Legge Pinto incostituzionale dove consente al giudizio di indennizzo di concludersi in tre anni
Pubblicato il 21/02/16 18:03 [Doc.916]
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Corte Cost., sentenza 19 febbraio 2016 n. 36 (Pres. Criscuolo, est. Lattanzi)

LESIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE – MORTE DEL DANNEGGIATO IN CORSO DI PROCESSO PER CAUSA NON RICOLLEGABILE ALLA MENOMAZIONE RISENTITA IN CONSEGUENZA DELL'ILLECITO – RISARCIMENTO DEL DANNO – PARAMETRI - CHIARIMENTI (art. 2, c. 2° bis e 2° ter, della legge 24/03/2001, n. 89, come aggiunti dall'art. 55, c. 1°, lett. a), n. 2), del decreto legge 22/06/2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, della legge 07/08/2012, n. 134)

Va dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n. 89 del 2001. Dalla giurisprudenza europea consolidata si evince (sentenza n. 49 del 2015) il principio di diritto, secondo cui lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, che nella maggior parte dei casi sono più complesse, e che, comunque, non sono costruite per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 6 marzo 2012, Gagliano Giorgi contro Italia; sentenza 27 settembre 2011, CE.DI.SA Fortore snc Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia; sentenza 21 dicembre 2010, Belperio e Ciarmoli contro Italia). Ne consegue che l’art. 6 della CEDU, il cui significato si forma attraverso il reiterato ed uniforme esercizio della giurisprudenza europea sui casi di specie (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007), preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso di disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell’equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, anziché modellarla sul calco dei più brevi termini indicati dalla stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale. Quest’ultima, in applicazione degli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., alla luce dell’interpretazione data dal giudice europeo all’art. 6 della CEDU, aveva in precedenza determinato il termine ragionevole di cui si discute, per il caso di procedimento svoltosi in entrambi i gradi previsti, in due anni, che è il limite di regola ammesso dalla Corte EDU. Ne consegue che la disposizione impugnata, imponendo di considerare ragionevole la durata del procedimento di primo grado regolato dalla legge n. 89 del 2001, quando la stessa non eccede i tre anni, viola gli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., posto che questo solo termine comporta che la durata complessiva del giudizio possa essere superiore al limite biennale adottato dalla Corte europea (e dalla giurisprudenza nazionale sulla base di quest’ultima) per un procedimento regolato da tale legge, che si svolga invece in due gradi. L’art. 2, comma 2-bis, va perciò dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n. 89 del 2001.


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