E’ vero che non può essere venduto all’asta l’intero immobile in comunione se debitore è solo uno dei coniugi?
Pubblicato il 13/06/14 00:00 [Doc.83]
di Redazione IL CASO.it


Brevi schede informative sulle vendite giudiziarie

E’ vero che non può essere venduto all’asta l’intero immobile in comunione se debitore è solo uno dei coniugi?

Molti sono convinti che un immobile in comunione tra marito e moglie non possa essere venduto per intero quando sia stato assoggettato ad esecuzione solo uno dei due coniugi, titolare della quota indivisa di un mezzo del bene.

Questa convinzione è errata. La giurisprudenza, con varie decisioni, ha affermato che, per i debiti di uno dei coniugi che sia intestatario della metà indivisa dell’immobile in comunione, può essere messo in vendita l’intero bene che appartiene alla comunione legale.

E’ opportuno chiarire questa particolarità perché, purtroppo, è molto diffusa l’opinione contraria.

Accade spesso che i debitori si illudano di poter proteggere il proprio bene immobile dalle conseguenze causate dall’indebitamento per il fatto che il bene è in comproprietà con il coniuge non indebitato, per cui lo ritengono inattaccabile.

Al contrario, il professionista che provvede alla vendita, se autorizzati dal Giudice, possono - anzi, secondo alcune prassi, addirittura devono - mettere all’asta l’intero bene e non solo la quota di uno dei due coniugi. Ciò comporta che chi è interessato all’acquisto dell’immobile potrà tranquillamente partecipare alla gara con la consapevolezza che, una volta aggiudicatosi il bene, conseguirà la proprietà dell’intero e non di una quota soltanto. Infatti, la giurisprudenza ha precisato che la comunione legale tra coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione cosiddetta “senza quote”, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto la comunione stessa, ed alla quale non è ammissibile la partecipazione di estranei.

Se si adottasse un criterio diverso, e si ammettesse un’espropriazione per la sola quota della metà (del coniuge debitore), si arriverebbe a consentire ad un estraneo alla famiglia di entrare a far parte della una comunione “familiare”, quella comunemente nota come comunione legale, il che contrasta ed è inconciliabile con i principi che stanno alla base dell’istituto giuridico di cui parliamo.

E allora vi chiederete: “Che fine fa la quota del coniuge non obbligato, non indebitato?” Ebbene, dopo che la vendita si sarà perfezionata, e la procedura esecutiva avrà incassato il ricavato, al coniuge non indebitato verrà corrisposta la metà del ricavato stesso.

In altri termini, il creditore particolare di uno dei coniugi può aggredire i beni della comunione per l’intero, ma potrà logicamente soddisfarsi solo sulla metà del ricavato dalla loro liquidazione.

L’art. 189 del Codice Civile, infatti, stabilisce che la soddisfazione dei creditori del singolo coniuge sui beni della comunione può avvenire solo “fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”, il che significa che a tali creditori potrà essere assegnata solo la metà del ricavato, mentre la restante metà andrà versata al coniuge non debitore.

La comunione legale, pertanto, non si scioglie per effetto dell’espropriazione forzata, ma semplicemente si restringe, con restituzione alla comunione dell’altra metà.

Nulla vieta, poi, che il coniuge non esecutato possa partecipare all’asta e comprare il bene – per l’intero e non per la metà - di cui è comproprietario.

Concludendo su questo particolare tipo di vendita giudiziaria, dovremo tener conto, che l’esistenza di una comunione legale tra coniugi non offre alcuno schermo protettivo da opporre alle legittime ragioni dei creditori dell’esecutato e che, quindi, l’immobile - di solito l’abitazione familiare del debitore - che appartiene ai coniugi per la quota indivisa di un mezzo ciascuno può essere ed anzi viene, di regola, messo all’asta nella sua interezza. (riproduzione riservata)


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