Diffamazione in presenza di minori in tenera età
Pubblicato il 17/03/21 00:00 [Doc.8750]
di Redazione IL CASO.it
In tema di risarcimento danni da diffamazione, il requisito della comunicazione con più persone può essere ravvisato nel caso in cui le frasi offensive siano pronunciate alla presenza di un adulto e di minori in tenera età qualora questi ultimi, pur non essendo in grado di cogliere lo specifico significato delle parole usate, ne possano cogliere la generica portata lesiva, tanto da rimanerne turbati o divenire a loro volta potenziali strumenti di propagazione dei contenuti diffamatori.
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Cassazione civile sez. III - 15/02/2021, n. 3785. Pres. TRAVAGLINO, Rel. FIECCONI.
Fatto
1. Con ricorso notificato il 31/10/2017, A.B. chiede la revocazione della sentenza n. 8320/2017 della Terza Sezione Civile di questa Corte, con la quale è stato rigettato il ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte d'Appello di L'Aquila n. 839/2013. S.I., intimata, non ha svolto difese in questa sede. Il P.Z. ha concluso come in atti.
2. Per quanto qui interessa, la Corte d'Appello - seppure con diversa motivazione ha confermato la pronuncia del giudice di prime cure e ha rigettato la domanda della sig.ra A.B. di risarcimento dei danni conseguenti alle offese ricevute dalla sig.ra S.I.. In primo grado, difatti, la sig.ra Z. aveva dedotto di essere stata posta a conoscenza da C.D. (figlio dell'attrice e marito separato della convenuta) che la sig.ra S.I., nel corso di una lite in casa, in presenza dei figli minori, l'avrebbe diffamata. Il Tribunale di Pescara aveva rigettato la domanda attorea ritenendo non integrati gli elementi costitutivi del reato di diffamazione; diversamente opinando, la Corte d'Appello aveva rigettato la domanda osservando che, per quanto la condotta posta in essere integrasse la fattispecie delittuosa di diffamazione, non vi era alcuna valida argomentazione in ordine al pregiudizio subito.
3. Avverso la sentenza la sig.ra Z. interponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, mentre la sig.ra S. resisteva con controricorso e ricorso incidentale condizionato a sua volta deducendo tre motivi. Questa Corte riteneva i motivi di ricorso infondati e quindi rigettava il ricorso principale con assorbimento dell'incidentale. In particolare, con riguardo al primo motivo del ricorso principale - dedotto sub specie art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 - la ricorrente deduceva che, sebbene avesse affermato la sussistenza del fatto illecito, la Corte d'Appello aveva confermato in toto la sentenza di primo grado, mentre avrebbe dovuto riformarla, con le relative conseguenze anche in ordine alle spese. La Suprema Corte osservava l'infondatezza del motivo, essendo lo stesso il decisum rigetto della domanda risarcitoria - e, dunque, legittima la conferma della sentenza del Tribunale, quandanche con diversa motivazione. In più, in ordine alle spese, rilevava che la valutazione dell'opportunità di compensazione delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, mentre in sede di legittimità è possibile sindacare solo la violazione del divieto di porre le spese totalmente a carico della parte vittoriosa ex art. 91 c.p.c..
4. Con il secondo motivo la ricorrente censurava - sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 - la sentenza per avere ritenuto non dedotta l'esistenza e la consistenza del pregiudizio subito, quandanche - ad avviso della ricorrente - ogni qual volta venga accertata la rilevanza penale dell'illecito diffamatorio il danno sarebbe in re ipsa e, comunque, risarcibile anche in mancanza di un fatto di reato, derivando da una grave lesione di diritti costituzionalmente garantiti. Anche il presente motivo veniva ritenuto infondato da questa Corte sul rilievo che il danno - anche quando determinato da lesione di diritti inviolabili - non è in re ipsa ma deve essere allegato e provato e che, comunque, dalla trascrizione dell'atto di appello inserita nel ricorso non risultava che l'appellante avesse argomentato in concreto circa le specifiche ripercussioni subite.
5. Con l'ultimo motivo, la ricorrente censurava la sentenza - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - per non essersi pronunciata in ordine alle istanze istruttorie ritualmente formulate in primo grado e reiterate in appello, con le quali l'attrice intendeva provare proprio la sussistenza e l'entità del danno. Anche l'ultimo motivo veniva rigettato da questa Corte, in quanto - sul punto - l'appello svolto dalla sig.ra Z. non rispettava il principio di specificità dei motivi, poichè dalla trascrizione dell'atto di appello contenuta nel ricorso, risultava che l'appellante avesse solo genericamente riproposto i mezzi di prova dedotti in primo grado, senza indicare ove fossero stati in precedenza dedotti e di quali mezzi di prova si trattasse, vieppiù che non emergeva se tali istanze fossero state reiterate anche in sede di precisazione delle conclusioni ovvero rinunciate.
6. Con ricorso incidentale condizionato la controricorrente deduceva il vizio di omessa motivazione circa la dedotta inammissibilità dell'appello per carenza di interesse ex art. 360 c.p.c., in quanto la Corte aquilana avrebbe omesso di esaminare la eccepita mancata impugnazione del capo della sentenza di primo grado che evidenziava la mancanza di nesso causale tra l'ipotizzata diffamazione e la lesione dell'onore della ricorrente; con il secondo motivo deduceva la omessa decisione circa la decisiva questione della infondatezza della domanda per carenza del nesso causale in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte d'appello non avrebbe analizzato, ritenendolo assorbito, l'aspetto del nesso causale che sarebbe stato interrotto per effetto della condotta del figlio della sig.ra Z., il quale avrebbe dato vita ad una azione idonea a produrre da sola la lesione all'onore eventualmente patita dalla madre; con il terzo motivo, la ricorrente incidentale lamenta l'omesso esame della decisiva questione, oggetto di contrasto tra le parti, della sussistenza dell'elemento della presenza di più persone atta alla qualificazione del reato di diffamazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte avrebbe ritenuto che le figlie fossero presenti alla lite e in grado di apprezzare il disvalore delle parole pronunciate, immotivatamente e in via del tutto assiomatica.
7. In conclusione, la Corte rigettava il ricorso per cassazione, ritenendo assorbito il ricorso incidentale condizionato. La domanda di revocazione proposta in questa sede è affidata ad un unico articolato motivo. Il P.Z. ha concluso come in atti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, testualmente, "1) Quanto al motivo n. 1 (riferendosi al primo motivo del ricorso per cassazione sopra citato), deciso come sopra, è evidente l'omessa pronuncia in quanto, una volta ritenuta la sussistenza del fatto illecito, non poteva ritenersi corretta, e confermare integralmente la sentenza che viceversa lo escludeva a monte" (p. 12 del ricorso per revocazione). Il motivo è inammissibile. Invero, l'errore che può dare luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 4, consiste - per giurisprudenza di legittimità costante - in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice ad affermare l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, la cui sussistenza (o insussistenza) risulti invece in modo incontestabile dagli atti; di conseguenza, l'errore revocatorio percettivo postula l'esistenza di un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti rispettivamente l'una dalla sentenza impugnata, l'altra dagli atti processuali su un fatto che non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (Cfr., Cass., Sez. 1 -, Sentenza n. 26301 del 18/10/2018; Sez. 5 -, Sentenza n. 442 dell'11/1/2018; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 16003 del 21/7/2011; Sez. L, Sentenza n. 9396 del 21/4/2006). Detto errore, invero, non emerge dalla lettura del motivo. In esso neppure si fa menzione del decisum, limitandosi a prospettare, nei fatti, l'erronea valutazione giuridica operata dalla Corte d'Appello nel rigettare la pretesa sotto il profilo della mancata prova del danno, e non dell'integrazione del fatto di reato (escluso dal giudice di prime cure), in parziale correzione della sentenza di primo grado. La conferma della sentenza di rigetto del giudice di primo grado, difatti, si pone quale conseguenza di un diverso iter argomentativo che ha condotto, tuttavia, al medesimo risultato.
2. Per altra via, con il secondo motivo si denuncia che la Suprema Corte, per errore di percezione nell'esame degli atti del procedimento sia di cassazione che del merito, abbia erroneamente affermato che nell'atto di appello sia stata omessa l'indicazione delle conseguenze pregiudizievoli subite dalla ricorrente. L'errore nel controllo degli atti processuali, ad avviso della ricorrente, sarebbe evidente, in quanto nel ricorso per cassazione sarebbe stato riportato l'atto di appello da cui emergerebbe che la ricorrente ha argomentato proprio in ordine alle ripercussioni lesive subite (indicando a tal fine le pagine 17 e 28 capo e) del ricorso ex art. 360 c.p.c.).
2.1. Il motivo è fondato. Alle pagine del ricorso per cassazione indicate dalla ricorrente l'appellante ha insistito per l'ammissione della prova testimoniale richiesta nella citazione, nelle memorie ex art. 183 c.p.c. e nell'atto di appello del primo grado, tra cui la circostanza "e) vero che A.B. dopo aver saputo le frasi pronunciate da S.I. di cui alle precedenti circostanze, parla sempre dell'accaduto e piange spesso". La ricorrente, sul punto, aveva denunciato, con il secondo motivo, anche che le argomentazioni sul danno in concreto subito erano state svolte. Nella specie, la Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto che "Nè dalla trascrizione dell'atto di appello inserita nel ricorso, risulta che la ricorrente avesse argomentato in concreto in ordine alle specifiche ripercussioni che si sarebbero prodotte nella sua sfera personale e familiare e nel contesto sociale" (v. p. 8 della sentenza oggetto di revocazione). Tuttavia, nel far ciò ha ingiustificatamente omesso di considerare la effettiva rilevanza delle istanze istruttorie ai fini della prova in concreto del danno subito, una volta respinta la principale deduzione di parte attrice secondo cui il danno sia da ritenere in re ipsa, omettendo di valutare le prove addotte.
3. Infine, con il terzo motivo si deduce che la S.C. sarebbe incorsa in errore nel controllo degli atti del procedimento di merito, nonchè nell'esame degli atti dello stesso procedimento per cassazione, per aver ritenuto che nell'atto di appello i mezzi di prova dedotti in primo grado sarebbero stati solo genericamente riproposti, senza migliore indicazione di quali mezzi di prova si trattasse e di dove fossero stati dedotti. Di contro, la ricorrente rileva di aver riportato - a pagina 17 del ricorso per cassazione - l'atto di appello ove specificamente riproponeva i mezzi di prova dedotti in prime cure nell'atto di citazione e in sede di precisazione delle conclusioni.
3.1. Il motivo è fondato. Nella sentenza qui impugnata, la S.C. ha ritenuto infondato il terzo motivo perchè "Nella specie, come risulta dalla trascrizione dell'atto di appello, la ricorrente ha riproposto solo genericamente i mezzi di prova dedotti in primo grado, senza indicare di quali mezzi di prova si trattasse e dove fossero stati dedotti. Nè risulta se tale istanza sia stata poi reiterata in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero sia stata rinunciata" (p. 9 rigo 22-25, p. 10 rigo 1-3 della sentenza impugnata). Tanto basta per ritenere sussistente l'errore revocatorio, poichè gli atti del procedimento di merito cui la ricorrente fa riferimento, contrariamente a quanto riferito nella sentenza qui in esame, sono stai trasfusi nel ricorso per cassazione e, pertanto, costituiscono "atti interni" al giudizio di legittimità. Difatti, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte "L'errore di fatto che può legittimare la domanda di revocazione della sentenza di cassazione deve riguardare gli atti "interni" al giudizio di legittimità (ossia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con la propria indagine di fatto all'interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione, restando escluso, per converso, che possano essere comunque considerati "atti interni" al giudizio gli atti del fascicolo di merito, ed in specie del giudizio di appello, che non debbano essere esaminati direttamente dalla Corte di Cassazione (in quanto non investiti direttamente dalla denuncia di un "error in procedendo") e che, peraltro, neppure siano richiamati nel ricorso e nel controricorso (nè risultino dalla lettura della sentenza)" (Cass., Sez. L, sentenza n. 8907 del 14/4/2010; in senso conforme, Sez. 1 -, ordinanza n. 26643 del 22/10/2018; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 4456 del 5/3/2015; Sez. L., Sentenza n. 3820 del 18/2/2014; Sez. 3, Sentenza n. 17745 del 3/9/2005).
3.2. Nel caso specifico, dunque, essendosi le istanze istruttorie trasfuse nel ricorso per cassazione, la Corte avrebbe dovuto esaminarle ai fini della valutazione della fondatezza o meno della omissione processuale denunciata.
4. In conclusione, il ricorso è fondato quanto ai motivi secondo e terzo e pertanto, in via rescindente, va annullata la decisione assunta dalla Corte di legittimità.
5. Passando all'esame nel merito del ricorso per cassazione, oggetto del giudizio rescissorio, si osserva che, conseguentemente a quanto sopra osservato, il ricorso per cassazione va accolto quanto ai motivi due e tre, dovendo la Corte d'appello pronunciarsi sulle istanze di prova per testi allegate e non ammesse nel primo grado di giudizio, ai fini della prova della del danno non patrimoniale conseguente alla diffamazione.
6. Quanto al ricorso incidentale condizionato se ne deve rilevare la sostanziale infondatezza sotto i diversi profili denunciati.
6.1. La controricorrente, nel ricorso per cassazione ha dedotto il vizio di omessa motivazione circa la dedotta inammissibilità dell'appello per carenza di interesse ex art. 360 c.p.c. c.p.c., n. 5, in quanto la Corte aquilana avrebbe omesso di esaminare la eccepita mancata impugnazione del capo della sentenza di primo grado che evidenziava la mancanza di nesso causale tra l'ipotizzata diffamazione e la lesione dell'onore della ricorrente. Il motivo è infondato, in quanto esso non si allinea alla motivazione assunta dalla Corte di appello che, nel riformare la sentenza di primo grado che ha ritenuto non idonea la condotta assunta a integrare il reato di diffamazione, oggetto di specifico motivo di impugnazione, ha ritenuto, invece, che le frasi pronunciate per oltraggiare il marito con il quale era in corso la separazione non sia sufficiente a elidere il contenuto diffamatorio e che la condotta posta in essere dalla convenuta integri certamente la condotta della diffamazione, sussistendone tutti i presupposti oggettivi (quanto a valenza diffamatoria delle frasi che potevano essere anche apprezzate dai bambini piccoli presenti alla lite) sia soggettivi (dolo generico).
6.2. Allo stesso modo, con il secondo motivo la ricorrente in via incidentale ha dedotto la omessa decisione circa la decisiva questione della infondatezza della domanda per carenza del nesso causale in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte d'appello non avrebbe analizzato, ritenendolo assorbito, l'aspetto del nesso causale che sarebbe stato interrotto per effetto della condotta del figlio della sig.ra Z., il quale avrebbe dato vita ad una azione idonea a produrre da sola la lesione all'onore eventualmente patita dalla madre. Anche tale motivo è infondato, in quanto non si allinea alla decisione di secondo grado qui in esame, e comunque si pone come una quaestio iuris su un aspetto che è stato specificamente oggetto di analisi e ritenuto non rilevante ai fini della integrazione del fatto di reato in osservazione. Quello che la Corte di merito ha tenuto in conto, ai fini della integrazione del reato di diffamazione, è la pronuncia di frasi offensive in presenza di più persone, e pertanto la registrazione intervenuta è in grado, semmai, di amplificarne gli effetti già verificatisi, ma non certamente di elidere il nesso causale tra condotta illecita ed evento lesivo.
6.3. Con il terzo motivo, la ricorrente incidentale lamenta l'omesso esame della decisiva questione, oggetto di discussione tra le parti, della sussistenza dell'elemento della presenza di più persone atta alla qualificazione del reato di diffamazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte avrebbe ritenuto che le figlie fossero presenti alla lite e in grado di apprezzare il disvalore delle parole pronunciate, immotivatamente e in via del tutto assiomatica. Il motivo è inammissibile in quanto tende a colpire una valutazione di merito sulla presenza di più persone, nella abitazione privata, in grado di percepire il carattere offensivo delle frasi pronunciate, e di riverberarne gli effetti oltre la sfera domestica in cui esse sono state pronunciate, circostanza sulla quale la Corte si è pronunciata, ritenendo le frasi di indubbia valenza diffamatoria e apprezzabili anche dai bambini, seppur molto piccoli, sicuramente presenti alla lite.
6.4. Del resto, l'avere definito la suocera e nonna dei propri figli una "puttana" che "ha fatto figli a destra e a manca" ha una indubbia valenza diffamatoria, e non solo oltraggiosa nei confronti del marito, anche in un ambito ristretto, quale quello familiare. In tema di diffamazione, difatti, sussiste il requisito della comunicazione con più persone anche quando le frasi offensive sono pronunciate alla presenza di un adulto e di minori in tenera età qualora questi, pur non essendo in grado di cogliere lo specifico significato delle parole usate, ne possono cogliere la generica portata lesiva, tanto da rimanerne turbati o divenire a loro volta potenziali strumenti di propagazione dei contenuti diffamatori (cfr. Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 16108 del 23/02/2017, ove è stata valutata una fattispecie in cui i minori avevano due e quattro anni; Cass. Pen. Sez. 6, Sentenza n. 30318 del 09/06/2016 Ud. (dep. 15/07/2016) Rv. 267701 - 01; Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 36602 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248432 - 01).
7. Conclusivamente, la Corte in accoglimento dei motivi secondo e terzo, ritenuto inammissibile il primo, accoglie il ricorso per revocazione e revoca la sentenza impugnata; per l'effetto, accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso per cassazione; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa e rinvia alla Corte d'Appello di L'Aquila, anche per le spese.
P.Q.Z.
La Corte accoglie il ricorso quanto al secondo e terzo motivo; ritenuto inammissibile il primo; revoca la sentenza oggetto di revocazione; per l'effetto, in via rescissoria accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso per cassazione, ritenuto inammissibile il primo; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello de L'Aquila, anche per le spese.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente per impedimento del Consigliere estensore, ai sensi del D.P.C.Z. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. A, s.Z.i..
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 28 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2021.
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