Il rifiuto dell'emotrasfusione non giustifica una diminuzione dell'entità del danno
Pubblicato il 04/02/20 08:56 [Doc.7160]
di Redazione IL CASO.it
Così come nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario senza consenso, allo stesso modo è irrilevante il rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad intervento chirurgico al fine di diminuire l'entità del danno, atteso che non può essere configurato alcun obbligo a suo carico di sottoporsi all'intervento stesso, non essendo quel rifiuto inquadrabile nell'ipotesi di concorso colposo del creditore, previsto dall'art. 1227 cod. civ., intendendosi comprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza di cui al secondo comma dell'art. 1227 cod. civ. soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali, o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici.
Il rifiuto dell'emotrasfusione ha acquistato una tale rilevanza anche nella coscienza sociale da non ammettere limitazioni di sorta al suo esercizio e intervenire sul contenimento delle conseguenze risarcitorie a carico dell'offensore significherebbe indirettamente intervenire sulla intensità e sulla qualità del suo riconoscimento.
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Cassazione civile, sez. lavoro, 8 gennaio 2020, n. 155. Pres. Tria, Rel. De Marinis.
Rilevato
1 che, con sentenza del 12 giugno 2014, la Corte d'Appello di Firenze confermava la decisione resa dal Tribunale di Firenze e accoglieva la domanda proposta da B.F. nei confronti dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria (*), avente ad oggetto la condanna dell'Azienda al pagamento delle somme indebitamente trattenute a titolo di IRAP sui compensi spettanti alla Dott.ssa B. per l'attività professionale svolta "intra moenia" nel periodo 2005/2011;
2 che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto il carattere indebito della trattenuta difettando di chiarezza la pattuizione tra privati intesa a spostare il carico dell'imposta su persona diversa da quella legalmente obbligata, e valendo dunque la procedura per la quale la tariffa avrebbe dovuto contemplare separatamente il compenso per il medico quantificato in modo trasparente, fermo restando il distinto dovere dell'Azienda di riscuotere l'imposta dal fruitore delle cure sanitarie "intra moenia";
3 che per la cassazione di tale decisione ricorre l'Azienda Ospedaliero-Universitaria (*), affidando l'impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Dott.ssa B.;
4 che entrambe le parti hanno poi depositato memoria.
Considerato
5 che, con il primo motivo, l'Azienda Ospedaliero-Universitaria (*) ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.p.c. e segg., imputa alla Corte territoriale lo scostamento dai criteri di interpretazione dei contratti laddove ha ritenuto non ricorrere nella specie una valida e chiara pattuizione opponibile alla Dott.ssa B. che consentisse la "trattenuta", avendo l'Azienda preteso che la percentuale dell'IRAP dovesse ritenersi compresa nell'onorario del medico, senza che risultasse in realtà una netta e preventiva distinzione delle singole voci, mai portata a conoscenza del medico;
6 che nel secondo motivo il medesimo vizio è prospettato con riguardo alla rilevata violazione della procedura di cui agli artt. 54 e 57 del CCNL per la dirigenza medica per cui l'IRAP avrebbe dovuto formare oggetto di una specifica e distinta valutazione ai fini della "formazione della tariffa" nelle sedi collettive;
7 che con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., la ricorrente Azienda Ospedaliero Universitaria (*), imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole sull'onere della prova rilevando come la Corte medesima si sia pronunziata in difetto di elementi idonei ad attestare, in contrasto con quanto dedotto ed offerto di provare dalla stessa ricorrente, che la quota dovuta a titolo di IRAP fosse stata decurtata dal proprio compenso professionale;
8 che con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ed, altresì, al carattere "perplesso e obiettivamente incomprensibile" della motivazione, la ricorrente Azienda Ospedaliero Universitaria (*), lamenta a carico della Corte territoriale l'erroneità del convincimento da questa espresso circa l'avvenuta detrazione dell'importo dell'IRAP direttamente dal compenso spettante alla Dott.ssa B., derivante dall'omessa considerazione della pattuizione intervenuta con il capo dell'equipe medica di cui la Dott.ssa B. era parte quale medico anestesista per cui i compensi erano percepiti al lordo dell'IRAP;
9 che tutti i suesposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi del tutto infondati;
10 a tale soluzione induce l'orientamento accolto da questa Corte con la sentenza dell'11.1.2016, n. 199, in base al quale l'onere dell'IRAP è a carico esclusivo dell'Azienda che può solo trasferire sui pazienti il relativo onere previo adeguamento delle tariffe, essendo per converso escluso che la disciplina del contratto aziendale possa configurare oneri a carico dei medici in tema di adeguamento delle tariffe con aumento del valore corrispondente all'aliquota IRAP dovuta dall'Azienda;
11 che, pertanto, il ricorso va rigettato;
12 che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale, il 30 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020.
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