Revoca dell'ammissione al patrocinio: rimessi gli atti alle Sezioni Unite
Pubblicato il 01/03/19 00:00 [Doc.5994]
di Redazione IL CASO.it
La seconda sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della composizione di un rilevato contrasto in ordine all'individuazione del giudice competente a provvedere sulla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili pendenti davanti alla Corte di cassazione
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Cassazione civile sez. II , 22 gennaio 2019, n. 1664. Pres. San Giorgio. Rel. Scarpa.
FATTO E DIRITTO
1. Q.B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 12390/2017 depositata il 21.12.2017, la quale, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Napoli, ha respinto la domanda avanzata dal medesimo Q. nei confronti della Fondiaria Sai S.p.A. (oggi UnipolSai Assicurazioni S.p.A.), per il pagamento di una somma a titolo di competenze professionali relative all'incarico di perito assicurativo svolto per conto della società in riferimento ad un sinistro stradale.
Il ricorrente ha depositato il decreto di ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato deliberato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli.
Resiste con controricorso UnipolSai Assicurazioni S.p.a., che eccepisce l'inammissibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo Sgroi, ha depositato le sue conclusioni scritte, ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c., chiedendo il rigetto del ricorso e la revoca dell'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, ovvero, in via gradata, la rimessione della causa alle Sezioni Unite per la composizione del contrasto di giurisprudenza in ordine alla competenza della Corte di Cassazione a provvedere su detta revoca.
Le parti non hanno depositato le loro memorie nel termine non superiore a dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio, di cui all'art. 380-bis 1 c.p.c..
2. Contro la sentenza resa in primo grado dal Giudice di Pace, la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. propose appello, deducendo la litispendenza, la continenza e la connessione, nonchè la necessità di riunione dei molteplici analoghi giudizi proposti dal Q., ovvero ancora l'improponibilità della domanda in ragione dell'indebito frazionamento di un credito unitario, e comunque l'infondatezza della pretesa.
Dopo aver escluso che la mancata riunione di cause potesse essere oggetto di motivo di gravame, il Tribunale di Napoli accolse l'appello, considerando come: risultavano incardinati tra le stesse parti, o presso lo stesso Tribunale, centinaia di giudizi; l'appellante aveva dedotto che il rapporto con il Q. si era protratto per oltre dieci anni e che per tale periodo erano sempre state emesse fatture di analogo importo, dandosi luogo ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa, regolato da un accordo-quadro accettato ed osservato da ciascuna delle parti nel corso degli anni, con retribuzioni corrisposte in misura uniforme indipendentemente dal concreto contenuto della singola prestazione; il Q. non aveva in alcun modo prospettato l'esistenza di elementi tali da evidenziare un proprio interesse, meritevole di essere tutelato, a disarticolare in una pluralità di azioni giudiziali la sua pretesa creditoria, facente capo, piuttosto, ad un medesimo rapporto di durata tra le parti e fondata sul medesimo fatto costitutivo; doveva quindi ritenersi sussistente un "frazionamento del credito", sanzionabile con la improponibilità della domanda; la pretesa del Q. risultava in ogni caso da rigettare anche nel merito, avendo le parti raggiunto un accordo tacito sulla misura del compenso, pari a circa Euro 40,00 per ciascuno dei numerosi incarichi conferiti.
3.1. Il primo motivo di ricorso di Q.B. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 274 c.p.c., per non aver considerato il Tribunale l'orientamento giurisprudenziale sull'ammissibilità della riunione dei procedimenti relativi a cause connesse, anche nel giudizio di legittimità (si richiama Cass. n. 22631/2011).
3.2. Il secondo motivo di ricorso di Q.B. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell'art. 111 Cost. in quanto i periti assicurativi, a fronte della natura economica della loro prestazione, esercitata in modo stabile e con struttura organizzativa indipendente dalla impresa assicurativa committente, rientrerebbero nella nozione funzionale di impresa delineata dalla giurisprudenza comunitaria; nè deporrebbe in senso contrario l'esistenza tra le parti di un mandato continuativo, che, ad ogni modo, non eviterebbe che il perito assuma in proprio il rischio imprenditoriale derivante dall'attività peritale svolta.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 2, art. 19 quaterdecies, che ha modificato la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis, relativamente all'equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati.
3.4.Il quarto motivo di ricorso lamenta "l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e avente carattere decisivo". Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il Q. avesse accettato, per facta concludentia, un'offerta di compenso molto inferiore a quello previsto dalle tariffe professionali, essendo tale circostanza già oggetto di espressa contestazione in giudizio, ed ora comunque smentita attraverso la presentazione, in forza dell'art. 372 c.p.c., della documentazione IES dell'anno 2010, dalla quale si evincerebbe che il ricorrente percepiva importi differenti per i vari incarichi affidatigli e mai pari ad Euro 40,00.
3.5.Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione del giudicato implicito delle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di Codesta Corte.
3.6. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta l'erronea interpretazione dei principi nomofilattici espressi dalle Sezioni Unite nelle pronunce del 15.11.2007, n. 23726 e del 13.02.2017, n. 4090.
4. Infine, stante il contrasto rilevato tra le sentenze n. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 - in cui la Suprema Corte si è pronunciata nel senso di negare l'unitarietà dell'obbligazione accogliendo i ricorsi del Q. - e le successive pronunce - in cui il Supremo collegio ha rigettato i ricorsi proposti dallo stesso -, il ricorrente chiede che il ricorso sia trattato in udienza pubblica innanzi alle Sezioni Unite.
5. In via preliminare, deve affermarsi che non sussistono le ragioni, stabilite dall'art. 374 c.p.c., per la rimessione della causa alle sezioni unite per quanto auspicato dal ricorrente. La questione di diritto su cui si incentra il ricorso è stata, piuttosto, di recente già decisa in senso uniforme in tutte le ordinanze rese da questa Corte tra le medesime parti all'esito delle adunanze ex art. 380 bis.1 c.p.c. del 18 ottobre 2017, del 22 marzo 2018 e del 18 giugno 2018, peraltro condividendo il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U, 16/02/2017, n. 4090.
Neppure si rende opportuna la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell'art. 375 c.p.c., comma 2.
6. Tuttavia, nelle conclusioni scritte del 30 novembre 2018, depositate dal pubblico ministero per tutti i ricorsi proposti da Q.B. nei confronti della UnipolSai Assicurazioni S.p.A., fissati per l'adunanza camerale dell'il gennaio 2019, è stato rilevato come, nelle ordinanze rese all'esito dell'adunanza del 22 marzo 2018, questa Corte abbia respinto la conclusione, formulata dal medesimo ufficio del pubblico ministero, volta alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, argomentando dal difetto del presupposto della mala fede o colpa grave, così tuttavia dando per scontata la propria competenza a decidere in ordine alla revoca in oggetto.
Viceversa, nelle ordinanze rese tra le stesse parti all'esito della successiva adunanza del 18 giugno 2018, questa Corte ha espresso il diverso convincimento, così massimato:
"In tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, la competenza a provvedere sulla revoca per il giudizio di cassazione spetta al giudice di rinvio ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, similmente a quanto avviene nei procedimenti penali e con riguardo alla liquidazione degli onorari e delle spese del difensore in cassazione, ai sensi rispettivamente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 112, comma 3, e art. 83, comma 2. Tale revoca, avendo efficacia retroattiva nelle ipotesi previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, commi 2 e 3, ripristina l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa e determina, perciò, le conseguenti restituzioni sulla base di accertamenti di fatto che esulano dai poteri cognitori della Corte di cassazione" (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 23972 del 02/10/2018 - Rv. 650634 - 01).
6.1.In motivazione, l'ordinanza n. 23972 del 02/10/2018, come altre pronunciate all'esito dell'adunanza del 18 giugno 2018, affermava:
"Non deve qui provvedersi sull'istanza di revoca dell'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato avanzata dal Pubblico Ministero. Il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 136 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) indica quali siano i presupposti legittimanti la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio, specificando, peraltro, che se l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, la revoca ha effetto retroattivo. L'art. 112, comma 3, del T.U. Spese, nell'ambito delle disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, chiarisce, a proposito della revoca del decreto di ammissione, che "competente a provvedere è il magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti ovvero al momento in cui la comunicazione è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato". Un'identica esplicita previsione di competenza in ordine alla revoca non è stabilita per i processi civili davanti alla Corte di cassazione. Peraltro, l'art. 83, comma 2, T. U. Spese, per il giudizio di cassazione, affida anche la liquidazione dell'onorario e delle spese spettanti al difensore al giudice di rinvio, ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. Deve quindi ritenersi che competente a provvedere sulla revoca dell'ammissione al patrocinio per il giudizio di cassazione, come nella specie provvisoriamente disposta dal consiglio dell'ordine degli avvocati, sia comunque il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. Avendo, peraltro, efficacia retroattiva, nelle ipotesi indicate dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, commi 2 e 3, il provvedimento di revoca ripristina l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa (Cass. Sez. 1, 05/03/2010, n. 5364), e determina perciò le conseguenti restituzioni sulla base di accertamenti di fatto esulanti dai poteri cognitori della Corte di cassazione".
6.2. Le conclusioni scritte del 30 novembre 2018, depositate dal pubblico ministero, citano l'opposta interpretazione, invero solo implicitamente prescelta nella motivazione di Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17037 del 28/06/2018, allorchè la Corte, preso atto che il competente Consiglio dell'Ordine non aveva rilevato la totale mancanza del requisito della "non manifesta infondatezza delle ragioni" del richiedente", dispose essa stessa la revoca della ammissione al patrocinio a Spese dello Stato.
Anche Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 26060 del 17/10/2018, dopo aver rilevato che la ricorrente risultava ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha proceduto alla revoca dell'ammissione per manifesta infondatezza della pretesa e per colpa grave nel promovimento del giudizio, "con effetto retroattivo e con quanto ne consegue in tema di obbligo di pagamento del doppio contributo unificato".
6.3. Al contrario, va però evidenziato come, ad esempio, Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 5535 del 08/03/2018, affermava in modo esplicito:
"il potere di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, attribuito dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 al giudice davanti al quale si procede, in base alla ricostruzione sistematica di cui si è dato fin qui conto (e che sostanzialmente qualifica la revoca come espressione, in senso negativo, del medesimo potere di liquidazione dei compensi spettanti al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio), deve ritenersi riservato al giudice di ciascun grado del giudizio di merito, in relazione alla (sola) fase processuale svoltasi davanti a lui, mentre, per quanto attiene al giudizio di legittimità, va riconosciuto in capo al giudice di merito cui spetta il potere di liquidazione dei relativi compensi ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 83 (cfr., per l'individuazione di tale giudice, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11028 del 13/05/2009, Rv. 608343 - 01; Sez. 1, Ordinanza n. 23007 del 12/11/2010, Rv. 614529 - 01). Si tratta comunque di un potere diverso rispetto a quello di decidere la controversia tra le parti, e per tale motivo esso va di regola esercitato con autonomo decreto, la cui natura è quella di un provvedimento non decisorio e non definitivo in relazione al merito della suddetta controversia, rispetto alla quale risulta del tutto estraneo, sia per quanto attiene all'oggetto, sia per quanto attiene alle parti del procedimento".
6.4. Le conclusioni scritte del 30 novembre 2018 del pubblico ministero ritengono non pertinente il richiamo all'art. 112, comma 3, del T.U. Spese, in quanto del tutto diverse sono le fasi ed i presupposti dell'ammissione al patrocinio nel processo penale e nel processo civile, e conseguentemente diverse sono le ipotesi della revoca, che nel solo processo civile può avvenire altresì "per ragioni di merito", e cioè se l'azione o l'impugnazione sia stata esercitata con mala fede o colpa grave. A dire del pubblico ministero, solo il giudice della fase e del grado, e quindi anche la Corte di Cassazione ove si proceda innanzi ad essa, può valutare la manifesta infondatezza della domanda o dell'impugnazione, e non certo poi il giudice di merito del grado precedente, il quale abbia pronunciato la sentenza passata in giudicato, pur essendo chiamato dalla legge a liquidare il compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio.
6.4.1. Questa considerazione sembra partire, quindi, dall'assunto della necessaria identificazione del giudice che valuta se il soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave ai fini della responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c., col giudice che, invece, valuta se l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave ai fini della revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Al contrario, può osservarsi come la decisione sulla responsabilità aggravata nello svolgimento dell'attività processuale spetta certamente alla competenza funzionale e inderogabile del giudice cui parimenti spetta di conoscere il merito della causa, e perciò va esercitata nel provvedimento che determina l'esito della lite da cui si pretenda di dedurre la medesima responsabilità; viceversa, la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio, ove mai l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, non va adottata con la sentenza che definisce il giudizio sulla domanda di merito, ma necessariamente con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, restando tale decreto soggetto al rimedio dell'opposizione ex art. 170 dello stesso d.P.R., nell'ambito di distinto procedimento che non coinvolge le altre parti del processo "principale", e piuttosto intercorre unicamente tra colui che aveva chiesto l'ammissione al patrocinio e l'Amministrazione statale (cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 29228 del 06/12/2017; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 3028 del 08/02/2018).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di espressa previsione normativa, il mezzo di impugnazione avverso il provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili è, infatti, proprio l'opposizione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, al presidente del tribunale o della corte d'appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di revoca, avendo tale opposizione, nel contesto del testo unico in tema di spese di giustizia, natura di rimedio di carattere generale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13807 del 23/06/2011 Rv. 618348 - 01). Ai fini della decisione sulla questione in esame, meritano quindi considerazione altresì le esigenze sistematiche di ragionevolezza solitamente ravvisate in giurisprudenza sull'indeclinabile presupposto della inesperibilità dello strumento impugnatorio dell'opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, con riguardo a provvedimenti pronunciati da collegi della Corte di Cassazione (ad esempio, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23009 del 09/12/2004 Rv. 578688 - 01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16986 del 25/07/2006 Rv. 591172 - 01). Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 21610 del 04/09/2018, Rv. 650471 - 01, ha inoltre precisato proprio come "il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, in materia di revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, nel disporre che con decreto il magistrato revoca la suddetta ammissione nell'ipotesi in cui venga accertato che l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, disancora il giudizio sul merito dell'azione giudiziaria proposta da quello della fondatezza del decreto di revoca, che deve basarsi esclusivamente sul dolo o colpa grave nell'agire in giudizio, e non sull'infondatezza dell'azione nel merito".
Nel delineare il quadro normativo, va ora altresì considerato l'art. 130-bis, comma 1, del T.U. Spese, inserito dal D.L. n. 113 del 2018, art. 15, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018, norma che preclude al giudice competente per la liquidazione di riconoscere alcun compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio allorchè l'impugnazione sia dichiarata inammissibile.
6.5.Le conclusioni del pubblico ministero rappresentano altresì l'ulteriore negativa conseguenza correlata alla eventuale esclusione della competenza della Corte di Cassazione sulla revoca dell'ammissione, in quanto ciò comporterebbe una generalizzata "disapplicazione di fatto", in favore del soccombente ammesso al patrocinio, dell'obbligo di versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
6.5.1. Anche a tale conclusione si potrebbe replicare come, ad avviso di Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 26907 del 24/10/2018, (Rv. 651141 - 01), "... il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non impone al giudice di dichiarare, oltre alla ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, anche se la parte, in dipendenza di tale esito, sia in concreto tenuta al versamento del contributo, essendo tale accertamento rimesso all'amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria". Di tal che, afferma in motivazione la Sentenza n. 26907 del 24/10/2018, "... tanto nei casi di esenzione dal contributo, quanto nei casi di prenotazione a debito, il giudice deve comunque attestare se ha adottato una pronuncia di inammissibilità o improcedibilità o di "respingimento integrale", competendo poi esclusivamente all'Amministrazione valutare se nonostante l'attestato tenore della pronuncia, che evidenzia il presupposto giurisdizionale dell'esito del processo di impugnazione legittimante in astratto la debenza del doppio contributo, in concreto la doppia contribuzione spetti. Di modo che se l'Amministrazione constati l'esenzione o la prenotazione a debito (come nel caso di patrocinio a spese dello Stato), le ulteriori deliberazioni competono esclusivamente ad essa e contro di esse la reazione della parte dovrà estrinsecarsi con i mezzi di tutela contro l'eventuale illegittima pretesa di riscossione e ciò senza che l'attestazione del giudice civile possa leggersi come di debenza della doppia contribuzione, atteso che essa non ha tale oggetto".
Già Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014 (Rv. 630551 - 01) osservava che, nella previsione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, "l'obbligo del pagamento del contributo aggiuntivo sorge ipso iure, per il solo fatto del formale rilevamento della sussistenza dei suoi presupposti, al momento stesso del deposito del provvedimento di definizione dell'impugnazione: sicché da quello stesso momento è attivabile pure il procedimento per la relativa riscossione. In questo contesto, tale rilevamento non può quindi costituire un capo del provvedimento di definizione dell'impugnazione dotato di contenuto condannatorio, nè di contenuto declaratorio: a tanto ostando anzitutto la mancanza di un rapporto processuale con il soggetto titolare del relativo potere impositivo tributario, che non è neppure parte in causa, e quindi irrimediabilmente la carenza di domanda di chicchessia o di controversia sul punto e comunque discendendo il rilevamento da un obbligo imposto dalla legge al giudice che definisce il giudizio. Deve allora ritenersi che la lettera della disposizione conferisca al giudice dell'impugnazione il solo potere-dovere di rilevare la sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione del raddoppio del contributo unificato, cioè che l'impugnazione sia stata rigettata integralmente, ovvero dichiarata inammissibile o improcedibile. Pertanto, non può e non deve il giudice che definisce l'impugnazione operare valutazioni o declaratorie di sorta, visto che la sussistenza o meno di quei presupposti è un fatto insuscettibile di diversa estimazione e che il rilevamento di quelli non è legato in alcun modo alla condanna alle spese, ma è reso oggetto di una mera presa d'atto; ed il capo del provvedimento con una tale presa d'atto costituisce solo il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di pagamento in capo al soccombente".
6.5.2. Ciò significherebbe che, spettando al giudice dell'impugnazione (ovvero, nella specie, alla stessa Corte di Cassazione), nel pronunciare il provvedimento che la definisce, di dare atto - senza ulteriori valutazioni decisorie - della sola astratta sussistenza dei presupposti (rigetto integrale, ovvero inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) per il versamento, da parte del soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non sarebbe in alcun modo pregiudicato il potere del magistrato competente per la revoca dell'ammissione provvisoria al patrocinio, ove risulti l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero ove l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, di riconoscere retroattivamente (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 3) l'obbligo della parte che abbia subito la revoca a versare all'erario le spese prenotate a debito in forza del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 131.
6.5.3. Come già osservava l'ordinanza n. 23972 del 02/10/2018, la competenza in ordine ai recuperi ed alle restituzioni discendenti dall'efficacia retroattiva della revoca dell'ammissione al patrocinio coinvolge, del resto, la necessità di compiere accertamenti di fatto in ordine a documenti e circostanze normalmente esulanti dai limitati poteri cognitori della Corte di Cassazione.
6.6.Stante, comunque, la difformità (quanto meno implicita), segnalata dal pubblico ministero, delle decisioni in punto di competenza a provvedere sulla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili su cui procede la Corte di Cassazione, e rilevata pure la particolare importanza della questione di massima, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2019.
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