri creditori), risulta oggettivamente confortata da più argomenti. Che qui di seguito vengono sintetizzati.
9. - Per il caso in cui il curatore decida per lo scioglimento del contratto, la disciplina della Legge Fallimentare considera che il relativo rapporto ha avuto esecuzione sino a tutto il tempo in cui è sopravvenuta la sentenza dichiarativa e come tale lo tratta ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4, ("in caso di scioglimento il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno"), come richiamato (insieme alle altre regole che si trovano dettate nell'art. 72) dall'art. 72 quater, comma 1, primo periodo.
Per il periodo successivo alla sentenza dichiarativa, invece, la legge prende atto, per così dire, che il rapporto non ha più avuto esecuzione (secondo quanto avrebbe, per sè, dovuto accadere) e funzionalizza il bene di cui al leasing alla restituzione del capitale residuo, che è rimasto ancora "scoperto" (nel senso che il concedente lo ha, seppure indirettamente e a mezzo dell'acquisto del bene, portato a utilità e vantaggio dell'utilizzatore).
Ora, posta la struttura normativa che la Legge Fallimentare è così venuta a delineare, la nuda indicazione del (solo) "credito residuo in linea capitale" - compiuto dalla norma dell'art. 72 quater, comma 4 - non può riferirsi che ai soli crediti ancora a scadere.
Per questi crediti, infatti, la mancata considerazione degli interessi compensativi, ovvero l'esclusione degli stessi, segue direttamente al fatto che - per il periodo successivo alla dichiarazione - il rapporto di leasing non ha avuto esecuzione: con perdita, per l'utilizzare, pure della stessa disponibilità materiale del bene. Per contro, non avrebbe senso ipotizzare che il contesto della norma dell'art. 72 quater faccia riferimento anche (o solo) ai canoni già scaduti. Sino alla dichiarazione di fallimento il rapporto ha ben avuto esecuzione: perciò gli interessi compensativi sono dovuti, nè sarebbe ragionevole destinarli a un regime differenziato da quello relativo al capitale; ciò che anzi comporterebbe, a ben vedere, una deviazione sostanziale dalla regola contenuta nella L. Fall., art. 55, comma 1.
10. - Ciò posto, va altresì rilevato che, secondo l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la norma della L. Fall., art. 72 quater, ha "natura eccezionale" in ragione della particolare protezione che accorda - in deroga al principio della par condicio creditorum - al concedente in punto di soddisfacimento esclusivo sul ricavato della riallocazione del bene.
Si veda al riguardo la recente pronuncia di Cass., 18 giugno 2018, n. 1597 (da cui anche la formula appena sopra citata): "questa Corte da tempo predica la necessità di un'esegesi restrittiva di essa, essendo stato chiarito che l'introduzione nell'ordinamento dell'art. 72 quater non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo".
Nè può valere in senso contrario alla rilevata eccezionalità della norma in discorso l'affermazione della sua "prossimità", o vicinanza, alla disciplina dettata dalla L. Fall., art. 53, per il pegno. In realtà, tale norma non manca di risultare espressiva di una forte peculiarità rispetto al principio della par condicio, se non di manifestarsi proprio da questo deviante (perchè sostanzialmente limita il concorso al profilo c.d. formale, con sacrificio invece di quello c.d. sostanziale).
Del resto, l'invocata prossimità tra la norma dell'art. 72 quater e quella dell'art. 53 si manifesta, a ben vedere, alquanto approssimativa (ovvero di mera descrizione): a meno di non ritenere (se non altro) che, pure nel caso del leasing, la vendita (o ricollocazione) del bene resta subordinata all'autorizzazione del giudice delegato, che ne vada a stabilire i tempi e i modi (cfr. la L. Fall., art. 53, comma 2).
11. - E' ancora da aggiungere un ulteriore profilo. Che concerne le clausole predisposte nei modelli contrattuali di leasing per il caso di scioglimento anticipato del rapporto sulla falsariga di quelle che il ricorrente intende assegnare alla norma dell'art. 72 quater (cfr. sopra, la prima parte del n. 7) e cioè con previsione di soddisfazione diretta, ed esclusiva, del concedente sul ricavato da ricollocazione del bene (c.d. patto di deduzione) tanto per i canoni scaduti prima dello scioglimento anticipato, quanto per quelli ancora a scadere.
Secondo le più recenti pronunce di questa Corte, in effetti, tali clausole sono da ritenere nulle. Si vedano, in particolare, Cass., 19 settembre 2017, n. 21476, che la considera nulla "per contrarietà all'ordine pubblico economico", quale previsione contrattuale tendente a escludere (ovviamente fuori dall'ipotesi di fallimento dell'utilizzatore) la disciplina legislativa contenuta nell'art. 1526 c.c., nonchè Cass., 31 ottobre 2018, n. 27935.
12. - Il secondo motivo di ricorso assume che il Tribunale di Firenze ha errato nell'escludere che il credito per canoni scaduti di MPS possa essere oggetto di compensazione con l'importo generato a favore del fallimento dall'avvenuta ricollocazione del bene, come eccedente il montante dei canoni a scadere.
Ad avviso del ricorrente, la norma della L. Fall., art. 56, "richiede quale unico presupposto" per l'operare della compensazione "l'anteriorità al fallimento del fatto costitutivo dei reciproci rapporti obbligatori". E "nel caso de quo la fonte dell'obbligazione restitutoria è da rinvenirsi non nello scioglimento posto in essere dal curatore, ma nel contratto di leasing, fatto genetico anteriore al fallimento".
13. - Il motivo non merita di essere accolto.
Il credito del Fallimento a vedersi corrisposto il surplus di quanto ricavato dalla ricollocazione del bene trova la sua fonte proprio nello scioglimento del contratto di leasing, che imprime al bene, che ne è oggetto, una destinazione radicalmente diversa da quella precedente, che per l'appunto transita dalla funzione di utilizzo da parte del soggetto poi fallito a quella di soddisfacimento di dati crediti del concedente.
Come si è rilevato più sopra (nel n. 8, richiamando la pronuncia di Cass. n. 21213/2017), d'altro canto, lo stesso credito del concedente a concorrere al ricavato del surplus "differenziale" deve essere apprezzato - prima della compiuta ricollocazione - come meramente ipotetico.
14. - In conclusione, il ricorso dev'essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 5.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi).
Dà atto, ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell'art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 16 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2019.
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