Transazione fiscale: il diniego dell'Agenzia delle entrate si impugna avanti al giudice ordinario della procedura concorsuale
Pubblicato il 30/03/21 09:08 [Doc.8884]
di Redazione IL CASO.it


Negli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l.f. e nel concordato preventivo, la controversia che scaturisce dalla impugnazione della mancata adesione alla transazione fiscale da parte dell'Agenzia delle entrate è di competenza del giudice ordinario fallimentare.

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Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, 25 marzo 2021, n. 8504. Presidente Di Iasi. Relatore Manzon.
Fatto
In data 27 luglio 2018 la M. Editore srl ha presentato istanza R.D. n. 267 del 1942, ex artt. 182 bis e ter, (Legge Fallimentare, breviter LF) nell'ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, riguardando peraltro tale accordo l'intero "gruppo M." (oltre la ricorrente, M. Servizi srl, M. Pharma srl).
La proposta di trattamento dei crediti tributari de quibus (breviter, transazione fiscale, secondo una terminologia consolidata nella prassi e nella giurisprudenza) è stata rigettata, allo stesso modo che quelle riguardanti le altre società del gruppo; tali mancate adesioni sono state tutte, singolarmente, impugnate avanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, territorialmente competente, sostenendosi da parte delle società ricorrenti che, pacifica la natura oggettivamente - tributaria della controversia, l'atto impugnato doveva analogicamente ricondursi alla fattispecie normativa astratta di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. h), (sub specie: diniego di agevolazione ovvero rigetto di domanda di definizione agevolata di un rapporto tributario).
A fronte di tale iniziativa giudiziale, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, negando quella del giudice tributario speciale adito ed affermando quella dell'AG ordinaria, in particolare del tribunale fallimentare.
Resiste con controricorso la società contribuente, insistendo per la sussistenza della competenza giurisdizionale della CTP adita e chiedendo pertanto il rigetto del ricorso dell'agenzia fiscale.

Motivi
Nell'affrontare la questione di giurisdizione oggetto del giudizio, appare anzitutto necessario effettuare una sintetica illustrazione del quadro normativo direttamente ovvero indirettamente rilevante ai fini della decisione.
Va ricordato che la prima forma di "transazione fiscale" (come detto espressione comunemente in uso tra gli operatori e gli interpreti, che quindi risulta utile impiegare per identificare più sinteticamente l'oggetto del procedimento a quo) è stata introdotta nell'ordinamento con il D.L. n. 138 del 2002, art. 3, comma 3. Si trattava di una previsione normativa limitata, riferendosi la stessa solo ai tributi erariali iscritti a ruolo ed il cui modulo attuativo aveva quale presupposto sostanziale l'accertamento della sua convenienza rispetto alla riscossione coattiva. Tale accertamento era demandato al direttore dell'agenzia fiscale, previi pareri obbligatori di determinati organi consultivi.
Questa prima forma di transazione fiscale, più specificamente denominata in dottrina e nella prassi come "transazione sui ruoli", pur avendo una qualche non affatto irrilevante portata sistematica in relazione al principio, illo tempore quasi un "dogma", della indisponibilità del credito tributario, era comunque confinata nell'ambito dell'esecuzione esattoriale e quindi nell'ambito tributario, senza alcun riferimento diretto alle coeve esecuzioni concorsuali ordinarie.
È con il D.Lgs. n. 5 del 2006, contenente una riforma organica della L. Fall. del 1942, che il legislatore ha introdotto il vero e proprio istituto della transazione fiscale e lo ha collocato all'interno della disciplina delle procedure concorsuali.
In particolare la nuova disposizione legislativa di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 182-ter, rubricata appunto "transazione fiscale", con più radicale deroga al detto principio di indisponibilità dei crediti tributari, prevedeva, per la prima volta, la possibilità di un accordo tra Ente impositore e contribuente insolvente sul pagamento parziale non satisfattivo ovvero sul dilazionamento del pagamento dei debiti tributari di quest'ultimo, ancorché non ancora cristallizzati da iscrizioni a ruolo a titolo definitivo ed anzi nemmeno ancora iscritti a ruolo, pur con alcune, rilevanti, limitazioni (tributi costituenti "risorse proprie" della UE; IVA e ritenute fiscali) e condizioni inerenti la graduazione concorsuale.
In particolare, per quanto essenzialmente rileva nel presente procedimento, nella sostanza questo nuovo, ben più ampio, ma speciale modulo di attuazione consensuale (in senso lato) dei tributi anche per effetto di aggiustamenti normativi successivi e prima dell'ulteriore intervento normativo che ha portato all'assetto applicabile ratione temporis in questo giudizio- era caratterizzato soprattutto dalla sua facoltatività.
Con la L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81 (legge di bilancio 2017), novellandosi la L. Fall., art. 182-ter, l'istituto, non più denominato transazione fiscale, ma "trattamento dei crediti tributari e contributivi", è stato profondamente modificato.
Sempre tenendo conto delle specifiche finalità di questo giudizio, le caratteristiche essenziali sono così sintetizzabili:
-la proposta di accordo sui debiti tributari è obbligatoria, nel senso che non sono previste alternative con riguardo alle procedure concorsuali per le quali è consentita (nel caso che occupa, accordo di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex artt. 182 bis e ter, comma 5);
- è necessaria la relazione di un professionista indipendente, ma designato dal debitore, che deve attestare la sussistenza dei presupposti di legge per la transazione fiscale (con particolare riguardo alla sua "convenienza", essenzialmente intesa come miglior soddisfacimento delle pretese fiscali rispetto alle altre alternative);
- a differenza del "modello" precedente, il perfezionamento della transazione fiscale non realizza automaticamente il "consolidamento" (cristallizzazione) dei debiti tributari, ancorché tali debiti debbano essere "certificati", secondo la rispettiva competenza, dall'agente della riscossione (debiti iscritti a ruolo) e dall'agenzia fiscale (debiti non ancora iscritti a ruolo ovvero iscritti in ruoli non ancora trasmessi all'agente della riscossione);
- nell'ambito del concordato preventivo la posizione dell'Ente impositore non è più espressa con un "atto autonomo", di accoglimento ovvero rigetto della proposta, bensì con il voto dell'ufficio territoriale sulla proposta concordataria, ricomprendente quella di transazione fiscale, previo parere della direzione regionale dell'agenzia fiscale;
- nell'ambito delle trattative per un accordo di ristrutturazione dei debiti, diversamente, è prevista la formale adesione alla proposta transattiva del direttore dell'ufficio territoriale, sempre acquisito il parere della Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate (DRE).
Questa disciplina è quella senz'altro applicabile nel caso di specie, particolarmente nelle parti che riguardano la speciale procedura di cui alla L. Fall., art. 182-bis.
Per contro non può farsi applicazione del D.Lgs. n. 14 del 2019, Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (breviter, CCII) nè risulta applicabile la versione della l. Fall., artt. 180, 182 bis e ter, recentissimamente introdotta dal D.L. n. 125 del 2020, art. 3, comma 1 bis. Quest'ultimo novum legislativo ha anticipato, rispetto alla vacatio generale dell'1 settembre 2021, le previsioni di cui all'art. 48, comma 5, CCII (delle quali si dirà appena oltre).
La fonte normativa novellante non contiene disposizioni di diritto transitorio e quindi, trattandosi di norme processuali, deve senz'altro applicarsi il principio tempus regit actum. Ciò tuttavia non può valere che per i procedimenti iniziati dopo il 4 dicembre 2020 (entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 125 del 2020), mentre quello che ha generato il regolamento preventivo di giurisdizione in esame è iniziato ben prima; pertanto bisogna fare riferimento all'ulteriore principio generale della perpetuatio jurisdictionis di cui all'art. 5 c.p.c., appunto con specifico riguardo alla "legge vigente.. al momento della proposizione della domanda", non avendo rilievo "i successivi mutamenti della legge" stessa.
Tornando alle novità introdotte dal D.L. n. 14 del 2019, questa Corte ha già affermato che "Il C.c.i.i. è testo in generale non applicabile - per scelta del legislatore - alle procedure.. aperte anteriormente alla sua entrata in vigore (art. 390, comma 1, C.c.i.i.), e la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare potrebbe essere ammessa se (e solo se) si potesse configurare - nello specifico segmento - un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro" (Cass., Sez. U., n. 12476 del 24/06/2020).
Intendendosi senz'altro ribadire tale principio di diritto, anche per accedere alla tesi agenziale circa la possibilità di impiego ermeneutico della nuova normativa del CCII (quale come detto già anticipata), è dunque necessario stabilire in via di comparazione se vi è o meno "continuità" tra le disposizioni legislative direttamente applicabili e quelle che lo saranno ai giudizi instaurati successivamente al 4 dicembre 2020.
A tale quesito va data risposta positiva.
Anzitutto, con specifico riguardo al modulo consensuale/negoziale relativo agli accordi di ristrutturazione dei debiti, va rilevato che il D.Lgs. n. 14 del 2019, art. 63, ha un contenuto normativo - sostanzialmente - molto prossimo a quello del R.D. n. 267 del 1942, art. 182 ter, comma 5 (nella versione applicabile ratione temporis), presentando varianti di disciplina secondarie e che comunque non incidono sul profilo dell'istituto che qui interessa ossia sulla soluzione della questione di giurisdizione oggetto di questo giudizio.
Vi è poi da osservare che, come detto, inserita la transazione fiscale (in senso lato) all'interno della disciplina generale delle procedure concorsuali (in senso lato) con il D.Lgs. n. 5 del 2006, la novella della L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81, ha indubbiamente accentuato tale posizione sistematica con la previsione dell'obbligatorietà ("esclusivamente mediante la proposta..") del sub-procedimento di "trattamento dei crediti tributari" nell'ambito della "procedura madre" di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti.
A tale "esclusività" deve darsi un significato di prevalenza della ratio concorsuale su quella fiscale dell'istituto in esame, almeno nel senso funzionale ossia nel senso che questo "incidente tributario" è essenzialmente - finalizzato alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi di impresa, secondo le regole procedurali dettate per tali procedure concorsuali e di quelle più specifiche di cui alla L. Fall., art. 182 ter.
Essendo la configurazione dell'istituto transitata sostanzialmente immutata nelle disposizioni del CCII e nella novella anticipatrice del dicembre 2020, deve affermarsi che non si profila una "soluzione di continuità" tra la vecchia e la nuova disciplina, con la conseguenza, indicata nella citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, che la seconda può essere utilmente impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima, il che ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione in esame assume particolare rilevanza.
Infatti, appare evidente che nella disciplina normativa attualmente applicabile non vi sono previsioni dalle quali possa desumersi un' indicazione - univocamente interpretabile - relativa all'impugnabilità della mancata adesione alla proposta di transazione fiscale ed alla conseguente giurisdizione compulsabile.
Ferme le, differenziate, competenze decisionali che in linea generale spettano al tribunale fallimentare in ordine alla proposta concordataria ed a quella di ristrutturazione debitoria, dalle disposizioni dei primi due commi della L. Fall., art. 183 ter, se ne ritraggono altre, più specifiche, che tuttavia non appaiono, di per sé, dirimenti.
Le nuove versioni della L. Fall., art. 180, comma 4, u.p., art. 182 bis, comma 3, seconda parte, introdotta con il D.L. n. 125 del 2020, invece danno un'indicazione molto più precisa e pregnante, essendo peraltro la stessa una mera riproduzione della omologa previsione di cui all'art. 48, comma 5, CCII.
Secondo tali disposizioni legislative ed in particolare secondo l'ultima, che le unifica, "Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria.. quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali (previste rispettivamente per le due procedure concorsuali, ndr).. e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione.. è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria".
Orbene, questa scelta normativa indirizza in modo marcato la questione della mancata adesione alla proposta di transazione da parte dell'agenzia fiscale verso la competenza giurisdizionale di merito del tribunale fallimentare, collocando ancor più chiaramente l'istituto de quo all'interno delle procedure concorsuali ed alle loro, peculiari, finalità, piuttosto che nell'ambito delle procedure di attuazione dei tributi.
Insomma ed in sintesi, con la scelta in questione, il legislatore della riforma ha incastonato la transazione fiscale con maggior chiarezza nel campo del diritto fallimentare, ancorché ne siano evidenti i riflessi di diritto tributario.
Pertanto, su di un piano di continuità, la nuova disciplina in parte qua risulta essere utile per interpretare la normativa applicabile ratione temporis nel presente giudizio e specificamente per dirimere la questione di giurisdizione che ne è oggetto.
A partire dalla unificante ratio legis, come detto, sancita dal comune tratto della obbligatorietà della proposta transattiva nelle procedure concorsuali in oggetto, che va individuata non nell'interesse fiscale che è la "causa prima" dell'obbligazione tributaria, del quale si controverte nelle liti tributarie "comuni", bensì nell'interesse concorsuale che è invece la "ragione fondativa" delle procedure concordatarie ed assimilabili, sempre più mirate alla conservazione del "bene impresa".
In altri termini, la transazione fiscale "obbligatoria" rappresenta l'esigenza di bilanciare appunto i due interessi sicché l'ampia discrezionalità riconosciuta all'amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali è in questo senso palesemente finalizzata, sia pure in considerazione del miglior soddisfacimento possibile del suo interesse proprio, ed è appunto bilanciata dal sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva, dalla normativa attualmente vigente, chiaramente, assegnato al giudice ordinario fallimentare.
Ma, nella sostanziale invarianza dei presupposti e delle modalità del "trattamento dei crediti tributari" dettate da quest'ultima e da quella previgente - e qui ratione temporis applicabile, deve ritenersi che anche dalla seconda tale sindacato fosse comunque affidato allo stesso tribunale fallimentare, nell'ambito delle sue competenze "omologatorie" generali (L. Fall., artt. 162, 163, 179 segg. e 182 bis e ter, rispettivamente per il concordato e per l'accordo di ristrutturazione dei debiti).
Deve infatti ritenersi che la prevalenza del profilo della concorsualità dell'istituto, come detto, derivante dalla sua necessarietà nelle procedure di diritto fallimentare previste dalla legge, già ne riservasse la valutazione appunto al giudice del concorso tra i creditori, piuttosto che a quello del rapporto tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex artt. 2, 19.
Poiché tuttavia è altresì evidente che i "crediti trattati" nelle procedure concorsuali de quibus hanno il proprio "titolo" (la propria fonte) nel rapporto d'imposta bisogna sul piano sistematico profilare in quali termini si configura il - necessario - raccordo tra le due discipline sostanziali e conseguentemente il riparto tra la giurisdizione ordinaria fallimentare e quella speciale tributaria.
In tal senso il primo punto di contatto, quello generale, tra le due discipline è senz'altro dato dalle certificazioni che, ai sensi della L. Fall., art. 182 ter, comma 2, devono essere rilasciate dall'agente della riscossione e dall'agenzia fiscale rispettivamente per i crediti iscritti a ruolo e per quelli che ancora non lo sono.
Tali atti infatti delineano il quadro complessivo dei rapporti obbligatori tra il contribuente che richiede il trattamento dei suoi debiti in sede concorsuale e possono allo stesso evidenziare eventuali profili di contrasto sia sull'an che sul quantum debeatur.
Inoltre, collateralmente alla proposizione del sub-procedimento concorsuale in esame vi può essere pendenza di separato contenzioso avente appunto ad oggetto il debito/i debiti fiscali del contribuente e va ribadito che la normativa applicabile in questo giudizio non prevede più come quella previgente che la transazione fiscale induca il consolidamento generale dei rapporti obbligatori tra Ente impositore e contribuente, anche con la previsione espressa della cessazione della materia del contendere nelle liti pendenti.
Tuttavia, è relativamente agevole rilevare che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 90, stabilisce che "1. Se il debitore è ammesso al concordato preventivo o all'amministrazione controllata, il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività necessaria ai fini dell'inserimento del credito da esso portato nell'elenco dei crediti della procedura. 2. Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell'elenco ai fini previsti del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 176, comma 1 e art. 181, comma 3, primo periodo".
Tale disposizione legislativa è stata interpretata da questa Corte nel senso che "In tema di omologazione della proposta di concordato preventivo L. Fall., ex art. 180, il tribunale esercita un sindacato incidentale circa la fondatezza dei crediti contestati, condizionali o irreperibili ai fini di disporre i relativi accantonamenti; diversamente, in presenza di crediti tributari oggetto di contestazione, per effetto della norma speciale di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 90, il suindicato accantonamento è obbligatorio essendo rimesso al tribunale esclusivamente il potere di determinarne le relative modalità. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso proposto da Equitalia e cassato il decreto di omologazione del concordato preventivo emesso senza che fossero state accantonate le somme relative al credito tributario oggetto di contenzioso tra le parti). (Cass., n. 15414 del 13/06/2018, Rv. 649130-01).
Ritenendo di dover dare seguito a questa giurisprudenza, risulta dunque chiaro, in termini sistematici generali che, nel contesto della normativa applicabile ratione temporis (più volte sopra individuata), se da un lato i profili eminentemente concorsuali del trattamento dei debiti tributari (nel concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti) hanno come proprio giudice quello ordinario (fallimentare), quelli tributari lo trovano nella giurisdizione speciale configurata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, in particolare artt. 2, 19.
Pertanto nella fattispecie del trattamento concorsuale dei debiti tributari (transazione fiscale) il punto di congiunzione regolativa delle due giurisdizioni deve rinvenirsi in detta previsione normativa del D.P.R. n. 602 del 1973, intesa quale espressione di un principio generale di riparto, che indica quale rimedio pratico volto ad evitare conflitti di pronunce e vuoti di tutela l'accantonamento dei crediti in controversia insorgenda (a conseguenza delle certificazioni amministrative di cui si è detto ovvero dell'emanazione di atti impositivi/della riscossione) ovvero insorta (liti pendenti).
Va quindi disatteso l'orientamento prevalente nella, peraltro esigua, censita giurisprudenza di merito (CTP Milano 1541/2014, 5429/2019; CTP Roma, 26135/2017; CTP Salerno, 240/2020, ma vedi contra, CTR Lombardia 2604/06/15, 2703/11/2020 citate nella memoria illustrativa dalla difesa erariale), peraltro appoggiato dalla prevalente dottrina, favorevole alla affermazione della competenza giurisdizionale delle Commissioni tributarie in ordine al mancato assenso agenziale alle proposte di transazione fiscale.
Tenuto conto delle superiori considerazioni, non può infatti ritenersi sufficiente a fare rientrare nella sfera di applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (limite esterno della giurisdizione tributaria speciale) la mera natura giuridica delle obbligazioni oggetto della transazione fiscale, ma, come detto, è necessario valorizzare la prevalente/assorbente finalità concorsuale dell'accordo transattivo e quindi del suo mancato raggiungimento a causa del dissenso opposto dall'Ente impositore, mentre la sussumibilità di tale rifiuto in una delle fattispecie indicate nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (limite interno della giurisdizione tributaria speciale) non risulta rilevante ai fini della questione di giurisdizione in esame. Infatti è indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte ritenere che tale disposizione processuale speciale, indicando -con elencazione suscettibile di interpretazione estensiva, in ossequio ai principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) - la tipologia degli atti oggetto di impugnazione, riguarda la diversa questione della proponibilità della domanda dinanzi al giudice tributario, in ragione della inclusione o meno dell'atto nel citato elenco (tra le molte, cfr. Cass., Sez. U., n. 3774 del 18/02/2014, Rv. 629555-01).
Infine nemmeno può essere valorizzata come precedente la pronuncia di queste SU n. 25632/2016, posto che la medesima ha riguardato la prima forma di transazione fiscale, c.d. "transazione sui ruoli", di cui al D.L. n. 138 del 2002, art. 3, comma 3.
Come detto, la "transazione sui ruoli" e la "transazione fiscale" presentano aspetti di significativa diversità, riguardando la prima la, sola, esecuzione esattoriale e la seconda le procedure concorsuali e paraconcorsuali (concordato preventivo ed accordo di ristrutturazione dei debiti) e perciò rispondono ad esigenze che non sono omogenee tra loro, essendo evidente la natura esclusivamente tributaria della prima, essenzialmente concorsuale della seconda.
In conclusione, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario nella declinazione del giudice competente in ordine alle procedure concorsuali.
Tenuto conto della novità e della complessità della questione di giurisdizione in esame, le spese del procedimento possono essere compensate.

P.Q.M.
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; compensa le spese del procedimento.


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