Azione di responsabilità promossa nei confronti di un collega: il curatore non è tenuto all'osservanza dei canoni deontologici.
Pubblicato il 12/12/20 20:11 [Doc.8443]
di Redazione IL CASO.it


TRIBUNALE DI VICENZA; sentenza 12.3.2020; Presidente CAPARELLI - Estensore GENOVESE.

Allorché un professionista assuma la funzione di curatore fallimentare, il carattere pubblicistico dell'incarico fa venir meno il rapporto orizzontale che sussiste fra i colleghi (e che ispira i dettami contenuti nel codice deontologico) e determina il passaggio ad una relazione di tipo verticale, in cui gli interessi pubblicistici affidati al curatore assumono preminenza rispetto ad ogni altro interesse.

Ne deriva che il curatore non è tenuto all'osservanza dei canoni deontologici che gli potrebbero imporre una deviazione dai doveri inerenti il pubblico ufficio, come il trattare un collega, nell'esercizio dell'azione di responsabilità, con un particolare favore e comunque diversamente dagli altri convenuti.

Va escluso pertanto che, a fronte di una richiesta risarcitoria milionaria scaturente da fatti che avrebbero potuto configurare ipotesi di reato, possa configurarsi un obbligo di "assistenza reciproca", secondo il tenore letterale del primo comma dell'art. 15 del codice deontologico.

Deve, inoltre, escludersi che il curatore debba valutare in modo differenziato le condotte degli amministratori della società fallita, a seconda che essi rivestano o meno la qualifica di dottori commercialisti, perciò egli, investito di un dovere di diligenza ed obiettività nell'interesse pubblico, non può operare secondo canoni differenti a seconda dei soggetti coinvolti, a tutela di quello stesso interesse pubblico affidato alle sue cure.


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