Proroga del termine per il versamento del prezzo e opposizione agli atti esecutivi
Pubblicato il 07/02/20 00:00 [Doc.7154]
di Redazione IL CASO.it


In tema di espropriazione immobiliare, il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione che, su richiesta dell'aggiudicatario, abbia prorogato il termine per il versamento del prezzo decorre dall'adozione del provvedimento stesso ovvero dal rigetto dell'istanza per la sua revoca e non dall'emissione del decreto di trasferimento, in quanto non può essere invocata la nullità dell'atto susseguente se non è stato fatto valere il vizio dell'atto presupposto, salvo che l'opponente abbia incolpevolmente ignorato l'esistenza di quest'ultimo.

* * *
Cassazione civile sez. III - 10/12/2019, n. 32136. Pres. DE STEFANO, Rel. ROSSETTI.

Fatti di causa
1. A.B., creditrice di M.F., iniziò l'esecuzione forzata per espropriazione immobiliare in danno della debitrice.
La procedura proseguì sino alla vendita e conseguente aggiudicazione dell'immobile pignorato in favore degli acquirenti C.D. e L.G.A..
Nel provvedimento di aggiudicazione si fissò ai due acquirenti termine sino al 10.1.2015 per il versamento del saldo del prezzo.
Il 5.1.2015 gli acquirenti chiesero una proroga per il pagamento del prezzo, e il Giudice dell'esecuzione la concesse.
Il 13.2.2015 M.F. rivolse al Giudice dell'esecuzione una istanza di revoca dell'ordinanza di proroga del termine, istanza che venne rigettata.
Quindi, il 26.5.2015, il Giudice dell'esecuzione emise il decreto di trasferimento della proprietà dell'immobile.
2. Avverso tale decreto M.F. propose opposizione agli atti esecutivi. Sostenne che quel decreto era nullo, per avere il Giudice dell'esecuzione trascurato di rilevare la decadenza degli aggiudicatari dall'acquisto, a causa del tardivo versamento del saldo del prezzo. Ciò sul presupposto che fosse nulla e tamquam non esset l'ordinanza con cui il Giudice dell'esecuzione aveva consentito agli aggiudicatari di versare il saldo del prezzo tardivamente.
Con sentenza 9.12.2015 il Tribunale di Busto Arsizio rigettò l'opposizione, ritenendo che:
a) il provvedimento con cui il Giudice dell'esecuzione consentì agli aggiudicatari il versamento tardivo del saldo era legittimo, perchè il novellato art. 153 c.p.c., comma 2, nella specie applicabile ratione temporis, consente "la proroga dei termini perentori";
b) l'attrice (cui evidentemente il Tribunale ritenne di addossare il relativo onere) non aveva dimostrato che le ragioni sui gli aggiudicatari fondarono la propria istanza di proroga erano pretestuose od infondate;
c) ad abundantiam, infine, il Tribunale aggiunse che comunque non era possibile stabilire se la fase di merito dell'opposizione 617 c.p.c. fosse stata tempestivamente introdotta, in quanto "non era noto a quale originario ricorso la causa di merito sia collegata".
4. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da M.F., con ricorso fondato su sei motivi ed illustrato da memoria.
Hanno resistito con controricorso C.D. e L.G.A. con un controricorso unitario, nonchè i creditori intervenuti nella procedura esecutiva, ovvero il Condominio "(OMISSIS)" e la società Italfondiario s.p.a..

Ragioni della decisione
1. Sintesi dei motivi.
1.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta (evidentemente ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4) la violazione degli artt. 113,152 e 153 c.p.c..
A fondamento di tale censura espone che erroneamente il Tribunale ha ritenuto prorogabile il termine perentorio per il versamento del saldo del prezzo. Deduce che tale termine non sarebbe mai prorogabile, nemmeno ai sensi dell'art. 153 c.p.c..
1.2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 153,154 e 294 c.p.c..
Sostiene che erroneamente il Tribunale ha qualificato come "rimessione in termini" il provvedimento col quale il Giudice dell'esecuzione aveva consentito agli aggiudicatari il versamento tardivo del saldo del prezzo.
Deduce in contrario che nè gli aggiudicatari avevano mai chiesto alcuna rimessione in termini; nè il Giudice dell'esecuzione intese mai concederla: gli uni e l'altro infatti avevano rispettivamente chiesto, e concesso, una "normale" proroga di un termine perentorio, come tale inammissibile.
1.3. Col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 490,570 e 576 c.p.c..
Sostiene che tali norme sanciscono il principio di necessaria pubblicità di tutte le condizioni della vendita forzata, e della immodificabilità di esse.
Espone che tale esigenza è sottesa dall'interesse pubblicistico alla trasparenza della gara, e che pertanto non potrebbe essere frustrata dal provvedimento con cui il giudice, ex post, consentendo una rimessione in termini all'aggiudicatario muti di fatto le condizioni di vendita, tra le quali è essenziale il termine per il pagamento del prezzo.
1.4. Col quarto motivo la ricorrente lamenta che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto sussistente i presupposti per concedere agli aggiudicatari, da parte del giudice dell'esecuzione, una rimessione in termini per il pagamento del saldo prezzo.
1.5. Col quinto motivo la ricorrente lamenta l'omesso esame d'un fatto decisivo.
Il "fatto decisivo" che il Tribunale avrebbe omesso di trascurare sarebbe rappresentato dalle seguenti circostanze: non essere vero, come dedotto dagli aggiudicatari, che il tempestivo pagamento del saldo prezzo fu impedito dalle lungaggini dell'istituto di credito che avrebbe dovuto finanziare l'acquisto, e dalla sospensione dell'attività bancaria durante le festività.
Sostiene la ricorrente che, se il Tribunale avesse esaminato tali circostanze, avrebbe dovuto ricavarne la totale infondatezza, e di conseguenza ritenere illegittima la proroga del termine concessa agli aggiudicatari, ed accogliere l'opposizione.
1.6. Col sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 617 e 618 c.p.c.
Sostiene che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto non esservi la prova della tempestiva introduzione della fase di merito del giudizio di opposizione agli atti.
Sostiene che tale prova risultava invece dagli atti ritualmente allegati all'atto di citazione.
2. Inammissibilità della domanda.
2.1. E' superfluo dare conto dei motivi del ricorso, dal momento L che la sentenza impugnata va cassata senza rinvio ai sensi dell'art. 382 c.p.c., comma 3, per avere pronunciato su una domanda che non poteva essere proposta, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni.
2.2. Come accennato, M.F. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., avverso il decreto di trasferimento della proprietà del bene oggetto di esecuzione, emesso in data 26.5.2015.
Tale decreto venne adottato sul duplice presupposto che:
a) gli aggiudicatari non fossero decaduti dall'acquisto, perchè erano stati rimessi in termini dal Giudice dell'esecuzione, in accoglimento dell'istanza da essi formulata;
b) tale provvedimento fosse legittimo, ed infondata per contro fosse l'istanza di revoca formulata dall'odierna ricorrente.
2.3. E' principio tanto pacifico quanto risalente, nella giurisprudenza di questa Corte, che l'opposizione agli atti esecutivi è quella che viene rivolta contro i provvedimenti con cui il giudice dell'esecuzione regola e dirige la procedura esecutiva: e dunque atti "che costituiscono i presupposti di ulteriori atti del processo" (così già Sez. 3, Sentenza n. 586 del 11/03/1963, Rv. 260773 - 01; nonchè Sez. 3, Sentenza n. 1440 del 19/06/1967, Rv. 328093 - 01).
Altrettanto pacifico è che la nullità d'un atto dell'esecuzione si trasmette agli atti successivi (c.d. principio della "nullità riflessa", anche questo incontrastato da decenni: in tal senso già Sez. 3, Sentenza n. 2148 del 23/07/1973, Rv. 365368 - 01).
Infine, risalente ed incontrastato è altresì il principio secondo cui la nullità riflessa di qualsiasi atto dell'esecuzione forzata "non può essere fatta valere se non in sede di opposizione all'atto che ne è inficiato, ovvero, nel caso che tanto sia stato impossibile, in sede di opposizione all'atto immediatamente successivo" (si veda già, in tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 1141 del 25/03/1975, Rv. 374572 - 01).
Questi tre principi si compendiano nella seguente semplice regola: dato un atto esecutivo nullo, chi intenda dolersene ha da impugnarlo a pena di decadenza nel termine previsto dall'art. 617 c.p.c., ed ove ciò non faccia, sarà vana l'impugnazione di eventuali atti susseguenti, che dal primo abbiano mutuato la nullità. A tale regola ovviamente si può derogare nella sola ipotesi in cui la parte interessata abbia incolpevolmente ignorato l'esistenza dell'atto presupposto nullo, nel qual caso le sarà consentito impugnare, beninteso tempestivamente, il primo atto susseguente del quale abbia avuto notizia.
2.4. Nel caso di specie M.F., per sua stessa ammissione, venne a conoscenza dell'ordinanza di "proroga" del termine per il versamento del saldo del prezzo all'udienza del 14.1.2015; un mese dopo (13.2.2015) depositò un'istanza di revoca della suddetta ordinanza, che venne rigettata in data 12.5.2015.
Tuttavia non impugnò ai sensi dell'art. 617 c.p.c. nè l'ordinanza di proroga, nè il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca della suddetta ordinanza.
Ma il provvedimento col quale il Giudice dell'esecuzione accordi all'aggiudicatario (od a qualunque altra parte del processo esecutivo) una rimessione in termini che si assume illegittima, è un provvedimento che incide sullo svolgimento del processo esecutivo e ne può determinare un certo esito invece d'un altro. La legittimità di quel provvedimento, infatti, renderebbe stabile ed utile l'aggiudicazione; la sua illegittimità, invece, ove rilevata ne provocherebbe l'inefficacia.
Sia l'ordinanza 7.1.2015 di rimessione in termini (conosciuta da M.F. il 14.1.2015); sia l'ordinanza 12.5.2015 di rigetto dell'istanza di revoca della prima furono dunque provvedimenti che incisero sul corso della procedura esecutiva, o "provvedimenti esecutivi" che dir si voglia.
La loro eventuale illegittimità si sarebbe quindi dovuta far valere proponendo una tempestiva opposizione ex art. 617 c.p.c. contro di essi, e non contro il successivo decreto di trasferimento, in virtù del principio ricordato supra, al p. 2.3 della presente motivazione, secondo cui non può essere invocata la nullità riflessa dell'atto susseguente, se - potendolo fare - non si sia fatta valere la nullità dell'atto presupposto.
2.5. La ricorrente si è fatta carico di questo problema (alle pp. 1516 del proprio ricorso), sostenendo la tesi secondo cui l'ordinanza del 7.1.2015, con cui il giudice dell'esecuzione accordò agli aggiudicatari una proroga del termine per il versamento del saldo del prezzo, non avrebbe "natura esecutiva", e di conseguenza non sarebbe stata opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c..
A fondamento della propria tesi invoca due precedenti di questa Corte, e cioè Sez. 3, Sentenza n. 7446 del 27/03/2007, Rv. 597310 01, e Sez. 3, Sentenza n. 3607 del 24/02/2015, Rv. 634526 - 01.
2.6. La seconda in ordine di tempo delle decisioni invocate della ricorrente non è pertinente rispetto al caso oggi in esame.
In quel caso, infatti, questa Corte venne chiamata a stabilire se fosse valido il provvedimento di aggiudicazione pronunciato nonostante l'aggiudicatario avesse versato il prezzo non già nel termine fissato nell'ordinanza di vendita (60 giorni), ma nel più ampio termine fissato dal giudice dell'esecuzione per tutte le procedure dinanzi a lui pendenti, "fissate e da fissarsi". E la suddetta decisione 3607/15, oltre a ritenere valido il decreto di trasferimento, ritenne con obiter dictum di dovere "puntualizza(re) che nessuno ha impugnato, nei termini della opposizione agli atti esecutivi il provvedimento di carattere generale con il quale il giudice dell'esecuzione ha modificato anche le ordinanze di vendita già emesse con la pubblicità sopra indicata".
Una sentenza, dunque, la n. 3607/15, la quale non solo non ha affatto affermato il principio invocato dall'odierna ricorrente, ma che anzi nella motivazione contiene uno spunto in senso contrario.
2.7. Dell'altra decisione di questa Corte invocata da M.F. (e cioè Sez. 3, Sentenza n. 7446 del 27/03/2007, Rv. 597310 01) è invece impossibile stabilire se sia pertinente rispetto al caso di specie, a causa della laconica descrizione del fatto processuale in essa contenuta. E' vero, tuttavia, che quella sentenza contiene l'affermazione in iure d'un principio conforme alla tesi sostenuta dalla ricorrente (ed il principio venne in seguito ribadito da Sez. 3, Sentenza n. 26884 del 19/12/2014, Rv. 633924 - 01, la quale tuttavia si limitò a richiamare ad litteram il precedente del 2007, senza null'altro aggiungere).
Ritiene tuttavia il Collegio che quel principio non possa essere ulteriormente condiviso: sia per l'erroneo presupposto su cui si fonda; sia per le paradossali conclusioni cui la sua applicazione condurrebbe.
2.7.1. Nel caso deciso da Cass. 7446/07, cit., il debitore proprietario dell'immobile espropriato aveva proposto opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso il decreto di trasferimento, sostenendone la nullità in base al presupposto che l'aggiudicatario avesse tardivamente versato il saldo del prezzo.
Il creditore procedente, resistendo all'opposizione, ne aveva eccepito l'inammissibilità: la sentenza tuttavia non spiega su quali presupposti di fatto fosse fondata tale eccezione di tardività: dal p. 1 dei "Motivi della decisione" parrebbe di capire che in quel caso non vi fu alcun provvedimento di proroga del termine per il pagamento del saldo del prezzo, e che l'eccezione di tardività dell'opposizione venne fondata non sulla mancata impugnazione di un atto presupposto, ma sulla scadenza del termine (allora) di cinque giorni dal deposito del provvedimento di aggiudicazione. La sentenza, infatti, rigettò l'eccezione di tardività affermando che il creditore non avesse "nè allegato, nè provato" che il debitore esecutato avesse avuto conoscenza legale dell'emissione del decreto prima di cinque giorni da quello in cui depositò il ricorso in opposizione ex art. 617 c.p.c..
Non è dunque agevole comprendere perchè mai la motivazione di Cass. 7446/07 si sia soffermata a ritenere superflua l'impugnazione degli atti esecutivi presupposti dal decreto di trasferimento, dal momento che tale questione non sembrava essere stata prospettata da alcuna delle parti: il che rende il principio al riguardo affermato da quella sentenza un mero obiter dictum, come tale non vincolante per questo Collegio.
2.7.2. In ogni caso, anche ad ammettere che in quel giudizio il problema qui in esame (e cioè se possa impugnarsi il decreto di trasferimento, quando non si sia previamente impugnato il provvedimento di proroga del termine per il versamento del saldo del prezzo) fosse stato effettivamente sottoposto a questa Corte, i principi ivi affermati non possono essere condivisi.
Nella suddetta sentenza si afferma infatti che "se l'aggiudicatario incorre nella decadenza stabilita all'art. 587 c.p.c., sino a quando la decadenza non è stata pronunciata, ma d'altra parte non è stato ancora pronunciato il decreto di trasferimento, il procedimento esecutivo non rivela per sè alcuna situazione di contrasto con le norme che lo regolano, e dunque non v'è spazio per un onere di opposizione, ma se mai solo la facoltà di presentare istanza al giudice dell'esecuzione, per sollecitarlo ad adottare il provvedimento previsto dall'art. 587 c.p.c..
Solo con la pronuncia del decreto di trasferimento si determina una situazione di contrasto con la norma dettata dall'art. 587 c.p.c., e sorge un onere di opposizione".
L'esito cui conduce tale principio è che prima della pronuncia del decreto di trasferimento il debitore possa disinteressarsi del fatto che il Giudice dell'esecuzione abbia prorogato il termine di versamento del saldo del prezzo; e che solo se e quando sarà adottato il decreto di trasferimento, potrà proporre opposizione avverso quest'ultimo.
2.7.3. Rilevato come quella che precede sia la mera affermazione d'un principio, ma non la spiegazione di esso, in ogni caso quel principio non può essere condiviso, per sei ragioni.
La prima ragione è che se una delle parti di un qualsiasi processo viola un termine perentorio assegnatogli dalla legge o dal giudice, appare arduo sostenere che in tal caso "il procedimento non rivela per sè alcuna situazione di contrasto con le norme che lo regolano". Il contrasto invece esiste, e consiste proprio nella violazione del termine perentorio.
La seconda ragione è che la proroga del termine per il versamento del saldo del prezzo è un atto presupposto del decreto di trasferimento, al quale è legato da un nesso di implicazione unilaterale. La legittimità del provvedimento di proroga infatti rende valido il successivo decreto di trasferimento, mentre l'illegittimità del primo renderebbe invalido il secondo.
La terza ragione è che la tesi affermata da Cass. 7446/07 non è coerente col principio costituzionale di ragionevole durata del processo. Essa, infatti, consente la prosecuzione della procedura esecutiva nonostante, a causa della nullità presupposta non tempestivamente fatta valere, essa sia destinata ad un nulla di fatto.
La quarta ragione è che il principio affermato da Cass. 7446/07 non appare coerente col principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui l'opposizione agli atti esecutivi avverso l'atto conseguente è consentita solo se l'opponente dimostri di avere incolpevolmente ignorato l'atto presupposto. A tal riguardo basterà ricordare, ad esempio ed ex multis, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13043 del 24/05/2018, Rv. 648881 - 01, la quale ha ritenuto inammissibile l'opposizione agli atti avverso il decreto di condanna ex art. 587 c.p.c., comma 2, se non si è impugnato l'atto presupposto, cioè il provvedimento di decadenza dall'aggiudicazione, salvo che la parte non dimostri l'incolpevole ignoranza; oppure Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18723 del 27/07/2017, Rv. 645159 - 01, la quale ha ritenuto inammissibile l'opposizione agli atti avverso il decreto di trasferimento, se non si è impugnato l'atto presupposto che si assume viziato, cioè l'ordinanza che dispone la vendita.
La quinta ragione è che la tesi affermata da Cass. 7446/07, cit., parrebbe fondarsi sulla risalente concezione secondo cui, essendo il decreto di trasferimento l'atto concretamente traslativo della proprietà, prima dell'adozione di tale atto alcun pregiudizio potrebbe il debitore risentire.
Ma a parte il rilievo che la proroga del termine per il saldo del prezzo potrebbe nuocere non solo al debitore, ma anche ai creditori, quella tesi prova troppo: ed infatti, a svilupparla sino alle estreme conseguenze, dovrebbe pervenirsi al paradossale esito che nessun vizio procedurale interno alla "fase" della vendita potrebbe mai farsi valere autonomamente, perchè qualsiasi nullità non sarebbe mai immediatamente lesiva di alcun diritto, finchè non fosse adottato il decreto di trasferimento, che di tutti i vizi precedenti costituirebbe il precipitato. E questa evidente reductio ad absurdum basta a svelare, da sola, la fallacia della premessa.
La sesta ragione è che se il Giudice dell'esecuzione accordi una proroga illegittima (od una illegittima rimessione in termini) all'aggiudicatario per il pagamento del saldo prezzo, questo atto potrebbe essere immediatamente lesivo sia dell'interesse del debitore, sia dell'interesse degli altri creditori, che vedrebbero prolungare i tempi del processo, e sarebbero costretti ad attendere l'adozione del decreto di trasferimento, per far valere solo contro questo le proprie doglianze. Ma ovviamente non è concepibile che un atto immediatamente lesivo degli interessi delle parti non possa essere immediatamente impugnato, chè altrimenti ne resterebbe vulnerato il diritto di difesa ed il principio di parità delle parti.
Nè a tal fine gioverebbe il rimedio prefigurato da Cass. 7446/07, e cioè "la facoltà di presentare istanza al giudice dell'esecuzione, per sollecitarlo ad adottare il provvedimento previsto dall'art. 587 c.p.c.".
Tale soluzione, infatti, non solo non garantirebbe alla parte alcuna certezza che la propria doglianza sia esaminata (il Giudice dell'esecuzione potrebbe limitarsi semplicemente a rigettare l'istanza per imperscrutabili "esigenze di ruolo"), ma nemmeno le consentirebbe alcun rimedio nell'ipotesi in cui il Giudice dell'esecuzione, errando, non ravvisasse alcuna illegittimità nel provvedimento di proroga del termine per il versamento del saldo.
2.8. Stabilito dunque che l'opposizione agli atti esecutivi, nel caso di specie, andava proposta al più tardi avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca dell'ordinanza di proroga del termine perentorio per il versamento del saldo del prezzo, è evidente che l'opposizione proposta avverso il decreto di trasferimento è tardiva, perchè tesa a far valere un vizio riflesso, senza che sia stato previamente impugnato l'atto presupposto.
Tale tardività, non essendo coperta da giudicato, può e deve essere delibata in questa sede di legittimità, ancorchè non dedotta come motivo di ricorso, trattandosi di eccezione relativa ad un termine di decadenza processuale la cui inosservanza è rilevabile d'ufficio e che comporta la cassazione senza rinvio della sentenza ex art. 382 c.p.c., comma 3, in quanto l'azione non poteva proporsi (come ritenuto già da Sez. 3, Sentenza n. 16780 del 13/08/2015, Rv. 636435 - 01; nello stesso senso, Sez. 1, Sentenza n. 9797 del 14/09/1999, Rv. 530053 01; Sez. 3, Sentenza n. 10028 del 09/10/1998, Rv. 519577 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 669 del 23/01/1998, Rv. 511900 - 01).
3. Correzione della motivazione.
3.1. Sebbene il ricorso sia inammissibile, la motivazione della sentenza impugnata va tuttavia corretta, nell'interesse della legge, nella parte in cui afferma che in base all'art. 153 c.p.c., comma 2, (nel testo modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 18) "tutti i termini perentori possono essere dal giudice prorogati".
Questa affermazione infatti è erronea in punto di diritto.
L'istituto della rimessione in termini non ha nulla a che vedere infatti con la proroga dei termini, ed anzi ha per presupposto l'impossibilità giuridica di quella.
La proroga, infatti, è prevista dalla legge solo per i termini ordinatori; solo prima della scadenza, e solo per "motivi particolarmente gravi". Con essa, il Giudice accorda alla parte interessata un differimento della scadenza del termine per il compimento dell'atto processuale.
La rimessione in termini è istituto ben diverso: essa ha per presupposto la "decadenza incolpevole" da un adempimento processuale, e non differisce il termine già fissato, ma rimette la parte interessata nella medesima posizione in cui si sarebbe trovata, se il primo termine inutilmente scaduto non fosse mai stato fissato. La proroga, dunque, evita una decadenza, mentre la rimessione in termini sana ex tunc una decadenza già verificatasi.
Non è, dunque, corretta l'affermazione del giudice di merito, secondo cui "tutti i termini perentori sono prorogabili" ai sensi del novellato art. 153 c.p.c., comma 2.
Al contrario, deve qui ribadirsi che nessun termine perentorio è mai prorogabile; ed unico rimedio concesso alla parte che ne sia incolpevolmente decaduta è l'istituto della rimessione in termini.
Ed il principio affermato da Cass. 11171/15, di improrogabilità salva appunto la sola rimessione in termini - del termine di versamento del saldo prezzo, a presidio della regolarità della gara e dell'affidamento sulla stessa, va confermato anche nel regime seguito alle novelle dal 2006 ad oggi.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate interamente tra tutte le parti, in considerazione del fatto che con la presente decisione è stato abbandonato un precedente e dissonante orientamento, sulla base del quale la parte ricorrente aveva basato parte della propria impugnazione.
4.2. L'esito della lite, che vede comunque la soccombenza sostanziale della parte ricorrente, costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.
la Corte di cassazione:
-) cassa senza rinvio la sentenza impugnata;
(-) compensa integralmente tra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dalD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 1 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019.


© Riproduzione Riservata