Tutela dell'acquirente e nullità del contratto preliminare per abuso del diritto
Pubblicato il 26/11/19 09:01 [Doc.6884]
di Redazione IL CASO.it
La proposizione della domanda di nullità del contratto preliminare per mancanza della garanzia accessoria del D.Lgs. n. 122 del 2005, ex art. 2, una volta che sia stata rilasciata la garanzia prescritta per legge in data successiva alla stipula del preliminare, e senza che nelle more si sia manifestata l'insolvenza del promittente venditore ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l'interesse del promissario acquirente alla cui tutela è preposta la nullità di protezione prevista dalla norma in esame, costituisce abuso del diritto e non può quindi essere accolta.
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Cassazione civile, sez. II, 22 novembre 2019, n. 30555. Pres. Cosentino, Rel. Criscuolo.
Ragioni in fatto della decisione
Il Tribunale di Taranto sezione distaccata di Martina Franca, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., n. 612/2010 dichiarava la nullità del contratto preliminare di vendita di immobile da costruire concluso il (*) , tra la Edil Gnisci S.r.l., quale promittente venditrice, e A.B. , quale promissario acquirente; nonché degli ulteriori contratti, ritenuti collegati, conclusi tra le stesse parti il (*) (preliminare di permuta di un terreno contro un immobile da costruire) e il (*) (compravendita del terreno su cui l'immobile sarebbe dovuto sorgere).
Secondo il provvedimento del Tribunale il preliminare era nullo in quanto la fideiussione prescritta a pena di nullità dal D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, era stata rilasciata dalla società venditrice in data successiva alla conclusione del preliminare e per un importo di Euro 170.000,00, inferiore rispetto al prezzo riscosso dal venditore, pari ad Euro 220.000,00, che corrispondeva al valore del terreno appartenente al C. e che era stato oggetto di permuta.
Aggiungeva altresì che la fideiussione non rispettava la previsione di cui all'art. 3 dello stesso D.Lgs., che imponeva la rinuncia alla preventiva escussione del debitore principale, ed inoltre che la fideiussione veniva a scadere in data (*), laddove la legge prevede che debba perdere efficacia al momento del trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita. Infine il preliminare era generico nella determinazione dell'immobile da costruire.
Stante la nullità della compravendita del terreno del (*), all'attore spettava la restituzione del bene alienato ed alla società spettava la restituzione dell'importo di Euro 50.000,00 versato in sede di stipula, da compensare però con il pari importo versato dal C. quale acconto del prezzo in sede di preliminare.
Veniva altresì accordato il risarcimento del danno in favore del promissario acquirente, scaturente dal mancato trasferimento del terreno e dal mancato acquisto del bene futuro, danno quantificato nella somma di Euro 25.000,00.
La Edil Gnisci S.r.l. proponeva appello e la Corte d'Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto - con la sentenza n. 222 del 14/5/2015, in riforma parziale dell'ordinanza impugnata, rigettava la domanda di nullità del preliminare di permuta del (*) e del contratto di compravendita del terreno del (*) e condannava l'appellante alla restituzione della somma di Euro 50.000,00, rigettando ogni altra domanda, ivi inclusa quella di risarcimento del danno.
Dopo aver ricordato il contenuto del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2 - che prescrive la nullità del contratto di trasferimento non immediato della proprietà di un immobile da costruire (suscettibile però di essere fatta valere solo dal promissario acquirente) nel caso di mancata consegna della fideiussione di importo corrispondente alle somme ed al valore di ogni altro corrispettivo che il costruttore ha riscosso e che dovrà ancora riscuotere a termini di contratto prima del trasferimento della proprietà - la corte territoriale rilevava che il contratto preliminare del (*) prevedeva un corrispettivo di Euro 170.000,00, che però corrispondeva a quello indicato nella fideiussione rilasciata successivamente alla conclusione dello stesso contratto.
Nel contratto era anche indicata la data del (*) per la stipula del definitivo, data che corrispondeva a quella riportata nella fideiussione, mentre nelle condizioni aggiuntive della polizza fideiussoria era anche contenuta la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale, conformemente a quanto previsto dal menzionato art. 3.
Infine, doveva ritenersi che l'immobile promesso in vendita fosse sufficientemente descritto ed identificato.
Emergeva tuttavia che la polizza fideiussoria era stata rilasciata in data successiva alla conclusione del preliminare, circostanza questa che risulta sanzionata con la nullità dell'art. 2.
Tale nullità però non poteva comunicarsi al contratto successivo ed a quello anteriore.
Infatti, quanto al preliminare di permuta del (*), lo stesso era stato concluso allorquando non era stato nemmeno richiesto il permesso di costruire (essendo stata inoltrata la relativa domanda solo il (*)), essendo quindi carente il requisito legale per l'operatività del D.Lgs. n. 122 del 2005.
Inoltre, benché nell'intenzione dei contraenti il preliminare di vendita dell'appartamento e la compravendita del terreno fossero da coordinare in uno stesso progetto economico, espresso dal precedente preliminare di permuta, non poteva dubitarsi che ciascun negozio avesse conservato la propria autonomia, come peraltro desumibile dall'assenza di richiami nei rispettivi testi.
Ne derivava che non poteva addivenirsi alla dichiarazione di nullità di un contratto anteriore sulla base di un difetto di forma di un contratto successivo, nè alla nullità della vendita del terreno, perfetta in tutti i suoi elementi formali.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso A.B. sulla base di un motivo.
La Edil Gnisci S.r.l. resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
A.B. resiste con controricorso al ricorso incidentale.
La causa, dopo essere stata inizialmente trattata in udienza camerale ex art. 380 bis.1 c.p.c., è stata rimessa alla pubblica udienza.
Ragioni in diritto della decisione
1. Con l'unico motivo di ricorso principale il C. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1344 c.c., in tema di collegamento negoziale tra contratti nonché l'esistenza di un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili nella motivazione del giudice di appello.
Si deduce che i vari contratti posti in essere tra le parti erano tesi a conseguire un medesimo risultato, e cioè lo scambio di un bene presente (il terreno) con un bene futuro (l'immobile da edificare) tenendo conto della necessità di un conguaglio.
Lo stesso contratto di permuta costituisce la riprova dell'esistenza del collegamento negoziale, il quale risulta anche confermato dal fatto che già nel preliminare di vendita del (*) la società si dichiarava proprietaria del bene, sebbene il trasferimento del terreno sarebbe dovuto avvenire in data successiva. Inoltre, risulta del tutto simmetrica la regolamentazione delle modalità di versamento del prezzo tra il preliminare di vendita ed il patto di trasferimento del terreno. Deve quindi ritenersi che la Corte d'Appello, pur avendo riconosciuto la volontà delle parti di coordinare i vari contratti nell'ambito di uno stesso progetto economico, ha reso poi una conclusione del tutto inconciliabile con il riscontro del collegamento negoziale, laddove ha invece ritenuto che la sorte del preliminare di vendita non potesse estendere i suoi effetti anche agli altri contratti collegati.
2. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su di un motivo di appello, in quanto la sentenza gravata ha omesso di pronunciare sull'eccezione avanzata in sede di appello, circa l'inapplicabilità alla fattispecie, unitariamente considerata, della disciplina di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005, atteso che l'operazione economica aveva origine nel contratto di permuta del (*) , risalente ad una data in cui la normativa de qua non era ancora applicabile.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 1, dell'art. 1322, dell'art. 132 c.p.c., n. 4 e dell'art. 111 Cost., per la presenza nella motivazione di un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili.
Deduce la società che - se si ritiene, come ha fatto la Corte d'appello, che al contratto di permuta sia inapplicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005 - tale inapplicabilità deve estendersi, stante l'esistenza di un medesimo progetto economico, anche al successivo preliminare di compravendita dell'appartamento.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2 e dell'art. 1423 c.c., laddove la Corte di merito è pervenuta a dichiarare la nullità del preliminare di vendita immobiliare, in quanto la fideiussione di cui all'art. 2 della medesima norma, era stata rilasciata non contestualmente alla conclusione del contratto, ma posteriormente.
In tal modo è stata negata la sanatoria della nullità di cui al citato art. 2 - che costituisce evidentemente una nullità di protezione, potendo essere fatta valere soltanto dall'acquirente, che è l'unico legittimato ad avvalersene anche quando, per effetto del successivo rilascio della fideiussione, venga rimossa la situazione di fatto che a suo tempo aveva impedito la valida formazione dell'atto.
Nè in tal senso rileva il limite dell'art. 1423 c.c., atteso che le nullità di protezione rispondono ad esigenze di tutela del contraente debole, diverse da quello a presidio delle quali sono poste le cd. nullità assolute.
Il quarto motivo lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza gravata ha omesso di considerare che la consegna successiva della polizza era espressamente prevista nel preliminare, così che in tal modo anche l'acquirente aveva inteso disporre del potere di far valere la nullità.
3. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dalla società controricorrente sul presupposto che lo stesso sarebbe stato predisposto da difensore sprovvisto di procura speciale.
Deduce la controricorrente che la lettura della procura a margine del ricorso evidenzia che il mandato era stato conferito per la redazione del controricorso e del ricorso incidentale circa l'impugnativa della sentenza n. 72/7/2013 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale di Bari in data 21/11/2013, il che impedirebbe di poter riferire la procura al ricorso invece proposto dal C. .
Il Collegio osserva tuttavia che occorre far riferimento alla costante giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (cfr. Cass. n. 28227/2005) il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l'impugnazione si rivolge, sempre che dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità, il che si verifica certamente quando la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l'eventuale errore materiale, facilmente riconoscibile, circa gli estremi della sentenza impugnata (conf. Cass. n. 10539/2007).
La circostanza che la procura nel caso in esame sia stata apposta a margine dello stesso ricorso la cui lettura permette di verificare la corretta individuazione della sentenza impugnata (cfr. pag. 2 del ricorso), esclude pertanto che l'errore materiale commesso nell'indicazione del numero e della provenienza della sentenza impugnata nel corpo della procura determini il venir meno del carattere della specialità della procura stessa.
4. Del pari in via preliminare deve essere rilevata l'inammissibilità delle deduzioni sviluppate nel controricorso al ricorso incidentale nella parte in cui, da pag. 7 in poi, si argomenta che la fideiussione, oltre che tardivamente rilasciata, era, comunque, non rispondente ai requisiti di legge;
sul punto, infatti, la sentenza impugnata ha avuto modo di esprimersi in maniera espressa alla pag. 5.
I giudici di appello hanno statuito che la garanzia prescritta per legge risultava conforme ai requisiti imposti dal legislatore, ravvisando la causa della nullità del preliminare di vendita unicamente nella non contestualità cronologica tra conclusione del contratto e rilascio della fideiussione.
Vi è dunque stato un accertamento sia in fatto che in diritto del giudice di appello circa la rispondenza della fideiussione rilasciata dalla Edil Gnisci ai requisiti imposti dalla legge, accertamento che non è stato oggetto di censura nel ricorso principale e che quindi il ricorrente non poteva rimettere tardivamente in discussione in occasione della proposizione del controricorso al ricorso incidentale.
Analogamente deve esser disattesa la deduzione, sempre sviluppata nel controricorso al ricorso incidentale, laddove, sollecitandosi il potere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità del contratto (Cass. S.U. n. 26242/2014), si evidenzia che anche l'originario contratto preliminare di permuta di bene presente con bene futuro del (*) sarebbe autonomamente affetto da nullità per la violazione della prescrizione della L. n. 47 del 1985, art. 40, attesa la mancata presenza delle menzioni urbanistiche imposte dalla legge a pena di nullità.
La deduzione è infondata. Infatti, rileva nella fattispecie che tale contratto è pacificamente un preliminare di permuta, avente quindi efficacia obbligatoria.
Sul punto va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 28456/2013) la sanzione della nullità prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita (conf. Cass. n. 21942/2017).
Tale principio ha poi trovato autorevole conferma in Cass. S.U. n. 8230/2019, che nel disattendere la contraria soluzione pur sostenuta in alcuni sporadici arresti richiamati dal ricorrente, ha confermato che la nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, con esclusione quindi degli atti a mera efficacia obbligatoria.
5. L'ordine logico delle questioni impone la preventiva disamina del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale che investono direttamente la correttezza della declaratoria di nullità del preliminare di compravendita immobiliare del (*) , posto che, ove tali motivi risultassero fondati, sarebbero evidentemente assorbiti sia il ricorso principale che gli altri motivi di ricorso incidentale, che vertono essenzialmente sugli effetti del collegamento negoziale e sul regime operante per i contratti collegati per l'ipotesi che uno solo di essi sia affetto da nullità.
Il D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, comma 1 (il cui testo non è stato direttamente variato dalle modifiche alla disciplina sostanziale della fidejussione ivi prevista introdotte dal D.Lgs. n. 14 del 2019 - Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155 -, le quali, comunque, si applicano ai contratti aventi ad oggetto immobili da costruire per i quali il titolo abilitativo edilizio sia stato richiesto o presentato successivamente alla data di entrata in vigore del decreto stesso - 16/3/2019 - giusta il disposto del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 5, comma 1 ter, introdotto dal D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 387) prevede che:
"1. All'atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall'acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all'acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall'art. 1938 c.c., di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall'acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. Restano comunque esclusi le somme per le quali è pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuante, nonché i contributi pubblici già assistiti da autonoma garanzia". La sentenza impugnata - avendo escluso, come sopra evidenziato, che ricorressero altre ipotesi di non corrispondenza della fideiussione alle prescrizioni normative ha ritenuto che il preliminare de quo, concluso in data (*) , fosse affetto da nullità in quanto la polizza fideiussoria era stata rilasciata solo in data (*) (cfr. pag. 2 del ricorso) e, quindi, non contestualmente alla conclusione del contratto, il che contravveniva alla specifica previsione di cui al riportato art. 2.
La norma in esame configura, secondo la pacifica opinione della dottrina che ha avuto modo di occuparsi del tema, un'ipotesi di nullità relativa, la cui declaratoria è rimessa all'esclusiva iniziativa dell'acquirente, ed evidentemente di protezione, in quanto finalizzata a preservare l'interesse dell'acquirente a recuperare, tramite apposta garanzia, le eventuali somme versate in favore del venditore (e ciò in vista del pericolo di insolvenza di quest'ultimo).
La soluzione legislativa a favore della nullità è pertanto orientata dall'esigenza di predisporre una forma "forte" di controllo sulla regolarità dell'operazione nel suo complesso, in chiave di funzionalizzazione dell'esercizio dell'atto di autonomia alla tutela di specifici interessi (considerati "deboli" sul piano negoziale e pertanto suscettibili di protezione attraverso meccanismi in qualche misura correttivi dello squilibrio di potere contrattuale), ma come tale essa si trova a dover fare i conti con istituti giuridici tradizionali, ispirati al principio in gran parte superato della perfetta eguaglianza dei contraenti.
La progressiva evoluzione della normativa, specialmente di derivazione comunitaria, ha posto in evidenza il sempre più frequente ricorso alla nullità anche in funzione della protezione di interessi particolari, che sono sottratti al potere di disposizione del titolare, nell'ambito di fattispecie negoziali con riguardo alle quali la legge ritiene che la disparità tra le parti sia tale da impedire a una di esse l'effettivo esercizio della sua autonomia contrattuale.
Va però ricordato che, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 26242/2014), accanto alla protezione dell'interesse del contraente ritenuto di volta in volta come debole da parte del legislatore, la nullità relativa ha lo scopo anche di assicurare la protezione di un interesse generale tipico della società di massa, così che la legittimazione ristretta non comporterebbe alcuna riqualificazione in termini soltanto privatistici e personalistici dell'interesse (pubblicistico) tutelato dalla norma attraverso la previsione della invalidità. Si è pure chiarito, ai fini della soluzione del quesito circa l'ammissibilità del rilievo officioso di tale ipotesi di nullità, che la risposta positiva a tale quesito risulta funzionale al perseguimento di interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.), atteso che lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell'autonomia negoziale, ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese.
Sarebbe del tutto eccedente rispetto alla risoluzione della presente controversia interrogarsi sulla correttezza delle perplessità manifestate in un non remoto passato dalla dottrina circa la stessa giuridica configurabilità dell'istituto della nullità relativa (in quanto verrebbe a confliggere con gli aspetti salienti della nullità assoluta, quale quello della sua rilevabilità d'ufficio, della sua operatività erga omnes, della legittimazione di chiunque vi abbia interesse all'esperimento dell'azione di nullità). Si tratta, del resto, di profili che ormai possono ritenersi superati dai successivi approdi della giurisprudenza di questa Corte che, proprio con gli arresti a Sezioni Unite del dicembre del 2014, ha offerto alcuni strumenti interpretativi per rendere compatibili le peculiarità del regime delle nullità relative con le regole generali dettate dal codice civile in tema di nullità.
Sulla scorta di tali arresti può ora ritenersi superato l'approccio riduttivo, pur manifestatosi nella dottrina, volto a fornire una sostanziale assimilazione delle nullità relative all'annullabilità. Da tanto consegue che non è possibile invocare l'istituto della convalida di cui all'art. 1444 c.c.; nè, può comunque aggiungersi, il richiamo a tale figura potrebbe giovare alla tesi della ricorrente incidentale nella vicenda in esame, posto che, avendo questa valorizzato, ai fini del recupero del negozio invalido, il comportamento consistente nel successivo rilascio della fideiussione, la previsione di cui all'art. 1444 c.c., non si presterebbe allo scopo. La convalida, sia nella sua forma negoziale espressa che in quella scaturente dall'esecuzione del contratto, deve infatti provenire dal soggetto a favore del quale è concessa l'azione di annullamento - e nel nostro caso di nullità - e, cioè, dal promissario acquirente; laddove, nella vicenda che ci occupa, il rilascio differito della fideiussione è fatto ascrivibile alla promittente venditrice.
D'altronde proprio il menzionato intervento delle Sezioni Unite del 2014 depone nel senso della riconducibilità delle nullità di protezione alla disciplina generale della nullità tradizionalmente contenuta nel codice civile, alle cui previsioni occorre quindi far riferimento quando le varie leggi speciali che di volta in volta introducono tali ipotesi di nullità di protezione non dettino disposizioni specifiche.
Ritiene il Collegio che, poiché all'interno del sistema di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005, non si rinviene una specifica norma che preveda la convalida o la conferma del contratto nullo, la fattispecie deve ritenersi regolata direttamente dalla generale previsione di cui all'art. 1423 c.c., la quale, tuttavia, limita la convalida, e comunque il recupero del negozio nullo, ai soli casi espressamente previsti dalla legge.
Ed, infatti, in disparte l'ipotesi, che qui non ricorre, di rinuncia successiva all'azione di nullità da parte del soggetto a favore del quale è previsto il potere di chiedere la declaratoria di nullità (dovendosi per converso ritenere, quanto meno in relazione alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, inammissibile una rinuncia preventiva, la quale frusterebbe in maniera evidente gli scopi della normativa di tutela dettata dal legislatore) la situazione che a detta della ricorrente incidentale dovrebbe determinare il recupero della validità del preliminare consisterebbe, come sopra accennato, nel rilascio successivo della fideiussione, vale a dire in un comportamento che, secondo il non contestato accertamento della sentenza impugnata, proveniva dal contraente al quale non è stato attribuito il potere di domandare l'accertamento della nullità.
In proposito va sottolineato che anche le opinioni dottrinarie che, con riferimento alle ipotesi di nullità relative, valorizzano il ricorso all'istituto della convalida del negozio nullo concordano sul fatto che la disponibilità del diritto andrebbe riconosciuta solo ai soggetti a favore dei quali è prevista la tutela legale, essendo quindi irrilevante, ai fini dell'applicazione dell'art. 1423 c.c., la volontà o la condotta dell'altro contraente successive al verificarsi della causa di nullità.
Ai fini che ci occupano, d'altra parte, non può valorizzarsi nè il rilievo che il contratto preliminare de quo prevedeva espressamente che la garanzia venisse rilasciata dopo la conclusione del contratto stesso, nè il rilievo che la fidejussione, ancorché rilasciata tardivamente, era stata tuttavia accettata dal C. "sottoscrivendo per accettazione il relativo contratto" (così lo stralcio dell'appello della Edil Gnisci trascritto a pag. 15 del controricorso).
Quanto al primo rilievo, va considerato che la suddetta previsione negoziale si risolve, in sostanza, in una forma surrettizia di rinuncia preventiva alla nullità, certamente inidonea ad impedire il dispiegarsi dell'effetto invalidante della previsione legale.
Quanto al secondo rilievo, risulta assorbente la considerazione che il fatto che il C. abbia sottoscritto per accettazione il contratto di fidejussione non emerge dalla sentenza gravata e non può formare di accertamento nel giudizio di legittimità.
5.1 Una volta esclusa la possibilità di configurare una sanatoria del negozio nullo a seguito del successivo rilascio della fideiussione, i motivi in esame però pongono l'ulteriore problema di diritto che involge la rilevanza di tale condotta ai fini della valutazione della persistenza di un interesse ancora meritevole di protezione in capo al promissario acquirente che lo legittimi pertanto a richiedere l'accertamento della nullità per una violazione che, ancorché configurata come strutturale dal legislatore, non ha però compromesso l'interesse in vista del quale era stata specificamente dettata la previsione di invalidità.
Occorre in sostanza interrogarsi se, non essendosi manifestata l'insolvenza del venditore nel lasso di tempo trascorso tra la conclusione del preliminare ed il successivo rilascio della fideiussione, e non avendo l'acquirente manifestato in tale periodo di tempo l'intento di far dichiarare la nullità, sia consentito invocare l'invalidità del contratto allorquando, essendo stata poi rilasciata la fideiussione, come detto ritenuta dai giudici di merito conforme al modello prescritto dal legislatore, sia stata assicurata la tutela dell'interesse della parte debole del rapporto, in vista del quale era stata prevista la nullità.
Parte della dottrina che ha avuto modo di occuparsi della disciplina di cui al D.Lgs. n. 122 del 2005, ha condivisibilmente rilevato che, ferma restando anche l'imprescrittibilità dell'azione volta a far valere la nullità di protezione in esame, e non essendo contemplata in maniera espressa alcuna preclusione all'esperimento dell'azione di nullità, ad opera dell'acquirente, successivamente al momento in cui sia stata da lui conseguita la proprietà del fabbricato, ultimato ed agibile, osta all'ammissibilità di siffatta azione la stessa finalità della nullità "di protezione", in quanto non si vede alcuna ragione per sacrificare l'interesse del costruttore e, soprattutto, quello della successiva circolazione immobiliare, pur in assenza della fideiussione, o della conformazione del contenuto contrattuale ai sensi di legge, quando l'interesse fondamentale dell'acquirente è stato ormai soddisfatto.
Non è casuale che, nel corso dei lavori preparatori del decreto delegato, era stato suggerito, proprio con riguardo alla nullità conseguente alla mancata prestazione della fideiussione, l'inserimento di una disposizione che precludesse l'azione di nullità in conseguenza del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sull'immobile, o dell'atto definitivo di assegnazione; tale suggerimento poi non è stato trasposto nel parere approvato dal Senato e, di conseguenza, non è stato recepito nella versione definitiva del Decreto Legislativo.
Tuttavia tali riflessioni - che partono dalla evidente considerazione che la disciplina in tema di immobili da costruire mira essenzialmente a preservare l'interesse del promissario acquirente e a garantire costui, con la nullità in materia di mancato rilascio della fideiussione, dal pericolo di insolvenza del venditore, mediante la garanzia fornita di un soggetto affidabile - portano del pari a dubitare della legittimità dell'esercizio di un'azione di nullità che, ancorché supportata dal testo della norma, sia funzionale alla tutela di un interesse che ormai non è più in alcun modo in pericolo.
Proprio con specifico riferimento al caso in cui, per l'ipotesi di nullità di cui all'art. 2, in esame, non vi sia più un concreto rischio di pregiudizio dell'interesse dell'acquirente parte della dottrina ha ritenuto che l'esercizio dell'azione di nullità sarebbe precluso dalla mancanza di interesse ad agire dell'acquirente, ex art. 100 c.p.c. (in combinato disposto con l'art. 1421 c.c.). Nel caso in esame, tuttavia, non può ritenersi che il ricorrente principale non abbia interesse alla declaratoria di nullità del contratto preliminare di vendita del 28/02/2009; se, infatti, si muove dalla premessa che l'interesse ad agire consiste nell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, non può negarsi che l'azione di nullità esperita dal C. sia assistita da tale interesse, giacché essa tende, tramite il richiamo all'istituto del collegamento negoziale, a rendere privi di efficacia tutti i tre contratti intervenuti tra le parti, così consentendo il recupero della proprietà del terreno trasferito alla Edil Gnisci con il contratto definitivo del (*) .
Ritiene, tuttavia, il Collegio, che - avendo riguardo non già, astrattamente, al momento in cui venne posto in essere l'atto che si assume nullo, bensì al momento in cui è stata proposta la domanda di nullità - sia necessario valutare se l'esercizio dell'azione di nullità da parte del C. configuri un'ipotesi di utilizzo distorto del diritto assegnatoli dalla norma istitutiva della nullità di protezione e quindi, in definitiva, di abuso del diritto.
La proposizione della domanda di nullità quando l'interesse protetto dalla norma non abbia più ragione di temere alcun pregiudizio (per essere stato comunque assicurato l'interesse che la condizione asimmetrica dei contraenti avrebbe potuto pregiudicare o, addirittura, per essere stato già attuato l'interesse primario cui mirava il regolamento negoziale) risulta, infatti, funzionale non ad attuare il fine di protezione perseguito dalla legge, ma il diverso fine di sciogliere il contraente da un contratto che non reputa più conveniente o di aggirare surrettiziamente gli strumenti di reazione che l'ordinamento specificamente appronta avverso le condotte di inadempimento della controparte. Ciò determina un palese sviamento delle finalità della legge, non solo per quanto concerne la protezione dello specifico interesse del contraente ritenuto debole, ma, di riflesso, anche con riferimento agli interessi più generali e di sistema, che il meccanismo della nullità di protezione, come sopra ribadito, mira a preservare. Come peraltro rilevato anche nell'ordinanza di questa Corte n. 23927/2018, con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione circa la possibilità per l'investitore di fare un uso "selettivo" della nullità del contratto quadro, limitandone gli effetti solo ad alcune delle operazioni poste in essere in esecuzione del rapporto dichiarato nullo, occorre scongiurare uno sfruttamento "opportunistico" della normativa di tutela, nel caso di specie, dell'investitore, avvalendosi anche dell'istituto dell'exceptio doli generalis, nel caso in cui la domanda sia stata proposta in mala fede, assicurando quindi la disapplicazione delle norme positive nei casi in cui la rigorosà applicazione delle stesse risulterebbe - in ragione di una condotta abusiva - sostanzialmente iniqua.
Le stesse Sezioni Unite, del resto, hanno di recente già avuto modo di affermare che "ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l'interesse particolare, l'interprete deve essere attento a circoscrivere l'ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l'interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche" (sent. n. 898/2018, pag. 15).
Ritiene la Corte che nel caso in esame debba effettivamente riscontrarsi un'ipotesi di abuso del diritto.
Infatti, l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica. Oggi, i principi della buona fede oggettiva e dell'abuso del diritto debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principi si integrano a vicenda, giacché, per un verso, la buona fede costituisce un canone generale cui ancorare la condotta delle parti di un rapporto privatistico, nonché l'interpretazione degli atti giuridici di autonomia privata; per altro verso, l'abuso del diritto prospetta la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio (cfr. Cass. 20106/09).
La figura dell'abuso del diritto ha già ricevuto ampio e diffuso riconoscimento nella giurisprudenza di questa Corte, potendosi ormai reputare un principio immanente nel sistema e volto a fungere da adeguato strumento correttivo per le condotte giuridiche che - non confacendosi ai richiamati principi di buona fede e correttezza, quali rivisitati alla luce dei principi costituzionali - tradiscono lo scopo e le finalità delle norme in virtù delle quali sono poste in essere.
In disparte l'ampio ricorso a tale istituto nel diritto tributario, a far data dall'intervento delle Sezioni Unite nel 2008 (Cass. S.U. n. 30055/2008), quale espressione di un generale principio antielusivo (che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici), l'abuso del diritto ha ispirato la giurisprudenza, sempre delle Sezioni Unite, in materia di abusivo frazionamento del diritto di credito (cfr. Cass. S.U. n. 23726/2007 e da ultimo Cass. S.U. n. 4090/2017), per poi diffondersi in svariati settori dell'ordinamento.
Nella più recente giurisprudenza è stata dichiarata inammissibile (Cass. n. 30539/2018) la domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento, assumendosi che in tal caso la domanda aveva gli estremi dell'abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità deviate o eccedenti rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti. Il principio ha poi trovato applicazione anche nel diritto del lavoro (cfr. Cass. n. 15885/2018; Cass. n. 10568/2013), in materia di responsabilità processuale aggravata (cfr. Cass. n. 23542/2017), in materia di processi per il riconoscimento dell'equo indennizzo ex L. n. 89 del 2001 (cfr. Cass. n. 8020/2018; Cass. n. 20834/2017) ed in materia di esecuzione forzata (cfr. Cass. n. 6664/2013).
Nel riportare solo alcuni dei precedenti nei quali questa Corte ha avuto modo di riaffermare l'operatività del principio dell'abuso del diritto, ed al fine di dimostrarne l'esteso ambito di applicazione, può dunque concordarsi sul fatto che (cfr. Cass. n. 20106/2009), nel caso di abuso del diritto, quando il titolare, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti, al giudice è dato sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del relativo divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'individuo o dell'imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso.
Tornando al caso in esame, e considerato quanto sopra ricordato circa l'assenza di un perdurante pericolo di pregiudizio dell'interesse del promissario acquirente, tutelato con la previsione della necessità del contestuale rilascio della fideiussione, la proposizione della domanda di nullità del contratto per la violazione del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 2, concreta un abuso del diritto, che ne impedisce l'accoglimento. Ne consegue che il terzo e il quarto mezzo del ricorso incidentale devono essere accolti, nei limiti di cui in motivazione, con la conseguente cassazione della sentenza gravata.
Il giudice di rinvio, che si designa in una diversa sezione della Corte d'Appello di Lecce, si atterrà al seguente principio di diritto: "La proposizione della domanda di nullità del contratto preliminare per mancanza della garanzia accessoria del D.Lgs. n. 122 del 2005, ex art. 2, una volta che sia stata rilasciata la garanzia prescritta per legge in data successiva alla stipula del preliminare, e senza che nelle more si sia manifestata l'insolvenza del promittente venditore ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l'interesse del promissario acquirente alla cui tutela è preposta la nullità di protezione prevista dalla norma in esame, costituisce abuso del diritto e non può quindi essere accolta".
6. L'accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale, implica poi l'assorbimento del ricorso principale e dei restanti motivi del ricorso incidentale;
7. Il giudice di rinvio, come sopra designato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale nei limiti di cui in motivazione, ed assorbiti il ricorso principale ed i restanti motivi del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Lecce, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Depositata in cancelleria il 22 novembre 2019.
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